di Claudio LISTANTI
Al Teatro dell’Opera di Roma è andato in scena il secondo spettacolo del ciclo “Il Trittico ricomposto” un progetto messo in atto dal Direttore Musicale del Teatro Michele Mariotti per mettere in relazione le tre opere in un atto di Giacomo Puccini che formano una delle unioni più solide tra tre entità diverse di tutta la storia dell’Opera, Il Trittico, con altrettanti capolavori più o meno della stesa epoca.
Il progetto si sviluppa in tre anni e ogni accoppiamento è realizzato e rappresentato nell’ambito di tre stagioni liriche diverse. Ognuno di questi abbinamenti, inoltre, è affidato a diversi registi scelti tra i più attivi e più gettonati nell’ambito del teatro lirico europeo per un progetto artistico e culturale realizzato dal teatro lirico romano in collaborazione con il Festival Puccini di Torre del Lago in occasione del centenario della morte del compositore che si celebra proprio in questo 2024.
Dopo l’accoppiata dello scorso anno che mise in relazione Il tabarro con Il castello del Principe Barbablù di Bela Bartok, oggi è stato scelto il dittico formato da Gianni Schicchi con L’heure espagnole di Maurice Ravel in attesa dell’altro abbinamento, in programma per la prossima stagione, che vedrà contrapporsi Suor Angelica a Il prigioniero di Luigi Dallapiccola.
La prima cosa che, a nostro giudizio, c’è da osservare è che si tratta più che altro di una scomposizione che toglie efficacia musicale e drammatica ad una delle creazioni operistiche più felici della storia del teatro lirico, Il trittico di Puccini appunto, che riesce a legare assieme tre opere di carattere e contenuto differenti per creare un corpo unico ben amalgamato, avvincente e godibile nell’insieme. Questa riflessione a parte, ci sembra un po’ avventuroso parlare di ‘ricomposizione’ anche se l’operazione presenta l’incontestabile merito di mettere in relazione capolavori di grandi musicisti evidenziandone la maestria compositiva di ognuno unitamente alle differenze espressive e stilistiche spesso all’opposto l’una dall’altra.
Per quanto riguarda l’abbinamento di questa seconda tappa del progetto Il Trittico ricomposto, con l’esecuzione di Gianni Schicchi e L’heure espagnole, la rappresentazione dei due atti unici ha dimostrato che tra le due entità esistono profonde differenze. Gianni Schicchi può essere considerato vero e proprio prodotto della straordinaria stagione dell’opera buffa/comica del teatro lirico italiano, genere che ha attraversato più secoli della storia della musica, risultando chiara eredità di capolavori come il Barbiere rossiniano o il Falstaff verdiano, presentando una vis comica inesauribile. Una eredità questa che Puccini dimostra di ricevere volentieri creando un capolavoro musicale che, seppur caratterizzato da uno stile perfettamente in linea con l’epoca nella quale è stato composto, deriva con molta chiarezza dalla scuola italiana, dove l’elemento melodico assume un ruolo determinante per la caratterizzazione dei personaggi e delle situazioni teatrali rappresentate con indiscutibile fluidità, gusto ed eleganza.
Questo grazie anche al libretto di Giovacchino Forzano drammaturgo e scrittore che è riuscito a dare a Gianni Schicchi quei caratteri di ‘toscanità’ indispensabili per rappresentare una storia che dimostra di essere ben contenuta in una cornice con queste peculiarità. Ogni personaggio è evidenziato da un ritratto che ne mostra le caratteristiche; non solo Schicchi con le sue invenzioni e le sue burle ma, anche, con tutti gli altri personaggi ognuno disegnato con indiscutibile sagacia. Tutti sono proiettati verso l’effetto economico di una possibile eredità scaturita dalla morte del congiunto Buoso Donati. Ad essere attivi sono i parenti come la Zita e Simone, i due adolescenti amanti Lauretta e Rinuccio ma anche il medico con la sua ‘bolognesità’ e il notaio dai toni la cui ‘solennità’ è enunciata dall’utilizzo del latino. Una opera ‘corale’ nell’insieme ed in questo l’insegnamento del Falstaff è evidente e Puccini dimostra di raccoglierne il testimone.
