di Claudio LISTANTI
Buon successo di pubblico per la Tosca di Giacomo Puccini che anche in questa stagione è ritornata sul palcoscenico del Teatro dell’Opera con una apprezzabile esecuzione guidata da Paolo Arrivabeni assieme ad una compagnia di canto formata da Anna Pirozzi, Gregory Kunde che debuttava nel ruolo di Cavaradossi e Giovanni Meoni.
È stato ripreso l’allestimento del 2015 basato sulle storiche scene originali del 1900 di Adolf Hohenstein.
La Tosca di Giacomo Puccini è il capolavoro del teatro per musica più legato alla città di Roma non solo per l’ambientamento storico che vede l’azione svolgersi in luoghi simbolo della Città Eterna ma anche perché Tosca iniziò il suo cammino trionfale proprio a Roma, il 14 gennaio 1900, nell’allora Teatro Costanzi. Quella prima assoluta che ebbe la presenza di un pubblico strabocchevole nel quale si registrò anche quella di Giacomo Puccini in persona, parteciparono cantanti molto in vista di allora, la rumena Hariclea Darclée cantante dalle ottime qualità vocali e sceniche che regalò al pubblico un avvenente Tosca.
Emilio De Marchi tenore molto apprezzato all’epoca che Puccini scelse per il suo Cavaradossi preferendolo all’emergente Enrico Caruso ma di lui più giovane di dodici anni e il baritono Eugenio Giraldoni dalla voce scura e potente anch’egli dotato di una forte presenza scenica che interpretò la parte di Scarpia.
Adolf Hohenstein valente pittore dell’epoca, molto apprezzato anche come illustratore, pubblicitario e scenografo, fu anche direttore artistico dell’officina per la stampa dei manifesti litografici per Ricordi e collaborò per diversi allestimenti di fine ‘800 primo ‘900, come il Falstaff di Verdi nel 1893 e La bohème di Puccini nel 1896, preparò i bozzetti per le scene e i figurini per i costumi sui quali fu costruito l’intero allestimento.
Fu rappresentato in complessive 17 recite che ebbero un progressivo e consistente successo che consentirono a questa nuova opera il fortunato decollo internazionale che hanno condotto Tosca fino ai nostri giorni ed essere collocata tra le opere liriche più conosciute, più apprezzate e più rappresentate.
Come era d’uso tra ‘800 e primi ‘900 gli allestimenti della prima vanivano frequentemente abbandonati e per le riproposte ne venivano adottati altri conservando però l’ambientazione originale. Così fu anche per Tosca che, almeno fino al 1928, fu rappresentata con una certa frequenza ma con impianto scenografico sempre differente.
Il 1928 è l’anno della ristrutturazione del Teatro Costanzi. Con il fascismo al potere fu ristrutturato per divenire Teatro Reale dell’Opera, ed assolvere con una rinnovata veste un compito più istituzionale. Non poteva, quindi, mancare Tosca, per la quale fu adottato un nuovo allestimento, affidato a Camillo Parravicini, anch’esso molto fedele all’ambientazione, che fu adottato per le numerose rappresentazioni del capolavoro pucciniano fino al 1963 comprendendo tra queste anche le recite estive presso le Terme di Caracalla che dal 1937 allietano le estati romane con i grandi capolavori della lirica.
Nel 1964 il Teatro dell’Opera riprese i bozzetti di Adolf Hohenstein che Ettore Rondelli realizzò per il palcoscenico con la regia affidata a Mauro Bolognini, divenendo così la Tosca di riferimento per il teatro. Se togliamo qualche altro allestimento che ha interrotto la continuità della realizzazione Hohenstein/Rondelli questa scenografia conquistò il palcoscenico romano fino al 2010.
Giungiamo al 2015. Il Teatro dell’Opera, allora guidato dal sovrintendete Carlo Fuortes, decise di riproporre Tosca con un allestimento il più fedele possibile a quello del 1900. È stata così intrapresa una sorta di operazione di ripristino di quello che fu l’originale procedendo ad un intervento di ripulitura e di sistemazione di ciò che aveva inquinato, con gli anni ed il susseguirsi della messe in scena e dei registi, quanto Hohenstein aveva concepito.
