di Nica FIORI
Le Mura Aureliane in mostra all’Ara Pacis
Le Mura Aureliane sono un’imponente opera d’arte fortemente rappresentativa della nostra capitale: un vero monumento simbolo della civiltà romana, eppure poco conosciuto e quasi dimenticato dai suoi stessi cittadini, escludendo ovviamente le porte più monumentali. Giunge perciò quanto mai gradita la mostra fotografica che viene loro dedicata nel Museo dell’Ara Pacis dal 20 giugno al 9 settembre 2018, “Walls. Le Mura di Roma. Fotografie di Andrea Jemolo”, ideata da Claudio Parisi Presicce e curata da Federica Pirani e Orietta Rossini.
In seguito ad una campagna fotografica commissionata dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, sono state selezionate 77 fotografie a colori di grande formato, che sono il risultato di un lungo processo “giocato sul controllo assoluto del rapporto tra manufatto e luce”, come ha dichiarato l’autore Andrea Jemolo, specializzato in foto d’arte e di architettura. Egli, in effetti, non coglie l’attimo fuggente, come avrebbe fatto Cartier-Bresson, ma costruisce le immagini lentamente nella sua mente, studiando e perfezionando un progetto articolato e difficoltoso, che prevede diversi sopralluoghi prima degli scatti finali. Le foto ci colpiscono per i loro effetti pittorici, e in particolare per quel cielo nuvoloso che sembra esaltare la potenza delle mura, dalle quali si ergono ancora le minacciose torri.
Pensando all’instabilità politica ed economica, alla mancanza di valori, ai suicidi e agli episodi di violenza che hanno colpito il nostro mondo negli ultimi anni, si ha l’impressione che esso stia precipitando inesorabilmente verso la sua fine.
Ma un’analoga crisi, che a noi sembra tipica dei nostri giorni, è stata profondamente sentita in altre epoche, e in particolare nel III secolo d.C., tra la fine della dinastia dei Severi e l’ascesa al potere di Diocleziano, quando Roma assiste a un periodo estremamente ricco di problemi, dall’anarchia militare alla crisi del tradizionale sistema economico, dalla scarsa natalità dei romani all’aumento della pressione nemica sui confini dell’impero. Ed è per questo che il lungimirante imperatore Aureliano, preoccupato dalla possibilità di invasioni barbariche (il suo principato era stato preceduto dalle incursioni degli Alamanni) decide di costruire nel 272 una cinta muraria di 19 km, fornita di 14 porte principali e 5 secondarie, dotata di alte torri, merlature e camminamenti di ronda.
Da allora le Mura Aureliane, rinforzate nel V secolo dall’imperatore Onorio, hanno sempre svolto una funzione difensiva, grazie anche a vari restauri, fino al 1870. In seguito, con l’elezione di Roma a capitale del nuovo stato italiano, cambiano radicalmente proporzioni e fisionomia della città. Nuovi quartieri sorgono al di fuori della cinta muraria, così che questa diviene il collegamento o l’ostacolo tra i due nuclei urbani, il vecchio e il nuovo. Soltanto nel 1901, a seguito della legge n. 443 del 23 dicembre 1900, le Mura Aureliane passarono dal demanio dello Stato all’amministrazione comunale. Prima di allora non si sapeva bene a quale fine destinarle: molti avrebbero voluto riutilizzarle come cinta difensiva, anche se l’esperienza della breccia di Porta Pia aveva dimostrato che non avrebbero retto a un attacco di moderne artiglierie.
Prevalse una concezione di difesa più flessibile e articolata, basata sulla costruzione di un sistema di “forti”, poco fuori della città lungo le vie consolari (sono gli attuali Forte Nomentano, Forte Tiburtino, Forte Pietralata, Forte Prenestino ecc.), mentre il Comune si assunse l’onere della gestione delle mura e della loro conservazione.
