Studiosi, esperti e restauratori: un coro di critiche per il Bernini ‘amputato’; la risposta della Direzione della Borghese

redazione

Sono state numerose le prese di posizioni di studiosi tra i più noti sull’incidente occorso alla Santa Bibiana di Bernini che ha scatenato contrasti e polemiche risollevando l’annosa questione se certi capolavori possano essere sottoposti a trasferimenti fuori dai contesti per i quali furono a suo tempo destinati. Pubblichiamo oggi gli interventi –tutti piuttosto critici– di personalità di grande rilievo nel campo della storia dell’arte, curatori di numerose mostre, quali Maria Grazia Bernardini, Nicola Spinosa, Alessandro Zuccari, nonchè Marcello Castrichini, il restauratore che operò negli anni ’90 l’ultimo intervento sulla statua berniniana. A queste voci polemiche segue la doverosa risposta della Direzione della Galleria Borghese.

La Santa Bibiana mutilata. Una amara considerazione.

Maria Grazia Bernardini

E’ stato un articolo di Tomaso Montanari su La Repubblica a denunciare il danno che ha subito la statua della Santa Bibiana del Bernini durante la sua ricollocazione sull’altare maggiore della chiesa omonima, dopo la sua esposizione alla mostra alla Galleria Borghese. L’articolo ha messo in allarme la città e in particolare l’ambiente degli storici dell’arte, soprattutto perché non chiariva certi passaggi fondamentali per capire come e perché fosse accaduto l’incidente, perché il dito non fosse stato restaurato e soprattutto se esistesse ancora.

La ricollocazione della scultura è avvenuta il 24 aprile scorso, a circa due mesi dalla chiusura della mostra, perché dovevano essere completate alcune operazioni di restauro. La scultura era stata infatti portata presso la Galleria Borghese proprio per effettuare un intervento conservativo dando la possibilità al pubblico di vedere le operazioni in atto. E’ vero che un restauro la statua l’aveva subito circa vent’anni fa, ma va detto che i risultati del nuovo intervento sono importanti, e si spera che ne venga dato conto in una pubblicazione, ma già durante il convegno dedicato a Bernini sempre alla Galleria Borghese ne fu data notizia e si dimostrò che la posizione della scultura doveva essere girata di qualche grado per meglio accogliere la luce, come previsto dallo stesso artista.

Durate la ricollocazione in situ, pur con tutti gli accorgimenti del caso e con le moderne tecniche di movimentazione delle opere, si è verificato un incidente, che ha comportato il distacco di un dito della mano destra. Fortunatamente il dito è intatto e verrà quindi riposizionato correttamente; se non è stato ancora effettuata l’operazione di risarcimento del dito, ne immaginiamo i motivi: l’opera è stata ricollocata a ridosso di un lungo ponte e quindi sarà stato complicato effettuare tutte quelle operazioni burocratiche che la nostra Amministrazione prevede e coordinare il coinvolgimento degli organi preposti, il Ministero dei Beni e Attività Culturali e del Turismo e il Vicariato. 

E’ un incidente grave, che non va sottovalutato, e che sorprende vista l’attenzione che le Soprintendenze e i suoi funzionari, i restauratori e i tecnici della movimentazione pongono alle opere del nostro patrimonio culturale. E’ un incidente che rattrista, perché è avvenuto dopo un attento restauro, perché ha danneggiato una delle sculture più affascinanti e sublimi della Roma barocca, che si va ad affiancare ad alcuni dei capolavori della scultura seicentesca dedicata a figure femminili, come la Santa Cecilia di Stefano Maderno e come la Santa Teresa ancora del Bernini. Una mano bellissima, quella della santa Bibiana, ma un po’ sfortunata: durante il restauro effettuato negli anni 1997-98, il direttore dei lavori Vitaliano Tiberia, aveva notato che il pollice aveva una spaccatura ed era una aggiunta, in questo caso però probabilmente del Bernini stesso.