Bozzetti e figurini originali sono stati il punto di partenza per una scenografia realizzata ex-novo. Lo scenografo Carlo Savi ha ricostruito le scene, mentre la costumista Anna Biagiotti ne ha realizzato i costumi con Vinicio Cheli che ha curato la parte ‘luci’ e la regia affidata ad Alessandro Talevi. Diverse sono state le difficoltà incontrate per arrivare alla realizzazione. Tra queste la più importante è stata quella di superare il fatto che i bozzetti originali erano concepiti per un boccascena che misurava 12 metri per 8, mentre la ristrutturazione del 1928 ha portato il boccascena alle più ampie misure di 16 metri per 8. Il lavoro è stato minuzioso, come ben descritto da Carlo Savi nel programma di sala. Sono stati utilizzati modellini in scala ridotta per poter modulare le dimensioni di scene e fondali da inserire sul palcoscenico. Anche i mobili disegnati dallo stesso Hohenstein sono stati riprodotti in maniera fedele. Una operazione di costruzione e ricostruzione resa possibile dall’alta professionalità di quanti lavorano per le realizzazioni sceniche del Teatro dell’Opera, i laboratori di pittura, falegnameria, sartoria e gli attrezzisti. Persone che è giusto ricordare per far comprendere la complessità che sta dietro ad una produzione operistica che necessita di assoluta competenza per realizzare lo spettacolo.
Questa Tosca, che possiamo dire ‘rinvigorita’, è ogni anno inserita in cartellone assegnandole così quel ruolo di ‘stabilità’ che oggi gli spettacoli lirici hanno perso a scapito della ‘novità’ a tutti i costi, frutto di quell’intellettualismo ‘strisciante’ che sta sempre più dilagando producendo spettacoli operistici il più delle volte avulsi dalla volontà degli autori ottenendo come prodotto un distacco sempre più forte tra autore e spettatore. Nel contempo questo allestimento dimostra che un maggiore rispetto della tradizione esecutiva produce una consistente attrazione da parte del pubblico che affolla le recite al limite della capienza dei sposti disponibili.
La partitura concepita da Puccini è di estremo interesse e ne esalta l’ambientazione e l’azione in maniera del tutto ottimale per una fruizione completa ed esaustiva di tutti i contenuti. In Puccini, specie da La bohème in poi, l’ambientazione è determinante e tutto il procedere dell’opera sottolinea questo aspetto. Innanzi tutto c’è l’uso del leitmotiv, certo di ispirazione wagneriana ma qui non utilizzato in maniera strutturale e sistematica, ma utile a comprendere personaggi e stati d’animo. Così come il tema di Scarpia, forse quello più importante, che appare massiccio e travolgente negli accordi iniziali che riescono ad introdurre l’ascoltatore in quel mondo, tema che si ripresenta quando il terribile capo della polizia entra in scena oppure quando è evocato come nel finale dell’opera. Poi c’è il tema amoroso tra Tosca e Cavaradossi che evoca momenti felici e tranquilli così come le brevi citazioni musicali che sottolineano Angelotti e il Sacrestano.
Puccini fu anche molto esigente per le parti più squisitamente ambientali. Ci sono due punti dell’opera dove la connotazione ‘romana’ è molto ben evidente considerando anche che si narra una azione del giugno del 1800. Specificatamente sono la conclusione del primo atto, che culmina con la processione di popolo e religiosi che entrano nella Chiesa di Sant’Andrea della Valle per celebrare il Te Deum di ringraziamento per la presunta sconfitta (poi divenuta vittoria) di Napoleone a Marengo, e l’inizio del terzo atto dove c’è un mirabile squarcio della campagna romana visto dagli spalti di Castel Sant’Angelo.
Il musicista si avvalse dell’aiuto di suoi amici toscani viventi a Roma, il lucchese Alfredo Vandini e il pisano, padre domenicano, don Pietro Panichelli. Il primo risolse il problema delle strofe dello stornello romanesco che canta il pastorello, coinvolgendo il poeta romanesco Giggi Zanazzo che fornì il testo basato su uno schema metrico fornito dallo stesso Puccini. Don Panichelli invece fu coinvolto per consigli sulla parte liturgica del finale del primo atto fornendo anche gli spunti musicali per il canto del Te Deum riferendo quanto si praticava a Roma per casi analoghi. Il prete fu anche interpellato per le tonalità del suono delle campane che si ascoltano nel magnifico affresco del mattutino a Castel Sant’Angelo.
Come riporta Giuseppe Adami nella sua biografia di Puccini, don Panichelli chiese il parere ad un musicista attivo nelle chiese di Roma, Andrea Meluzzi, che assicurò
“… quel tono squarciato, indistinto, confuso, inafferrabile del campanone di San Pietro risponde ad un mi naturale. E mi ha soggiunto che posso scriverlo con sicurezza a lei sotto la sua responsabilità”.
Ma per riprodurre questo ‘effetto campane’ lo stesso Puccini volle de visu controllarne la musicalità. Come narra Fedele D’Amico nell’illuminate saggio pubblicato nel programma di sala della serata, il musicista si recò personalmente, di buon mattino, per ascoltare e riprodurre con più efficacia l’effetto sonoro.