Per renderle compatibili con la nuova realtà romana di città in continua espansione, vi furono aperti dei fornici e addirittura in qualche caso furono tagliate in corrispondenza di nuove strade o per ampliare quelle preesistenti. Il tutto alterando il disegno originario e rompendo la continuità della cinta, che ora è di un po’ più di 12 km: una dimensione sicuramente di tutto rispetto, che però spesso scompare alla vista, perché molte proprietà private si sono addossate con le loro strutture al lato interno, cosicché è ormai possibile vedere solo quello esterno. Ai privati è stato addirittura permesso di inglobare nelle loro proprietà questa fascia interna, che sotto il regno pontificio permetteva in tutti i punti l’accesso alle mura. Alcuni tratti sono stati dati in concessione ad artisti che vi hanno sistemato i loro studi (e abitazioni) e li hanno poi lasciati ai discendenti. Gli ateliers sono spesso ben mimetizzati, ma un’attenta osservazione rivela la presenza di terrazzini, serbatoi d’acqua, tendine alle finestre, citofoni e cassette delle lettere.
Tra gli studi più noti, quello Randone, in via Campania (vicino a Porta Pinciana), deve il suo nome a Francesco Randone (morto nel 1936), detto il Maestro delle Mura, che abitò nella torre XXXIX per un quarantennio dando vita a una scuola d’arte e a una numerosa progenie di artisti. Nei pressi di Piazza Fiume, sull’adiacente brevissima via Sulpicio Massimo, che prende il nome dal giovanissimo poeta romano il cui sepolcro è stato trovato nei pressi, un villino addossato alle mura con una loggetta finto medioevale, è stato l’abitazione dello scultore Ettore Ferrari (1845 – 1929), noto a Roma soprattutto per il monumento a Giordano Bruno a Campo dei Fiori, ma anche come Gran Maestro della Massoneria.
Partendo da Porta del Popolo, passando per Villa Dominici e dalle porte Metronia, Latina, San Sebastiano, il percorso per immagini descritto da Jemolo arriva fino all’ultimo tratto visibile dal Ponte dell’Industria. Alcuni tratti di mura si stagliano ancora solenni e solitari, altri sono stati inglobati da palazzi, cimiteri, cantieri, officine. Di altri tratti tenta continuamente di reimpossessarsi la vegetazione selvatica, con arbusti, piante e rampicanti vari.
In alcune foto scattate all’esterno della cinta si colgono le diverse tecniche edilizie utilizzate nel corso dei secoli: dai mattoni in laterizio, al tufo, ai materiali di reimpiego in marmo, mentre altre immagini offrono uno sguardo inedito “dentro” le mura, con scorci di camminamenti, porte, torri.
Ovviamente le porte offrono anche esempi di architetture d’autore, come la michelangiolesca Porta Pia o la facciata interna di Porta del Popolo (antica Porta Flaminia) realizzata da Gian Lorenzo Bernini. Il rapporto tra il nuovo e l’antico è particolarmente evidente in alcune foto che danno spazio al paesaggio circostante, come in quella che mostra sulla sinistra un tratto della cinta muraria (nei pressi di Porta Maggiore) e sulla destra il Serbatoio d’acqua di via Eleniana (palazzo dell’Acea), un edificio cubico realizzato da Raffaele De Vico, particolarmente interessante per la scelta dei materiali, come i blocchi di tufo, i mattoni e il travertino, che ricordano proprio le vicine mura romane.
Sono di grande interesse documentario anche le fotografie d’epoca, esposte nella stessa mostra per un ideale confronto con l’attualità. Sono state selezionate 50 immagini dal fondo Parker, custodito presso il Museo di Roma, e 17 fotografie storiche anch’esse provenienti dall’Archivio Fotografico del Museo di Roma. Le prime sono stampe all’albumina realizzate da Carlo Baldassarre Simelli (1811 – post 1877), uno degli abili fotografi selezionati dall’archeologo inglese John Henry Parker per realizzare la sua raccolta di immagini sulla città.
Durante i suoi soggiorni a Roma, tra il 1864 e il 1877, Parker arrivò a raccogliere un preziosissimo patrimonio di oltre 3.300 immagini, i cui negativi sono andati in gran parte distrutti in un incendio. Gli scatti raffigurano importanti costruzioni di età romana: si passa dalla Porta Ostiense all’Arco di Dolabella, da Porta Metronia alle Mura del Castro Pretorio, da Porta Maggiore alla Porta Asinaria, dall’Anfiteatro Castrense all’acquedotto Claudio.
Nica FIORI Roma 22 giugno 2018