Santa Bibiana, part.. Mano dx con patine e politura all’interno (restauro 1997; si nota il pollice rimesso dal Bernini) . Foto Archivio Castrichini

La domanda che viene spontanea, “l’incidente poteva essere evitato?” non ha una riposta semplice. L’incidente doveva essere evitato, ma l’errore umano è sempre possibile, può in effetti accadere. Non possiamo però per questo demonizzare le mostre, che comportano ovviamente una movimentazione straordinaria di tante opere d’arte, perché le mostre sono importanti, per un avanzamento degli studi di storia dell’arte e per avvicinare il pubblico a questa materia così difficile. D’altronde le tecniche di trasporto e i nuovi metodi di imballaggio consentono di movimentare opere fragilissime, come ad esempio i bozzetti di terracotta, a cui è stata dedicata una mostra bellissima e interessantissima al Metropolitan Museum di New York, in cui furono esposti i bozzetti in terracotta del Bernini, o i busti in marmo, oggetto di  una mostra, altrettanto importante, presentata al Bargello di Firenze e curata dallo stesso Montanari (insieme ad altri studiosi) intitolata I marmi vivi. Va però aggiunto e ribadito senz’altro che andrebbero autorizzate solo le mostre di alto valore scientifico o didattico, che danno una giusta motivazione allo spostamento di opere d’arte che hanno comunque un valore inestimabile, e che occorre sempre prendere tutte le precauzioni possibili, partendo dal coinvolgimento di veri professionisti in ogni campo.

La domanda va posta in modo diverso: “Era necessario spostare la Santa Bibiana per la mostra del Bernini?”. Su questo punto avanzerei delle forti riserve, per due motivi sostanziali. La Santa Bibiana fu realizzata da Bernini nel 1624-26 per essere posta sull’altare maggiore della chiesina omonima, fatta restaurare da papa Urbano VIII. Con il suo senso teatrale e scenografico, Bernini, ancora giovanissimo, qui realizzò il suo primo tentativo di impostazione scenografica di una scultura in rapporto con l’ambientazione, con lo spazio e con la luce. Considerando la luce come elemento strutturale, capace di amplificare l’aspetto emozionale di un’opera, previde due aperture da cui far scendere la luce, una ampia lunetta sul fondo della parete d’altare e una finestra situata nella parte sinistra della volticella in corrispondenza dell’altare, in modo da avere due fonti di luce che interagendo creassero motivi di suggestione. Questo assetto scenografico fu in parte alterato nel corso del Settecento, ma l’impostazione generale resta e se la scultura avulsa viene tolta dalla sua ambientazione e portata all’interno di un museo, non si può apprezzare il nuovo, sentimentale, patetico linguaggio del Bernini, che seppe intrepretare la temperie culturale, spirituale e religiosa di quegli anni. Né si può apprezzare il rapporto che la scultura ha con gli affreschi disposti sulle pareti laterali realizzati da Pietro da Cortona e Agostino Ciampelli. Inoltre la scultura, nel percorso della mostra, era posta accanto ad opere giovanili, in grande parte eseguite dal padre Pietro, e quindi non si poteva cogliere lo sviluppo del linguaggio stilistico del grande artista.

Dobbiamo poi ricordarci che l’identità del nostro Paese, del nostro patrimonio non si configura nei Musei, a cui è stata data tanta importanza dal Ministero a scapito del patrimonio diffuso. Si configura nel paesaggio, nelle città, nelle chiese, nelle piazze. Quando Urbano VIII fece costruire il proprio Palazzo ha voluto anche far realizzare la Fontana del Tritone, come un momento di richiamo per il visitatore; quando Innocenzo X, al pari di Urbano VIII, volle dare lustro alla isola Pamphilj,  oltre al palazzo e alla chiesa, volle anche la fontana al centro della piazza Navona, e Bernini realizzò uno dei capolavori più significati dell’arte barocca, la Fontana dei Fiumi. Per conoscere Bernini occorre girare per Roma, Bernini è nelle chiese, nei palazzi, nelle vie, nelle piazze, negli arredi. E allora una mostra così scientifica avrebbe potuto invogliare, con aperture straordinarie, la visita ai luoghi berniniani, permettendo con permessi speciali la visita ovviamente alla chiesa della Santa Bibiana, al monumento del Cardinale Pedro de Foix Montoya, ritratto magistrale datato intorno al 1622, posto in un ambiente della chiesa di Santa Maria di Monserrato generalmente chiuso al pubblico, così come al gruppo del Noli me tangere di Antonio Raggi realizzato su disegno del maestro,  situato nella chiesa dei SS. Domenico e Sisto, anch’essa spesso chiusa al pubblico, e così via.

