di Stefania MACIOCE
Sonus 1 a cura di Barbara Aniello, inaugura la prima collana ideata diretta e curata da Barbara Aniello dedicata all’iconografia musicale presente nei musei italiani.
Dopo Firenze, seguiranno i numeri dedicati a Roma, Città del Vaticano, Napoli, Milano, Bergamo, Palermo, Padova, Viterbo, Ravenna, Tarquinia, Perugia.
Concepito come un libro, Sonus 1 Firenze si presenta come un catalogo che delinea un percorso interattivo tra il visivo e il sonoro. Come settore specifico di studi sull’arte, l’iconografia musicale è la disciplina che si occupa delle immagini a soggetto musicale nelle fonti figurative. Come disciplina storica dunque, essa non si limita ad individuare e catalogare sotto il profilo organologico strumenti musicali presenti nelle raffigurazioni artistiche, ma apre a riflessioni di carattere interdisciplinare e più ampiamente culturale. Sonus 1 Firenze non è solo un catalogo iconografico, ma anche un compendio di studi iconologici, finalizzati alla comprensione più profonda dei significati simbolicamente sottesi alle immagini.
Il percorso critico di questo primo volume muove dal Museo dell’Opera del Duomo di Firenze e si snoda tra il campanile e la cattedrale di Santa Maria del Fiore, culminando nel battistero di San Giovanni. Le risorse multimediali collegate al volume, permettono al lettore di ascoltare gli strumenti raffigurati nelle diverse opere figurative. Un visitatore potrà dunque ammirare immagini, ma anche udire la sonorità di strumenti antichi come liuti, vielle, trombe e cimbali. Nel volume ai saggi si allegano schede e approfondimenti, dovuti a un giovane gruppo di autori formatisi alla Pontificia Università Gregoriana che ha restituito, attraverso una luce inedita, uno sfondo teologico alle opere.
Affreschi, dipinti, sculture, miniature, mosaici, vetrate, tessuti vengono indagati in questo pregiato catalogo alla ricerca delle immagini che ci tramandano musicisti, strumenti musicali, danzatori, cantori contestualizzando il ruolo che la musica ha rivestito nella storia dell’arte e del pensiero
La copertina seleziona un Angelo tubicino, una scultura in marmo realizzata da Tino di Camaino nel 1321 e conservata a Firenze, nel Museo dell’Opera del Duomo (Galleria delle sculture), originariamante posto in cima al pennacchio destro, timpano del Monumento funebre del vescovo Antonio d’Orso posto sulla controfacciata della cattedrale di Santa Maria del Fiore.
La sua funzione simbolica secondo la ricostruzione critica qui proposta, era quella di accompagnare, attraverso una musica silenziosa, il defunto nell’ultimo distacco dalla terra prima di compiere il suo ingresso definitivo nell’empireo, una volta compiuta l’elevatio animae cui fanno riferimento gli angeli reggicortina. Spesso nell’arte figurativa si parla di musica silenziosa, secondo il tema portante della ‘musica in figura’, ma in questo caso l’ossimoro è pertinente, poiché la musica non può essere ascoltata da viventi, ma esercita la sua funzione in un mondo soprannaturale.
La derivazione da modelli antichi è attestata dalla tromba che viene a sostituire l’antica fiaccola che accompagnava i geni classici e il suono costituisce un equivalente del fuoco allusivo alla vita eterna. Una musica dunque inudibile per le orecchie dei mortali, che riflette l’armonia cosmica che governava sia l’anima dell’uomo che il moto dei corpi celesti, secondo la teoria della scuola pitagorico-platonica diffusasi dal Medioevo cristiano fino al Rinascimento.
JUBAL
E’ ben nota agli artisti del tempo la tradizione di Jubal che suona la tuba romana, dalla tipica canna cilindrica lunga e stretta, leggermente conica. Jubal, è indicato dal Gn 4,21 come l’inventore di altri strumenti musicali:
“Si chiamava Iubal fu il padre di tutti i suonatori di cetra e di flauto”.
L’immagine presenta il personaggio biblico intento a modulare una voce non sua, che dia forma espressiva alla sua interiorità. Inizia con lui l’avventura artistica innescata proprio dalla musica primigenia e l’epopea della conoscenza intellettuale che parte dal richiamo alla bellezza e all’ armonia del cosmo governato dalle leggi matematico/musicali. In particolare Jubal melodiarum inventor figura nella tradizione come l’inventore degli strumenti melodici.
