di Lisa SCIORTINO
Tommaso Francesco Di Salvo[1] (1945-2011) (Fig. 1) nacque a Bagheria, in provincia di Palermo, ma ancora bambino si trasferì con la famiglia a Highland Falls ricongiungendosi ai nove fratelli del padre Paolo ed alle loro famiglie che li avevano preceduti nella migrazione verso gli USA. Spostatosi nel Wisconsin, frequentò scuole parrocchiali ed entrò in seminario da giovane adolescente.
Nel 1968, dopo un decennio di formazione seminaristica e la laurea, Tom scelse di conseguire un Master presso l’Università di Chicago, abbandonando la chiamata al sacerdozio poco prima dell’ordinazione.
La passione di Tom Di Salvo per la creazione artistica iniziò nei primi anni Settanta, da autodidatta, molto probabilmente influenzata dalla ricchezza umanistica dei suoi studi, evolvendosi nel corso degli anni in tele complesse e strutturate. Scrisse di lui Michele Serra:
“Le grandi tele di Tom Di Salvo grondano di cultura classica e di poesia, di formazione espressiva in cui il pensiero filosofico emerge nel rispetto dello specifico modo di essere della comunicazione della pittura. (…) l’arte del siciliano della profonda Florida è (…) espressione del più colto modernismo”[2].
Di Salvo adottò uno stile di vita itinerante, risiedendo e lavorando in Kenya, New York, Florida, Virginia, Perù e tornando frequentemente a Bagheria. Il suo curriculum riflette la natura migratoria e la dedizione all’arte rispetto a qualsiasi altro impegno. La sua storia lavorativa è composta da attività serali e notturne come correttore di bozze, per le eccellenti capacità di traduzione e la padronanza di una varietà di lingue, tra cui italiano, inglese, francese, latino, greco. Durante i soggiorni in Sicilia, impartì lezioni private di inglese e fornì traduzioni specializzate e, mentre lo faceva e lavorava per la gente del posto, si immergeva nella loro storia e nella loro cultura. Gran parte del tempo era, però, riservato alla pittura delle sue tele che custodì sempre gelosamente. La riluttanza a vendere le proprie opere è certamente una delle ragioni della sua limitata notorietà. Era, tuttavia, interessato ad esporre i dipinti e ancora più contento di parlare della sua pittura in incontri e cenacoli. Pur apprezzando le critiche costruttive, detestava la censura e la disapprovazione. A collezionisti e venditori d’arte che denigravano il suo lavoro voltava le spalle, consapevole e orgoglioso del proprio talento e delle storie che le tele rivelavano.
I meriti di Di Salvo come artista visivo sono confermati attraverso l’analisi critica dei suoi dipinti (Fig. 2).
Il suo stile, a partire dai primi anni ‘80, include reinterpretazioni creative intrecciate con oggetti e idee provenienti dalle discipline umanistiche e delle scienze. Categorizzare l’artista nell’elenco di quelli italoamericani riconosciuti della seconda metà del XX secolo secondo un genere specifico rappresenta una sfida. Di Salvo ha, infatti, creato puramente per amore dell’arte e molte delle sue opere non sono state formalmente stimate da esperti né valutate per il valore monetario. Mentre diverse tele di Di Salvo sono esposte in istituzioni accademiche come Boca Raton Museum of Art, Danvelle Museum of Fine Arts & History in Virginia, Lumina Gallery a Soho e Cork Gallery al Lincoln Center di New York City, la stragrande maggioranza dei dipinti è custodita dalla famiglia e in alcune collezioni private.
Un ulteriore motivo per cui la pittura di Di Salvo è sfuggita all’esposizione universale è la sua mancanza di istruzione formale in arte, ma questo in realtà rappresenta un vantaggio per le sue opere da autodidatta che mostrano una prospettiva più intima dell’artista. Tracciare le radici siciliane di Di Salvo attraverso le tele porta in superficie immagini, stili, colori ed esperienze degli artisti dell’isola, la cui fedeltà alla cultura è quasi una forma di prigionia che attraverso la loro arte convertono in liberazione e forza.