L’heure espagnole può essere considerata l’opposto dello Schicchi pucciniano. Presenta una vocalità quasi per intero rivolta al recitativo e del tutto priva, o quasi, della melodia. Nell’insieme è figlia, teatralmente, di quel tipo di teatro francese di autori, solo per fare un esempio, come Georges Feydeau, con trame assurde ed eccentriche per questa occasione scritta dal librettista e poeta francese Franc-Nohain che produsse un libretto tratto da una propria omonima commedia del 1904. È una pièce teatrale divertente e ben congegnata, con personaggi caricaturali tra i quali spicca Concepción con la sua frenesia amorosa che si contrappone al marito Torquemada con il suo amore per gli orologi. Poi ci sono i due amanti del momento di Concepción, Gozalve e il banchiere Don Iñigo, entrambe personalità eccentriche rappresentate con spirito, classe e una certa ricercatezza, elementi dati soprattutto dalle soluzioni strumentali scelte in orchestra, cui si contrappone il mulattiere Ramiro protagonista di tutte le evoluzioni degli orologi spostati, dentro ai quali si nascondono gli amanti che trasporta all’interno della casa a seconda dei desideri di Concepción restando al termine, forse, amante ideale per la donna. L’opera termina con una mirabile parte corale alla quale partecipano tutti e cinque i personaggi, unica pagina del genere in tutta l’opera che comunque è valorizzata nella sua interezza da una straordinaria orchestrazione frutto della maestria di Ravel tramite la quale riesce a descrivere in maniera elegante e raffinata i caratteri dei personaggi in scena.
Le due opere, ci sembra, non hanno nulla in comune se non la quasi coetaneità. L’heure composta nel 1907 e rappresentata nel 1911, lo Schicchi composto nel 1917 e rappresentato nel 1918. Certo hanno in comune di essere il prodotto di due grandi musicisti di inizio ‘900, entrambi raffinati e grandi orchestratori protagonisti assoluti del mondo culturale e musicale che ha caratterizzato l’alba del ventesimo secolo.
L’incarico di mettere in scena l’insolita unione di queste due opere capolavoro è stata affidato al regista berlinese Ersan Mondtag. Ancora piuttosto giovane, Mondtag è considerato uno degli artisti più interessanti di oggi. Ha debuttato come regista lirico nel 2020 con Der Schmied von Gent (Il fabbro di Gand) di Schreker all’Opera Ballet Vlaanderen in Belgio allestimento che gli è valso il Premio come Miglior Scenografo agli OPER! Awards 2020.
Buona la scelta degli organizzatori del Teatro dell’Opera di affidare al regista berlinese la realizzazione scenica di questo spettacolo che ha segnato per Mondtag il debutto operistico italiano.
Per uno spettacolo di questo tipo è necessario costruire un impianto scenico che contenga l’azione delle due differenti entità teatrali elemento che lo stesso Ersan Mondtag ha creato. Per l’occasione ha costruito una struttura di base che vedeva al centro della scena una sorta di mascherone sormontante l’azione che si svolgeva sotto i suoi occhi. Alla vista è parsa chiara una certa somiglianza con uno dei mostri di Pirro Ligorio che orna il celebre giardino di Bomarzo ma qui collocato in una posizione che ai più può far pensare alla famosissima sequenza cinematografica che raffigura il Tempio del dio Moloch tratta da Cabiria di Giovanni Pastrone.
Sotto lo sguardo vigile di questo mascherone si svolgeva l’azione di carattere medioevale nata dalla fantasia di Giovacchino Forzano arricchita dalla strepitosa partitura concepita da Puccini. Il regista ha però concepito un’azione che era troppo orientata verso il clownistico che contrastava con la coralità, caratteristica fondamentale di questa opera riuscendo a banalizzarla anche se i movimenti erano del tutto curati e arricchiti visivamente dagli splendidi costumi di Johanna Stenzel che sono stati uno degli elementi positivi di tutto lo spettacolo.
Una delle idee basilari che hanno dato luogo alla rappresentazione di Mondtag pensata per trovare un filo che leghi le due opere eseguite è stata quella, come dichiarato dallo stesso regista, di rappresentare “…il mondo prima e dopo l’apocalisse” (rispettivamente Schicchi e Heure). Il tutto per dimostrare che
“…finito il mondo, ci si accorge che gli uomini continuano a vivere gli stessi conflitti, come se niente fosse”.