D’altronde le caratteristiche del nostro patrimonio rispecchiano la nostra storia, Roma non ha e non può avere un Louvre ma ha tante ricchissime raccolte d’arte, la Galleria Borghese, la Galleria Doria Pamphilj, la Galleria Colonna e la Galleria Pallavicini, edifici di culto preziosi gioielli d’arte come la chiesa di San Luigi dei Francesi e la chiesa di Santa Maria del Popolo, e ancora il Colonnato di San Pietro, le chiese gemelle di piazza del Popolo, il ponte Sant’Angelo, la scalinata di piazza di Spagna, solo per citare qualche esempio e per ricordare ai turisti e ai visitatori e ai ministri che il nostro patrimonio non è racchiuso nei musei ma sparso e presente dovunque. Quindi, per tutte queste ragioni, no, non era indispensabile spostare la scultura e si poteva evitare il rischio, perché in effetti non esiste uno spostamento a rischio zero. (Maria Grazia Bernardini, Roma, maggio 2018)

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Bernini non è l’unico caso; e il Tiziano e il Caravaggio esposti a Forlì? Basta col sottrarre opere storiche dalle loro sedi !

Nicola Spinosa

Il danno procurato nei giorni scorsi alla Santa Bibiana del Bernini durante la sua ricollocazione nella sede di originaria appartenenza, dopo essere stata esposta per la mostra berniana alla Galleria Borghese, al di là della sua entità, è fatto gravissimo e che investe la crescente tendenza a spostare dalle sedi di appartenenza – chiese, palazzi, musei o raccolte private che siano – opere di particolare fragilità e di sicura importanza storico-artistica per esposizioni temporanee, anche se di reale o, più spesso, di presunto valore scientifico. Un danno che, sebbene dovuto a evidente imperizia del trasportatore incaricato, coincide con un processo di crescente ‘mercificazione’ del nostro patrimonio artistico cui si sta assistendo in questi ultimi anni e che, per prevalenti esigenze di “fare cassa”, comporta la rimozione di opere d’arte di sicura fragilità, come nel caso della Santa Bibiana, per esporle in mostre temporanee, mentre, invece, andrebbero viste, attraverso itinerari paralleli all’evento espositivo, e meglio apprezzate proprio nella sede per la quale furono realizzate. Problema, questo, che, tuttavia, non è solo di dipinti, sculture o altri manufatti di particolare fragilità, ma che investe anche altre opere d’arte che, pur appartenendo ad antiche e prestigiose collezioni che da tempo sono nuclei rilevanti del nostro patrimonio museale, sempre più spesso vengono inviate in giro per il mondo, spesso anche per mostre di scarso o nessun impegno scientifico e culturale, così sottraendole sia alle imprescindibili esigenze della sicurezza conservativa, sia a una esauriente conoscenza della consistenza e dell’importanza delle stesse raccolte ‘storiche’ dei nostri musei. Oggi si denuncia, a ragione, il danno procurato alla Santa Bibiana del Bernini, ma