I siciliani che lasciano la terra natia portano sempre con sé il sogno di un’irrealtà che, proprio perché è un sogno, non può essere trasferita altrove, come si addice a un luogo che non è un luogo. I siciliani che rimangono, invece, raccolgono e assaporano ancora il respiro e le immagini del mondo, creando una forma d’arte che evoca le loro radici, una matrice linguistica e antropologica di tutte le culture che hanno segnato la loro identità locale. È arte creata da e per un popolo la cui cultura è una eccezionale amalgama derivata dalle invasioni vissute nei secoli. Attraverso le opere futuriste di Pippo Rizzo e Vittorio Corona, il neocubismo di Sebastiano Carta e l’arte metafisica di Franco Piruca, e una miriade di altre opere di pittori visivi siciliani, lo spettatore percepisce un dialogo tra l’artista e lo spazio enigmatico che aderisce a una dualità: immutabile e in continua evoluzione. La duplice natura di questa cultura è insita nelle sue tradizioni. Attraverso il filtro sottile della terra di Sicilia passa una vicenda che ha innumerevoli diramazioni ma dal sostrato comune.
Lo stile artistico di Tom Di Salvo è cambiato nel tempo, sperimentando attraverso disegni a penna e inchiostro, schizzi a grafite, opere con tecniche miste, tele di medie e grandi dimensioni con e senza elementi testuali, totem e repliche dei gargoyle in pietra che decorano Villa Palagonia. Ognuna delle sue opere è audace e vibrante, interessante e travolgente, enigmatica e divertente. I colori e le forme stimolano l’appetito oltre la sazietà, e gli elementi visivi che emanano le tele di Di Salvo convincono l’osservatore che non è ancora sazio.
Un apprezzamento di queste opere richiede di osservarle da piani opposti, attraverso lenti diverse e con il vigore e la resistenza necessari per salire contemporaneamente su una scala mentre si scava una trincea. Gran parte del corpus è composto da piani letterali che rivelano i temi dell’opera, stratificati come sabbia più soffice su un terreno più denso. Allo stesso tempo, ogni piccolo dettaglio di immagine, pennellata e posizione svela il suo scopo distinto e il piano più perfetto dell’artista, che quando tutto è detto e fatto, scatena infinitesimali possibilità di significato.
Di Salvo ha amato parole e simboli come componenti primordiali ed eterne nel cerchio della vita, e la poesia, che costituisce lo strato fondamentale di così tanti dei suoi dipinti, funge anche da piano protettivo. La sua arte incorpora una miriade di simboli come egli stesso spiega:
“A livello subatomico e atomico, la natura parla il linguaggio della matematica; a livello molecolare e biologico, il latino; a livello astronomico, torna alla matematica. Per tutto ciò che sta nel mezzo, parla l’idioma delle varie specie locali, il ronzio dei pesci è delle profondità, il canto volatile degli uccelli, il gergo ululante delle scimmie o la diatriba della razza umana” [3].
L’osservatore di una tela di Di Salvo può interpretare il dialogo che è incarnato nelle immagini e nei simboli. L’aura dell’immagine stabilisce una connessione tra l’artista e lo spettatore attraverso la sonorità della parola.
Oltre a essere un autodidatta di talento, Tom Di Salvo fu anche appassionato delle lettere, nel senso più concreto di grafema. All’inizio della carriera, cominciò a incorporare versi stencil nello strato di base delle sue tele, adattandoli in modo creativo in ogni progetto. L’intento era probabilmente quello di trattenere lo spettatore e prolungare la conversazione tra l’osservatore e il dipinto. Sperimentare con i vocaboli, l’illuminazione, i filtri e le prospettive rivela sicuramente giochi di parole, versi poetici, traduzioni in una varietà di idiomi che giustificano la raffigurazione sovrapposta. Attraverso l’uso di immagini organizzate, quadranti, simboli ed equazioni matematiche, Di Salvo è in grado di trasmettere la progressione sequenziale degli eventi e di unire il discorso polifonico e i messaggi dei suoi protagonisti sulla tela, infondendo alla sua arte un senso logico che non è evidente a prima vista, proprio perché Di Salvo si avvicina al suo lavoro da una percezione multidimensionale che una cultura e un piano unico non possono soddisfare.
Bagheria, sua amata città natale, lo ha celebrato nel 1992 con la mostra a Palazzo Butera[4] The Kandyskin chronicle (Fig. 3 a-b) e nel 2008 con una esposizione a Palazzo Aragona Cutò dal titolo Trascendental Realism[5].
Oggi, l’unico posto pubblico in città in cui poter osservare da vicino un paio di dipinti di Tom Di Salvo è la “Libreria Interno 95” di Liliana Caminiti, amica dell’artista. Sebbene lo spazio sia limitato, Liliana mostra con orgoglio al pubblico l’arte di Di Salvo e la libreria è diventata uno spazio di incontro per gli amici artisti e letterati del maestro (Fig. 4).