Per questa riproposta di Tosca il Teatro dell’Opera ha puntato su una compagnia di canto di ottimo livello e caratura internazionale. Nella recita che abbiamo ascoltato (2 novembre) il ruolo del titolo è stata affidato al soprano Anna Pirozzi, cantante molto quotata oggi, la cui carriera si sta svolgendo con grande successo, soprattutto all’estero, interpretando personaggi dal notevole peso vocale per un repertorio nel quale l’interpretazione di Tosca ne accresce senza dubbio la valenza. Voce potente, che all’interno del Teatro dell’Opera ‘corre’ felicemente per dare al personaggio i giusti accenti drammatici. Mette in evidenza una notevole facilità di emissione che il pubblico dimostra di apprezzare pienamente anche se occorrerebbe qualche miglioramento nella parte più recitata che nella Tosca è piuttosto importante. Comunque una prestazione di rilievo molto applaudita sia a scena aperta che al termine della recita.
Nella parte di Mario Cavaradossi c’era il sorprendente e fenomenale Gregory Kunde. Questa recita è stata molto importante per il tenore statunitense perché ha segnato il suo debutto in questo ruolo fondamentale per la Storia dell’Opera ed è tra i più conosciuti ed apprezzati dal pubblico fino a divenire vero e proprio ‘mito’ della musica lirica. È un debutto avvenuto nella piena maturità del cantante che possiede un repertorio ricco e articolato che comprende tutti i grandi ruoli scritti per questo registro di voce che Kunde ha saputo interpretare sempre con eccellenti prove, elementi che lo portano ad essere considerato tra i più grandi tenori tuttora in attività. Va dato atto al Teatro dell’Opera di essere stato il motore di un simile avvenimento che, senza dubbio, arricchisce la straordinaria tradizione dell’istituzione musicale.
Kunde è stato un Cavaradossi intenso, molto attento alle emissioni per le quali ha messo a disposizione la sua voce che, a dispetto del passare degli anni, appare sempre fresca ed affascinante. La sua tecnica gli consente, sempre, di proporre una linea vocale del tutto fluente che supera con naturalezza gli ostacoli rendendo il canto privo di ogni difficoltà di carattere vocale ed esecutivo; una prova arricchita anche da una efficace e recitazione. Per lui un successo di cospicue dimensioni con applausi a scena aperta e trionfo finale.
In questo stesso numero di About Art pubblichiamo una intervista a Gregory Kunde curata dalla collega Daniela Puggioni che contribuisce ad approfondire la personalità artistica del tenore.
Il baritono Giovanni Meoni è stato un Barone Scarpia mancante di quegli interventi roboanti che caratterizzano la storia di questo ruolo, fatto che con molta evidenza ha deluso un po’ il pubblico. Comunque la sua prova è stata valida perché ha esibito una vocalità misurata ed in certi punti elegante che non ha compromesso le connotazioni del personaggio.
Per quanto riguarda gli altri interpreti da segnalare il Sagrestano di Roberto Abbondanza, un cantante dalla lunga esperienza di teatro che ha saputo dare spessore a questa piccola/grande parte nata dall’insegnamento del Fra Melitone verdiano, che necessità di cantanti molto esperti nel repertorio ‘buffo’ che ne mettano in risalto la caratterizzazione teatrale. Anche per Abbondanza un buon successo personale al termine della recita.
Luciano Leoni è stato un puntuale Angelotti assieme a Didier Pieri credibile Spoletta. Per Sciarrone e Un carceriere due artisti provenienti dal coro del teatro rispettivamente Daniele Massimi e Alessandro Fabbri. Nella parte del Pastorello la giovane Miriam Noce ha cantato con sicurezza un ruolo certo piccolo ma importante per lo sviluppo e la poetica di questa scena che è tra le più significative dell’Opera.
Alla recita hanno partecipato, con validi risultati, la Scuola di Canto Corale dl Teatro dell’Opera di Roma, il Coro dell’Opera diretto da Roberto Gabbiani e l’Orchestra del Teatro dell’Opera. A guidare la parte musicale è stato Paolo Arrivabeni, direttore di lunga e provata esperienza nel teatro d’opera, che anche questa volta ha fornito una valida esecuzione regalandoci una recita del tutto appassionata e coinvolgente.
Come già anticipato il pubblico convenuto al Teatro dell’Opera al limite della capienza, ha spesso sottolineato il gradimento con diversi applausi a scena aperta salutando la fine della recita con evidente entusiasmo e numerose chiamate per tutti gli interpreti.
Claudio LISTANTI Roma 6 Novembre 2022