nessuno o quasi si è turbato e ha denunciato – forse perché ancora non si sono registrati pur possibili danni? – che opere come, a esempio, la Madonna dei Pellegrini del Caravaggio abbia lasciato  la chiesa di Sant’Agostino a Roma per la quale fu dipinta o che il Paolo III con i nipoti di Tiziano sia stato ‘strappato’ a Capodimonte, di cui pure è l’opera simbolica e dal quale non era mai stato allontanato, per essere entrambi dirottati alla volta di una ‘sconcertante’ mostra di ‘capolavori’ in corso a Forlì (sic!), così come a Capodimonte e ai suoi visitatori sono stati di volta in volta ‘sottratti’, nel silenzio più ‘assordante’, opere ‘storiche’ come il Ritratto di giovane con guanto di Rosso Fiorentino, l’Antea del Parmigianino o la Flagellazione del Caravaggio, per di più spesso senza ascoltare né il parere dei restauratori dipendenti, né quello, pur quasi ‘obbligato’, dei tecnici dell’Istituto Centrale per il restauro o dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Ma sulla condizione in cui oggi versa Capodimonte meglio stendere un “velo pietoso”, nella certezza che Capodimonte comunque resta e gli altri prima o poi andranno via! Inutile, quindi, tentare di motivare (e giustificare) il danno subito dalla Santa Bibiana del Bernini (e chissà quali e quanti altri danni subiti dal nostro patrimonio artistico sono sfuggiti e sfuggono all’attenzione pubblica … ) con un momento di trascuratezza o di disattenzione dei trasportatori incaricati. Bisogna, invece, che come in altri paesi europei, anche in Italia si stabilisca con fermezza e con la totale responsabilità di che ne ha la consegna che ci sono opere che, non solo per fragilità o stato di conservazione, quanto soprattutto perché appartenenti, in termini inalterabili, al luogo di destinazione originaria – si tratti di una chiesa, di un palazzo o di una storica raccolta museale – non possono in alcun modo essere sottoposte ai rischi di una movimentazione spesso anche scientificamente e culturalmente del tutto ingiustificabile.  La Santa Bibiana del Bernini, il Paolo III con i nipoti o la Danae di Tiziano, la Madonna dei pellegrini del Caravaggio vanno ammirati e si comprendono meglio proprio se restano nel contesto di cui fanno parte. Altrimenti prima o poi si correrà anche il rischio di accettare che a Parigi o a Londra, a New York o a Shangai, piuttosto che a Forlì o a Bitonto, siano spostati per una “grande mostra” e su sollecitazione di un capo di governo o di un ministro del momento anche la Primavera di Botticelli degli Uffizi, il Battesimo di Piero a Brera e, perché no, anche l’Apollo e Dafne o il Ratto di Proserpina del Bernini esposti proprio nella Galleria Borghese …  (Nicola Spinosa, Napoli, maggio 2018)

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C’è un solo criterio per evitare incidenti come quello occorso alla Santa Bibiana, la “non trasferibilità”!