Ispiratore diretto del ciclo scultoreo, ove figura l’opera di Andrea Pisano, fu fra Remigio de’ Girolami, teologo domenicano attivo a Firenze tra il Duecento e il Trecento e discepolo di San Tommaso d’Aquino, ritenuto tradizionalmente uno dei maestri di Dante. Nel suo trattato dell’inizio del Trecento, intitolato Contra falsos Ecclesiae professores, la parte dedicata al lavoro presenta sorprendenti analogie con il ciclo del campanile e con altre fonti (quali le Etymologiae di Isidoro di Siviglia, Les livres dou Tresor di Brunetto Latini, lo Speculum majus del teologo francese Vincenzo di Beauvais e il De reductione artium ad theologiam di San Bonaventura). La connotazione religiosa dell’inventore della melodia contrasta con l’accezione negativa dello scopritore delle percussioni e forgiatore di metalli. Jubal rappresenta infatti l’ethos sacro, cui si contrappone il pathos pagano di Tubalcain.
TUBALCAIN
Questi infatti è protagonista di un’altra formella del campanile e la tradizione lo vuole inventore degli strumenti a percussione, come si rintraccia nello Spaeculum humanae salvationis del quarto decennio del XIV secolo, conservato nella Biblioteca Nazionale di Vienna.
“Tubalcain inventor artis ferrarie – Jubal melodiarum inventor ” è intento alla lavorazione dei metalli, attraverso la quale per il pensiero classico, finiva l’era dell’armonia dell’uomo con il creato e iniziava un tempo di violenza, la cui espressione suprema era la guerra. Tubalcaino, il fabbro, il padre di quanti lavorano il rame e il ferro” (Gn 4,22).
Dietro la sua incudine figura la fucina, il focolare dove viene arroventato il ferro, poiché Tubalcain è l’“inventor artis ferrarie” e nel pensiero antico egli era considerato inventore degli strumenti a percussione, secondo la leggenda di Pitagora che attraverso i suoni del martello scoprì gli intervalli musicali che regolano l’armonia. Tubalcain, più rozzo e primitivo contrasta con Jubal, simbolo della musica sacra e nella sua accezione profana rappresenta tutte le attività umane completando il programma iconografico del campanile.
Come altre religioni anche il Cristianesimo, sottolinea nel testo Mons. Timothy Verdon, la musica sacra è espressione della lode a Dio innalzata dai credenti e accompagna i testi biblici e interpretandone il senso orienta le emozioni avvicinando i fedeli al culto. Sin dall’antichità essa si associa ai riti solennizzandone l’aspetto misterioso quasi ad anticipare il traguardo ultraterreno. Il dialogo fra le arti figurative e la musica si rivela assai fecondo come si può evincere da alcune delle diverse opere analizzate nel volume
Lorenzo Ghiberti, Canto di Miriam (rilievo della Porta del Paradiso).
La profetessa Miriam sta danzando e muove leggera verso di noi suonando un tamburello: secondo la tradizione ebraica Salomè viene sempre rappresenta- nell’iconografia rinascimentale, con il piede sinistro in avanti tipico passo di inizio delle danze dell’epoca; mentre Miriam avanza con la gamba destra la gamba destra e rimanda così alle personificazioni di Atena, Minerva o della Filosofia, esaltando coraggio e saggezza. Il tamburello con piattini, o tamburo basco, ha origini antichissime: Ebrei, Egizi e Sumeri lo utilizzavano, forse già dal II millennio a.C., e la tipologia inizia a diffondersi in Europa soprattutto durante il Medioevo e il Rinascimento, coeva, pertanto, alla Firenze di Ghiberti. Il tamburo si usa soprattutto per marcare figurazioni ritmiche per l’effetto incalzante del rullo. Dalle baccanti dell’antica Grecia agli angeli nella tradizione cristiana europea, il tamburello accompagna diversi riti, Miriam mostra un tamburello rinascimentale, traduzione fiorentina dell’antico timpano ebraico, toph, citato nel passo dell’Esodo cui corrisponde questa iconografia:
“Allora Maria, la profetessa, sorella di Aronne, prese in mano un timpano: dietro a lei uscirono le donne con i timpani, formando cori di danze. (Es 15,20-21).
Il toph accompagnava il canto e la danza e, proprio ballando e suonando, Miriam mosse tutte le donne delle diverse tribù a imitarla, per condurre il suo popolo fuori dalla schiavitù d’Egitto, intonando canti. Nel Rinascimento lo strumento viene spesso raffigurato in mani muliebri o in contesti angelici, raramente in forma solistica, a sottolineare il coinvolgimento completo dei sensi in un contesto di gioia e riconoscenza per la salvezza ricevuta
Nella Cantoria di Donatello sono rappresentati tre strumenti musicali: le trombe diritte corte – due semplici e una doppia –, due piccoli cimbali e un tamburello. Nella parte frontale i putti alati si rincorrono, ballando e giocando con corone di fiori. Infine è da osservare che il terreno sul quale corrono festanti presenta foglie di giunchi, ghiande, bacche e fiori resi con modalità squisitamente naturalistiche.