Gli eredi dell’artista hanno, di recente [6], deciso di donare alla Pinacoteca comunale di Villa Cattolica alcune tele, quelle che compongono la serie con Le quattro stagioni (Fig. 5 a-b-c-d).
5abcd – Tom Di Salvo, Le quattro stagioni, tecnica mista su tela, 2002, coll. privata.
I dipinti, tutti dello stesso formato, presentano elementi stilizzati ripetuti che celano, di volta in volta, la scritta AUTUMN, WINTER, SPRING, SUMMER, pure ripetuta, spezzando il rapporto di priorità fra parola e immagine. L’ispirazione dell’artista arriva dal mondo che lo circonda, da quello che ha vissuto, immaginato e percepito.
Quello delle stagioni è, tra i tanti, il tema che ritorna spesso nelle opere di pittori più o meno noti e che si può ammirare nei musei o in collezioni private: è la raffigurazione ciclica e il relativo cambiamento che porta nelle persone, nel paesaggio, nei sensi. Autumn propone un’atmosfera unica con una tavolozza di colori caldi; Winter mostra la sua aria magica, quando tutto si copre di bianco e il freddo avvolge il corpo e l’ambiente; Spring presenta il risveglio della natura attraverso la luce che cambia e mostra il mondo sotto nuove angolazioni, i profumi che invadono l’aria e i colori che riempiono gli occhi; in Summer si vedono le tinte della bella stagione, il caldo affidato alle cromie e al chiarore mutevole. Qui, in basso a destra, sono la firma e la data: T. Di Salvo 2002.
Tra le opere pubblicate in questo saggio [7], realizzate negli ultimi anni di vita [8], è la tela con St. John’s Violin [9] (Fig. 6), del 2000, che reinterpreta parte della tavola con la scena della “Trasfigurazione” di Raffaello Sanzio realizzata nel 1518.
La Trasfigurazione si svolge su una collina, con gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni prostrati per la sfolgorante manifestazione centrale, affiancata dalle apparizioni sovrannaturali di Mosè ed Elia, profeti nelle cui parole si prevedeva l’accaduto. Di Salvo sostituisce la figura di Gesù con un grande violino. Omette, inoltre, la parte inferiore dell’opera di Raffaello, ovvero i restanti apostoli che si incontrano con il fanciullo ossesso.
Anche in questo dipinto, come in altri, la figura è sovrapposta alle lettere maiuscole e viceversa. Il testo riporta una parte di A Song for St. Cecilia’s Day, datata 1687 e scritta da John Dryden:
“When Nature underneath a heap of jarring atoms lay, and could not heave her head, the tuneful voice was heard from high, arise ye more than dead”.
Tra le opere di Di Salvo, non mancano altre citazioni a pitture note come il San Sebastiano di Andrea Mantegna, del 1456-59 esposto a Kunsthistorisches Museum di Vienna, riferimento per l’artista nella realizzazione di Kandyskin V (Anger) del 1988 custodito presso Florida Atlantic University, Boca Raton; oppure I Girasoli di Vincent Van Gogh, del 1889 in mostra al Van Gogh Museum di Amsterdam, chiaramente citati in Dipinto senza titolo di girasoli in un vaso, del 1983 di collezione privata. Solo per ricordarne un paio, ma l’elenco è molto più ampio.
Liebestod (“morte d’amore” in tedesco) è l’interpretazione della drammatica aria finale dell’opera Tristano e Isotta di Richard Wagner (Fig. 7).
Il termine letterario Liebestod si riferisce al tema della morte erotica o “morte d’amore”, appunto, nella quale i due amanti consumano il loro amore nella morte o dopo di essa. E infatti, il direttore dell’orchestra posta in secondo piano ha il volto di un teschio, una fiamma in mano e una lama come bacchetta per indicare il tempo. Il testo, celato nel dipinto, è tratto pure dal dramma musicale di Wagner: “Ertrinken, Versinken, Unbewusst, Hochste Iust”.
Scrive Gabriella D’Agostino:
“Gli succedeva spesso, durante i momenti più diversi della sua giornata (…) che una immagine, già tutta compiuta di particolari, gli si formasse in mente. Tom la vedeva lì, dentro di sé, la custodiva e la studiava finché non sentiva il bisogno di tirarla fuori. Talvolta erano immagini scaturite da versi (…)”[10].