I problemi inerenti al trasporto e all’esposizione di opere in sedi diverse da quelle loro assegnate riguardano propriamente le sculture perché sono strutturalmente fragili e dunque presentano inevitabilmente delle criticità; in questi casi occorre seguire un semplice criterio, vale a dire quello della non trasferibilità. Personalmente sono assolutamente contrario alla loro esposizione e quello che è accaduto con la Santa Bibiana di Bernini è un esempio di come sia azzardato operare in senso contrario. Tanto più per una scultura di così ampie dimensioni; un discorso diverso potrebbe riguardare  i marmi di dimensioni molto limitate, sempre ammesso che sia garantita quanto più possibile la loro salvaguardia, ma questo non vale per una statua monumentale, con parti aggettanti e di così raffinata fattura. E se pure è vero che l’incidente sia avvenuto, come pare, durante la risistemazione della scultura nella chiesa di appartenenza, tuttavia occorreva pensarci prima al fatto che un malaugurato inconveniente avrebbe potuto comprometterne l’integrità. Se poi mi dici che però nel caso della Santa Bibiana o di opere simili  –ospitate cioè in chiese o luoghi non di grande rilievo e riconoscibilità– l’inserimento in una grande esposizione ne favorisca una ben più ampia fruibilità, ti rispondo che la mia contrarietà a certi spostamenti si basa anche sul fatto che determinate opere sono nate in un dato momento storico, dentro un determinato contesto, per un preciso ambito culturale e quindi è lì che debbono rimanere perché altrimenti se ne snatura il significato e la stessa fruizione non ha più un senso logico. Il discorso vale in questo caso per il Bernini il quale ha operato una precisa scelta culturale mettendo mano a quella scultura proprio per quella chiesa, in dialogo con le figure dipinte da Ciampelli e da Pietro da Cortona, in completa armonia con le strutture, con le architetture, con i marmi ? Del resto basta rovesciare il ragionamento, e ti dico che senza bisogno di trasportare la scultura a mio avviso sarebbe valsa la pena, considerato che non si trattava di una esposizione internazionale ma romana, pensare ad una mostra in situ o anche per altri siti, dato che come tutti sanno di opere berniniane Roma non è davvero priva. E’ vero che in queste occasioni, mettendo le opere le une vicino alle altre si possono più agevolmente operare confronti assai utili per lo sviluppo degli studi, ma la tutela e la conservazione del bene deve precedere sempre ogni altra considerazione, compresa quella di chi pensa che comunque con l’occasione si è potuto procedere ad un necessario restauro, che poteva benissimo essere fatto indipendentemente dalla esposizione. Tanto è vero che adesso occorre ri-restaurare la statua, purtroppo nella consapevolezza che la sublime lavorazione berniniana di quella mano di qualità e valore rilevantissimi non sarà ovviamente più quella di prima. (Alessandro Zuccari, Roma, maggio, 2018)

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Noi operammo in situ e scoprimmo importanti particolari sul modo di lavorare di Bernini, spendendo anche meno; non c’era motivo di togliere la scultura dalla chiesa

Marcello Castrichini nel restauro della Santa Bibiana, 1997

Che dire dell’incidente alla Santa Bibiana? Siamo all’uso spregiudicato dell’opera d’arte evidentemente. Non c’era nessun motivo per toglierla dalla chiesa; quando intervenni io, nel 1997, la trovai -come del resto l’intero altare- proprio come l’averva fatta Bernini, con ancora presente  la polvere di marmo del trapano all’interno dei fori nella zona delle foglie in basso, ho trovato perfino le zeppe di legno poste attorno alle pietre delle cornici sopra l’altare, e che servivano per mantenere tutto in piano, unite tra loro con un chiodino e collegate con una corda, tutto realizzato da Bernini per dare stabilità. Insomma, sembra incredibile ma dopo quasi 400 anni trovammo la statua perfetta. Il restauro peraltro fu molto delicato, in primo luogo perchè, al di là della plovere, non ce ne era bisogno, ma soprattutto perchè prima che noi intervenissimo c’era stato il restauro dell’ Apollo e Dafne, in preparazione della mostra del 1999; e cosa era accaduto? Era accaduto che alle analisi inziali venne riscontrato un certo livello di patina e si aprirono discussioni e polemiche tra gli addetti ai lavori, ricordo che intervennero l’Opificio delle Pietre dure, l’ Istituto Centrale del Restauro ecc, tra chi sosteneva che fosse opera di Bernini e chi invece che si trattasse di interventi successivi. Per cui quando toccò a noi ci avvicinammo con estrema cautela alla Santa Bibiana, tanto che iniziai a studiare tutto quanto riguardava l’opera, a cominciare da quanto raccontato dal figlio di Gian Lorenzo, Domenico Bernini, fino all’ultimo volume esistente.

Santa Bibiana, part. Volto della Santa con patine e percolamenti (Restauro del 1997). Foto Archivio Castrichini

Ma cosa accadde durante i lavori? Accadde che ci apparve questo strato di patina giallina, variamente dislocata, ove più ove meno e più o meno consistente, e soprattutto trovammo prove incontrovertibili che era di mano di Bernini, inoltre degli strati ne comparivano anche sulle parti sottostanti gli elementi architettonici; dalle analisi risultò che si trattava di patine pigmentate, c’erano i percolamenti dei pennelli, ad esempio negli incarnati c’era una piccola, quasi impercepibile parte di pigmento nero che evidentemente in seguito veniva pulito non lucidato, e sui panneggi dava sul marrone, in modo che si potevano percepire le differenze di resa tra i panneggi e gli incarnati, e così via.

