di Claudio LISTANTI
Il secondo concerto sinfonico del 2022 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia è stato dedicato a Franz Joseph Haydn e ad una delle sue composizioni più significative, l’oratorio Die Schöpfung (La Creazione) che in questa occasione è stato eseguito nell’edizione italiana approntata nel 1801 da Giuseppe Carpani ed avente come titolo La Creazione del Mondo. Una sorta di ‘rarità’ quindi, accompagnata da una preziosa esecuzione affidata al direttore inglese John Eliot Gardiner che ha guidato l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, il Coro di Santa Cecilia diretto da Piero Monti e una valida compagnia di canto ottenendo al termine un chiaro e lusinghiero successo di pubblico.
Per comprendere più approfonditamente l’importanza di questa proposta musicale è giusto partire da alcune note storiche circa il percorso di questo oratorio
Scritto da Haydn nel periodo 1796-1798 può essere considerato il frutto dell’interesse del compositore austriaco non solo per l’argomento strettamente religioso ma, anche, per la sua evidente attrazione per quei grandi affreschi corali che sono gli oratori di Georg Friedrich Händel, all’epoca ormai scomparso del 1759, conosciuti però molto da vicino a seguito di due viaggi a Londra che lo videro soggiornare nella capitale inglese nel periodo 1791-1792 e, successivamente, nel periodo 1794-1795. Ascoltò molte esecuzioni haendeliane che lo colpirono particolarmente, facendo nascere in lui una sorta di venerazione per il musicista sassone del quale ammirava il respiro d’insieme, il vigore musicale, la poeticità e, soprattutto, lo stile compositivo che si ispirava alle forme melodrammatiche settecentesche che avevano particolare ascendente presso il pubblico viennese.
I due viaggi a Londra furono proposti dal musicista ed impresario tedesco trasferitosi nella capitale inglese, Johann Peter Salomon, che durante il secondo soggiorno fece conoscere ad Haydn un testo che il poeta (oggi sconosciuto) Lindley scrisse per Händel, tratto dalla Genesi e dal Paradiso perduto di John Milton. Ma fu la traduzione tedesca di Gottfried van Swieten a far scoccare la scintilla creativa di Haydn che dal 1796 al 1798 lo mise in musica con il titolo Die Schöpfung.
L’esecuzione fu molto attesa dal mondo musicale viennese e la prima assoluta avvenne in due occasioni: il 29 aprile 1798 con una esecuzione privata sponsorizzata da un gruppo di nobili cittadini a Palazzo Schwarzenberg e, l’anno successivo, il 19 Marzo 1799, presso il Karntnerthor-Theater di Vienna con una affollatissima esecuzione pubblica.
Die Schöpfung ebbe un successo senza precedenti come ricorda il musicologo Giovanni Bietti nelle note pubblicate nel programma di sala della serata, che collocarono quest’opera musicale tra le più celebrate del suo tempo, paragonabile alla fama odierna della Nona di Beethoven. Il successo di Die Schöpfung fu dovuto non solo alle straordinarie doti di musicista di Haydn ma, anche, all’innegabile carattere handeliano della partitura con la sua brillantezza sonora unita ad una elegante e raffinata orchestrazione.
Il capolavoro di Händel fu apprezzato molto anche qui da noi in Italia, elemento che favorì la traduzione italiana di Giuseppe Carpani, che abbiamo ascoltato in questa occasione, senza dubbio utile per i gusti e le aspettative del pubblico di allora. A provare la fama di questo capolavoro ricordiamo l’episodio della vita di Giuseppe Verdi raccontato da Giulio Ricordi quando il musicista, ancora studente, fu chiamato al Teatro Filodrammatico di Milano a sostituire il maestro Masini alla direzione proprio de La Creazione che forse (chissà?) sarà stata eseguita proprio con questo testo italiano.
Strutturalmente La Creazione è suddivisa in tre parti distinte, tra loro piuttosto bilanciate nell’elemento temporale, con le prime due dedicate alle sei giornate che impegnarono il Signore a trarre dal nulla la Terra e il sistema che l’accoglie e la terza parte, invece, dedicata agli ‘umani’ con l’amore tra Adamo e Eva. Il testo delle prime due parti segue con una certa fedeltà il racconto biblico contenuto nella Genesi enunciato dai tre arcangeli, Raffaele, Gabriele e Uriele, mentre per la terza parte, i versi descrivono incisivamente le personalità di Adamo ed Eva, coloro che avvieranno la stirpe del genere umano.
Per quanto riguarda la partitura è innegabile che essa è stata concepita sul modello del grande Händel, con la sequenza di recitativi ai quali è affidato il ruolo descrittivo dell’azione, seguiti dalle arie che assumono anche la forma di duetti e terzetti, elemento considerato vero e proprio termometro psicologico delle sensazioni interiori di ogni singolo, o gruppi, di personaggi. Ad essi si aggiungono i cori, spesso in alternanza con le voci soliste, ai quali è affidato il ruolo conclusivo dei diversi ‘momenti’ raccontati, qui utilizzati alla fine di ogni giornata e, in maniera del tutto trascinante e monumentale, al termine di ognuna delle tre parti, l’ultima delle quali caratterizzata da un intervento di particolare magnificenza musicale, che pone il giusto suggello all’oratorio.