Il dipinto Cello Concerto (Fig. 8) rappresenta un concerto per violoncello in una esibizione in cui lo strumento è solista. Il suono della musica si propaga all’ambiente circostante lasciando vibrare le note musicali che avvolgono il violoncellista in abito scuro.
La squisita qualità di ogni singola pennellata che assomiglia a piccoli vortici di stucco affascina lo spettatore. Nella combinazione idiosincratica di oggetti, simboli e idee, l’arte e l’artista sono intrecciati l’uno nell’altro. Scoprire uno strato del carattere di Tom Di Salvo significa avere visibilità su un aspetto della sua arte e scoprire uno strato delle sue tele significa avere una visione dell’esperienza dell’artista, ma nessuno dei due aspetti definisce oggettivamente l’opera.
Korikancha (Fig. 9), ispirato alle terre andine come Machu Picchu Silenzio di cui si dirà a breve, raffigura il prospetto del tempio più importante inca che si trova a Cusco, in Perù. In primo piano sono due figure in abiti tradizionali locali mentre al centro è raffigurato un puma trafitto da un gladio. Il felino è simbolo di forza, saggezza e intelligenza. Rappresenta il “Kay Pacha”, parola quechua che significa “il mondo dei vivi”. Per gli Incas era un animale divino che rappresentava il potere del mondo e la città di Cusco, capitale dell’impero degli Inca, parrebbe avere proprio la forma di un puma, la cui testa si trova nella fortezza di Sacsayhuaman e la linea nel tempio di Coricancha. La tela è percorsa dall’iscrizione in lettere maiuscole “En el nombre del Padre y del Hijo y del Espiritu Santo”.
Pure di ispirazione andina è Machu Picchu Silenzio (Fig. 10). Ritrae la fortezza inca che sorge sulle Ande peruviane e i resti di un’antica e fascinosa città perduta, universalmente conosciuta sia per le sue imponenti e originali rovine sia per l’impressionante vista dall’alto.
Il tema del dipinto è soprattutto il silenzio, parola ripetuta a lettere maiuscole e in lingue diverse sulla tela. La quiete delle sue pietre ancestrali, intervallate dai sussurri del vento, sembra raccontare storie scomparse, invitando a un’intima riflessione sulla grandezza di un popolo che ha saputo costruire un impero nel cuore di una natura tanto maestosa quanto implacabile. L’opera è stata scelta per la locandina della mostra Trascendental Realism, organizzata nel 2007 al Museo dell’Arte contemporanea di Cusco (Fig. 11).
Anche in ACTG… Terminator Gene[11] (Fig. 12), dipinto del 2000 che presenta una natura morta, ancora una volta Tom Di Salvo propone parole e immagini che si mischiano e sovrappongono, spezzando il rapporto di priorità fra testo e raffigurazione: si legge ACTG… Terminator Gene. I suoi dipinti, arricchiti da strati testuali sottostanti e traduzioni semiotiche di famose opere d’arte, rivelano legami distinti con modelli etnici americani, italiani e ibridi.
The fire of birds (Fig. 13) propone una serie di uccelli di fuoco in volo disposti a triangolo con una foresta sullo sfondo. Testo e immagine, che frequentemente si sovrappongono nelle opere di Tom Di Salvo, qui rivelano il Prologue di Dylan Thomas del 1952: “At poor peace I sing to you strangers though song is a burning and crested act, the fire of birds in the world’s turning wood”. Osserva l’antropologo Antonino Buttitta: “Le opere di Di Salvo riflettono il palinsesto intellettuale dell’uomo del nostro tempo, la sua molteplicità, le sue contraddizioni, le zone in qualche modo conoscibili e quelle che restano malgrado tutto oscure: una densità di sentimenti e di problemi esitata talora in positive invenzioni, talaltra soltanto prefigurata”[12].
Mi piace chiudere questo saggio dedicato a Tom Di Salvo proprio con le sue parole: “Dipingere significa dare una rappresentazione concreta alla luce, luce sperimentata solo nella mente interiore. La luce è nella forma di una visione che si sforza di vedere se stessa, di liberarsi attraverso l’artista. La vera visione artistica, come ogni altra entità, fatica a nascere: l’artista che funge da ostetrica. La vera visione artistica è un tutto in guerra, integrato, composto solo da parti che, al di fuori del nesso delle loro relazioni reciproche, potrebbero esistere come note stridenti, semplici appendici di una sinfonia”[13].
Lisa SCIORTINO Bagheria, 17 Novembre 2024
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