Santa Bibiana; volto dopo il restauro del ’97 con ben visibili le patine di Bernini che rende il pittoricismo della statua senza più il bianco caratteristico del marmo di Carrara. Foto Archivio Castrichini

Ci fu un grande clamore per questa scoperta; ed infatti quando poi qualche anno dopo in Campidoglio si procedette ad altre operazioni di restauro su Bernini, si sono valsi di quanto noi avevamo sperimentato e pubblicato. Nel caso della Santa Bibiana invece sono stati commessi alcuni gravi errori, a cominciare dal fatto che non hanno forse tenuto ben presente quali sono i caratteri del marmo di Carrara che è di una delicatezza unica, che se ci passi con un unghia te ne accorgi; ma poi la distanza fra la chiesa e la Borghese non supera il Km e mezzo forse, così che sarebbe stata l’occasione, operando il restauro in situ, di tenere aperta quella chiesa, fondamentale per l’affermazione del Barocco; si dice che invece il restauro è stato appositamente voluto all’esterno per far vedere come fosse veramente la statua anche nel non finito dietro, oltre che per favorire la partecipazione e dare modo a chiunque di vedere come avviene un’opera dfi restauro? Mi sembra una sciocchezza, intanto perchè che dietro non fosse completata lo avevamo già visto e fotografato noi a suo tempo, e poi perchè queste opere hanno senso nel lugo per cui sono state pensate e realizzate, invece la verità è che vince il richiamo pubblicitario, come per Caravaggio che ormai lo vedi comparire dappertutto, ma questa non è cultura! Dovrebbero poi spiegarmi perchè l’intero restauro dell’altare della chiesa di Santa Bibiana fatto da noi – che pure trovammo la situazione perfetta, come ho detto, dopo quasi 400 anni- costò a suo tempo 110 milioni di lire, cioè le attuali 55 mila euro, mentre ora un restauro operato dopo soli vent’anni è costato 60 mila euro? Ma se però pensiamo alle vere responsabilità allora bisogna vedere anche più in alto, a livello ministeriale, alla dissennata politica di ridimensionamento del ruolo delle soprintendenze che non hanno più un’autentica capacità di controllo e salvaguardia del patrimonio artistico. Ora chi farà il restauro? Non lo so ma la vedo male se penso che non fosse stato per il prof. Fidanza manco se ne erano ancora accorti. (Marcello Castrichini, Todi, maggio, 2018)

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No a polemiche strumentali. Le mostre di alto valore scientifico e di livello internazionale –com’è stata l’ultima alla Borghese su Bernini– hanno bisogno del confronto tra le opere.

La Santa Bibiana di Gian Lorenzo Bernini è stata riconsegnata dalla Galleria Borghese alla omonima chiesa di appartenenza in data 13 marzo 2018, dopo la conclusione della mostra “Bernini” per la quale era stata concessa in prestito. All’atto della riconsegna l’opera era in perfetto stato conservativo, dovuto anche al restauro che la stessa Galleria Borghese aveva potuto offrire alla chiesa in cambio del prestito, eseguito prima della mostra nel portico della stessa Galleria, e che aveva comportato una scoperta di estrema importanza, ovvero che la posizione della statua nella sua nicchia era scorretta rispetto a quella originaria prevista da Bernini, forse a causa della sua frettolosa ricollocazione in situ dopo gli eventi bellici.