Questo suo pensiero si è riversato su L’heure espagnole con dei video dove scorrevano sul fondo scene raffiguranti un ambiente post apocalittico con mareggiate, stormi di uccelli svolazzanti contrastati dal volo di spaventosi dinosauri volanti, eruzioni vulcaniche in contrapposizione ai prati verdi di un mondo immaginato come nuovo inizio di civiltà dopo la distruzione. Di fronte a questo scenario, ben realizzato dai video di Luis August Krawen, resta ben difficile abbinare a quanto succede ne L’heure espagnole con la sua trama, seppur fantastica, ma di contenuti squisitamente reali anche se realizzati in maniera elegantemente satirica.
A completare lo spettacolo le efficaci luci di Sascha Zauner.
Per quanto riguarda l’esecuzione è apparsa del tutto curata grazie soprattutto a Michele Mariotti che ha dimostrato con la sua prova tutto il personale entusiasmo per questa sua scelta che ha senza dubbio il merito di mettere a confronto capolavori del ‘900 per i quali è sempre utile una riproposta, in special modo per una partitura come quella di Ravel alla quale, nonostante gli indubbi meriti musicali, non corrispondono frequenti esecuzioni.
Per quanto riguarda la compagnia di canto c’è da dire che è risultata di ottimo livello. C’è da sottolineare in primis che tutti i componenti hanno fornito una interpretazione scenica del tutto in linea con l’impostazione registica testimonianza univoca della professionalità di ognuno degli artisti impegnati.
Nel Gianni Schicchi di grande presa la prova di Carlo Lepore nel ruolo del titolo al quale ha messo a disposizione la sua grande esperienza vocale e scenica conseguita nella sua importante carriera nel campo dell’opera comica e buffa restituendoci un personaggio del tutto credibile anche vocalmente. Immediatamente dopo la coppia dei due innamorati. La sud africana Vuvu Mpofu ci ha dato una Lauretta dalla vocalità del tutto adeguata al personaggio che è riuscita a rendere con credibilità ed efficacia. Stesso discorso per il tenore Giovanni Sala un Rinuccio di pari efficienza scenica e vocale, anch’egli sostenuto da una più che buona linea vocale.
Nelle altre parti è emersa la Zita di Sonia Ganassi, tradizionalmente ruolo affidato a cantanti di provata esperienza nel campo dell’opera, elementi che la Ganassi possiede per i diversi ruoli che la cantante emiliana ha interpretato nel corso della sua fulgida carriera che l’ha vista impegnata in un repertorio tanto vasto quanto impegnativo soprattutto per i ruoli belcantistici sia del repertorio buffo che in quello serio. Di rilievo il Simone di Nicola Ulivieri e il Marco di Daniele Terenzi. Al loro fianco i piacevoli Betto di Roberto Accurso, Gherardo di Ya-Chung Huang e lo Spinelloccio di Domenico Colaianni.
Dopo aver ricordato anche le prove di Leonardo Graziani Gherardino, Alessandro Guerzoni Pinellino e Daniele Massimi Guccio, concludiamo mettendo in evidenza le prove dei cantanti provenienti dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma tutti molto bravi per la caratterizzazione dei personaggi loro affidati: Valentina Gargano Nella, Ekaterine Buachidze La Ciesca e Mattia Rossi Ser Amantio di Nicolao.
L’elemento più importante per giudicare la prova di questa compagnia di canto è l’assoluta fedeltà alla resa d’insieme che è il migliore omaggio alla coralità, caratteristica fondamentale di questo capolavoro.
Anche i cinque cantanti impegnati ne L’heure espagnole hanno valorizzato l’esecuzione mettendo bene in risalto il ‘recitativo’ che è l’elemento basilare di questa partitura. Tre di questi cantanti facevano parte anche dello Schicchi, Ya-Chung Huang Torquemada, Giovanni Sala Gonzalve e Nicola Ulivieri Don Iñigo Gomez che hanno confermato anche in questo caso la loro buona prova. Al loro fianco il mezzosoprano Karine Deshayes una Concepción diverte e spiritosa con il baritono Markus Werba, molto apprezzato qui al Teatro dell’Opera per le prove fornite con Zaide di Mozart, e il recente Zauberflöte, che ci ha regalato un Ramiro raffinato e divertente.
Questo spettacolo ha fatto registrare un buon successo di pubblico a conferma del costante incremento degli spettatori evidenziato dal Teatro dell’Opera, elemento confortante per lo sviluppo del teatro lirico. Nella recita alla quale abbiamo assistito (16 febbraio) tutti gli esecutori sono stati applauditi al termine di ogni singola opera e, in particolare, con i lunghi applausi dedicati a Michele Mariotti.
Claudio LISTANTI Roma 18 Febbraio 2024