Le trombe donatelliane, del tipo diritto corto, sono rappresentate con tratti compendiari. Benché anacronistiche per l’epoca, poiché già verso il XIV secolo avevano assunto forme diverse, più ridotte e ricurve, grazie alle innovazioni tecniche nella lavorazione del metallo, (assumendo la forma a ‘S’), rappresentano un indubbio recupero delle forme classicheggianti, simili a quelle tipiche del mondo romano (tube).
Avvicinandosi maggiormente alle probabili fonti dirette di Donatello per la Cantoria, si può citare un superbo esempio di arte romana esposto nei Musei Capitolini – un’urna cineraria di epoca augustea con di putti alati, muniti di strumenti musicali, che mettono in scena una danza circolare. Gli studi su Donatello hanno individuato una regolarità ritmica inscritta nella Cantoria. In particolare, propongono di leggere il ballo di bambini alati nel loro continuo alternarsi di pause (colonna), tempi deboli (putti reclinati) e tempi forti (putti in piedi).
Scorrendo le immagini in movimento continuo, in successione ritmica offrendo l’impressione di un’irregolare vivacità nel movimento del fregio che ben corrisponde all’aggettivo dionisiaco formulato a suo tempo da Argan.
Come ricorda Vasari, Donatello valutava gli aspetti ‘espositivi’ delle sue opere così anche la Cantoria prende in considerazione la sua posizione sotto la cupola, la prospettiva e il punto di vista dell’osservatore, le luci e le ombre e lo svolgimento della liturgia, accompagnata dalla musica. Infatti, le figure donatelliane, a differenza di quelle di Luca della Robbia nell’altra Cantoria, sono scolpite in modo sommario, appena abbozzato, per far risaltare la varietà espressiva della danza. Vasari commenta questa abilità di Donatello affermando che lavorava con le mani e con la testa perché
“le figure che Donatello faceva nel suo laboratorio sembravano meno belle di quanto poi apparivano nei luoghi dove erano collocate”.
Alcune figure che danzano da sinistra a destra e sono appena abbozzate, a suggerire una profondità e prospettiva che anticipano il famoso stiacciato donatelliano.
Donatello sembra sfidare il gusto apollineo che guida Luca della Robbia, in un confronto visivo e musicale, presentando un fregio continuo ove dà maggior rilievo alla danza, unendo eredità antica e pensiero cristiano. Il riferimento ai motivi, alle forme e ai temi antichi, con la suggestiva lettura teologica della gioiosa danza cosmica in primis, arricchisce l’immaginario del Paradiso cristiano una tematica che riconduce alla Firenze quattrocentesca, degli umanisti e dei teologi.
Fig 6) BEATO Angelico GIUDIZIO 1431 Particolare della caròla
Dai tempi più antichi, sono presenti vari tipi di ballo, tra cui la forma arcaica, la danza misterica o estatica, tipicamente espressa da un movimento circolare che può avere diverse forme e nomi, secondo i periodi storici e le culture. Un fenomeno davvero notevole è che la forma di girotondo viene ininterrottamente rappresentata dall’antichità ai giorni nostri. Numerose opere d’arte illustrano questo gioioso movimento circolare ulteriore rappresentazione della danza celeste che prende forma a Firenze, poco prima della Cantoria. Il notissimo Giudizio Universale di Fra Angelico esposto nel Museo di San Marco a Firenze, del 1425-1431, può aver ispirato Donatello.
Nella sezione sinistra della tavola notiamo una caròla, danza diffusa nel Quattrocento, con santi e angeli disposti a cerchio. Le figure – “celestemente ballando per la porta del Paradiso”– ci conducono allo spazio sacro per eccellenza, dove si balla seguendo la perfetta forma del cerchio divino. Il coloratissimo prato paradisiaco, minuziosamente dipinto da Beato Angelico, avrà la sua eco nelle piante e nei fiori scolpiti nel marmo bianco da Donatello. L’idilliaca rappresentazione del magnifico giardino del Paradiso, fa da sfondo alla danza.
L’episodio sembra tratto da un passo della Repubblica di Platone in particolare nel IX libro, dove si parla di immortalità dell’anima, del premio riservato ai giusti e dell'”abbraccio gioioso dei beati che danzano in cerchio sulla musica delle sfere (614b-617). Il tema si ricollega al movimento delle sfere celesti che nella teoria genera un’armonia complementare a quella dell’anima, secondo una teoria espressa già da Pitagora nel IV secolo a.C. e ripresa da S. Agostino, Clemente Alessandrino e Boezio.
Secondo la teoria, gli intervalli della scala musicale dipendono da una ratio (in greco logos), che assume un significato specifico. Con lo steso termine (“logos”) Giovanni indica Dio nel prologo al suo Vangelo (I, 1): la musica, la matematica e la numerologia sono infatti considerate come una chiave nascosta per avvicinarsi a Dio e al mistero del Creato.
Stefania MACIOCE Roma 12 Giugno 2022