Lo scorso 13 marzo la Santa veniva messa, su richiesta del Vicariato, nella navata destra della chiesa, precisamente in un’area allestita a cantiere per effettuare quella rotazione della statua sulla propria base che avrebbe consentito di ricollocarla nella nicchia nella sua posizione originaria. A quella stessa data si interrompe la responsabilità della Galleria Borghese sulla statua e la sua competenza a effettuare scelte di ogni natura in merito alla sua conservazione. La rottura del dito deve essere occorsa successivamente, in occasione del trasferimento della scultura dall’area di cantiere alla nicchia dietro l’altare, in conclusione dell’opera di rotazione. Sia detto di passaggio, ma con pari convinzione, che il ripristino della Santa nella sua ubicazione corretta va senz’altro anche a beneficio della comunità di fedeli che frequenta la chiesa e che ha sviluppato con essa un intenso legame devozionale. L’incidente, che è ovvio motivo di grave rincrescimento, non può essere ritenuto meccanicamente e con così smaccato intento strumentale, la conseguenza del prestito alla mostra “Bernini”. Le opere d’arte vengono movimentate di frequente e per ragioni molteplici, anche per essere restaurate e conservate, e le mostre sono ormai, oggi molto più che in passato, quasi le uniche occasioni per effettuare interventi conservativi, perché ne possono sostenere i costi. Occorre comunque distinguere, per non assecondare un partigiano ‘fare di tutta l’erba un fascio’, fra le mostre blockbuster, concepite come macchine mediatiche e per attirare guadagni, e le mostre costruite con alto profilo scientifico, il cui obiettivo principale è invece quello di far avanzare la conoscenza, di proporre nuovi scenari critici e opportunità di visione e riflessione per gli studiosi.

In questo senso la Santa Bibiana non “galleggiava” affatto nello spazio della Galleria Borghese, perché proprio fuori dal suo contesto, per la prima e forse unica volta nella storia, ha potuto essere guardata diversamente e generare interrogativi, confronti, osservazioni e scoperte, come la Giornata di studio tenuta presso la stessa Galleria Borghese lo scorso 22 gennaio ha opportunamente dimostrato. Le mostre condotte secondo questo principio dirimente sono la missione per eccellenza dei musei di tutto il mondo, dove esporre significa offrire occasioni di accrescimento per il pubblico e assicurare vitalità culturale all’istituzione, che non deve e non può limitarsi a conservare. Fare mostre significa naturalmente spostare opere d’arte e questo avviene nel rispetto pieno della sicurezza e della tutela, osservando con scrupolo normative e protocolli internazionali, che non possono tuttavia porci definitivamente – ma anche statisticamente – al riparo da eventi malaugurati come questo. Non si può a questo punto non rilevare il parallelo inopinato proposto nell’articolo su La Repubblica con casi di gravità assoluta e non paragonabile che hanno comportato la distruzione vera e propria dell’opera, come quello del gesso di Canova nel 2003. Appare evidentissimo quanto l’incidente occorso alla Santa Bibiana voglia essere strumentalizzato per riproporre quell’opinione, ormai da tempo identica a se stessa e scagliata fatalmente contro le mostre degli altri, che polemizza col fare mostre tout court. Una polemica solo italiana, perché nel resto del mondo ci si occupa dei contenuti e di assicurare il giusto livello scientifico a un progetto espositivo, non di riflettere sull’opportunità o meno di realizzarlo. Qui al contrario si fa uso di un’arma impropria, di un argomento non pertinente e condotto senza il necessario bagaglio di conoscenze – nell’articolo si parla di “integrità materiale” del marmo che dà forma alla mano della Santa quando il pollice della stessa mano è interessato da un’antica rottura perfettamente visibile – forse allo scopo indiretto di attaccare e denigrare la mostra su Gian Lorenzo Bernini alla Galleria Borghese. E’ forse questo il vero obiettivo dell’attacco, una mostra che deve onestamente essere ritenuta, per riconoscimento di pubblico e comunità internazionale degli studiosi, per riscontro nell’apprezzamento del catalogo, per rilevanza mediatica e iniziative scientifiche associate, un’occasione importantissima, risultato di ricerca e di applicazione seria. (Geraldine Leardi, Direzione Galleria Borghese, Roma, maggio 2018)