È innegabile altresì la chiara derivazione da stilemi mutuati dall’opera lirica, della quale Händel era maestro, genere frequentato spesso da Haydn non solo per la realizzazione di drammi teatrali seri ma anche per quelli di carattere giocoso. Una ispirazione che ne La Creazione influisce certamente nella strutturazione della linea vocale, molto impegnativa per gli interpreti, in particolar modo per regalare all’ascoltatore la necessaria espressività di sentimenti e psicologie proprie di ogni singolo personaggio.
Ma Haydn riuscì ad inserire in questa partitura, oltre ad una raffinata ed ‘avanzata’ orchestrazione, anche un ulteriore elemento innovativo, quello di un diverso modo di realizzare i recitativi, confermandone il ruolo espressamente ‘descrittivo’ ma aggiungendo al loro interno anche degli elementi ‘esclusivamente’ melodici che ne arricchiscono le peculiarità ‘comunicative’. Tale caratteristiche emergono in special modo nella terza parte, il momento dell’oratorio che guarda di più al futuro, all’800 teatrale che di lì a qualche anno si affermerà in Italia e in tutta Europa, che vedrà entro un trentennio, o poco più, l’affermazione del ‘Romanticismo’, il periodo del teatro per musica, sicuramente, più celebrato al mondo.
Una delle pagine più geniali de La Creazione è quella introduttiva che all’ascolto riesce sempre ad essere emozionante e coinvolgente, sulla partitura nominata ‘La rappresentazione del caos’ con la quale Haydn riesce a far scoccare quella scintilla che diede il via alla creazione del mondo. Una sorta di magma musicale accoglie all’inizio lo spettatore, si ascolta una musica ‘sospesa’ che evoca una visione ‘grigia’ di quanto preesisteva alla creazione. La musica non lascia intravvedere alcun elemento preponderante. Uriele narra della volontà del Signore di creare il cielo e la terra partendo da una visione dominata dall’oscurità e dalle tenebre. Interviene il coro per comunicare che Dio sta creando la Luce. Su questa parola un forte dell’orchestra con tutti gli strumenti impegnati produce una sorta di esplosione sonora che ci fa capire che la creazione del mondo è iniziata, comunicando all’ascoltatore quella luminosità improvvisa che è stata la scintilla dalla quale tutto è iniziato. Alcuni critici hanno dato, per questo momento, una sorta di spiegazione filosofica legandolo all’Illuminismo settecentesco che vedeva nella luce l’ideale di un nuovo mondo, un elemento che avrebbe dato il via all’emancipazione e alla libertà degli uomini di tutta la terra. Interpretazione, certo, condivisibile ma alla quale si accoppia quella più specificatamente religiosa, affine anche alla mentalità di Haydn, che vede nella creazione della luce l’incipit che ha dato vita all’universo e a tutti i suoi contenuti, materiali, umani e spirituali.
Comunque la si pensi è però certo che da questo momento cambia l’atmosfera per l’ascoltatore che vedrà scorrere, immaginariamente, davanti a sé tutte le ulteriori fasi della creazione che seguono la separazione delle tenebre dalla luce, come la creazione del cielo, delle acque, dei frutti della terra, degli animali per giungere alla fine a quella dell’uomo, il tutto seguendo fedelmente quanto contenuto nella Genesi. Per descrivere, o rappresentare, tutto questo Haydn utilizza una raffinata orchestrazione basata su un organico particolarmente ricco che oltre agli archi prevede 3 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, un controfagotto, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani e basso continuo ai quali si aggiunge la potenza del coro misto a quattro voci e cinque parti vocali.
L’esecuzione è stata affidata ad uno dei direttori che, nel mondo, è tra i più apprezzati, l’inglese John Eliot Gardiner che ha regalato al pubblico romano una esecuzione molto accurata, attenta alla dinamica dei suoni e alla realizzazione dei tempi, per ottenere un risultato d’insieme del tutto godibile. Una esecuzione di grande valenza, ottenuta grazie al contributo e alla professionalità dei componenti dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ai quali va ricordato anche quello del Coro dell’Accademia di Santa Cecilia diretto da Piero Monti.
Per quanto riguarda le parti vocali è stata scelta la via di affidare più parti per ogni singolo cantante. Nella compagnia, nell’insieme ben assortita, spiccava la prova del soprano olandese Lenneke Ruiten il cui curriculum ci dice di essere in possesso di un repertorio piuttosto vasto che va da Mozart fino ad Henze passando per Donizetti, Verdi e Weil, integrato da una buona esperienza in campo liederistico; esperienze esecutive che le hanno consentito di interpretare le parti di Gabriele e di Eva con una certa sicurezza di emissione e intensità interpretativa. Le due parti di basso previste, Raffaele e Adamo, sono state affidate a Roberto Lorenzi che le eseguite senza particolari difficoltà il cui timbro di voce non è stato messo bene in risalto dall’acustica della Sala Santa Cecilia osservazione questa che si può applicare anche alla prova del tenore Giovanni Sala (Ariele) anche lui, come il precedente esecutore molto accurato. Per concludere è giusto citare anche la prova del mezzosoprano Antonella Capurso, appartenente al Coro ceciliano alla quale è stata affidata la parte solista prevista per il finale dell’oratorio.
Le recita alla quale abbiamo assistito (13 gennaio) è stata salutata al termine da lunghi e convinti applausi con numerose chiamate al proscenio per tutti gli interpreti ma, in special modo per Gardiner, direttore che ci auguriamo di ascoltare sempre più frequentemente nei concerti di Santa Cecilia.
Claudio LISTANTI Roma 16 Gennaio 2022