di Sante GUIDO & Giuseppe MANTELLA
Dopo quasi 16 anni di pontificato, il 28 gennaio 1621 moriva a Roma papa Paolo V, al secolo Camillo Borghese (1552–1621), eletto il 16 maggio del 1605.
A lui si devono importanti opere pubbliche come l’ampliamento del porto di Civitavecchia e, per l’arrivo delle derrate a Roma, l’apertura della seconda bocca del Tevere a Fiumicino; l’edificazione della Fontana monumentale dell’Acqua Paola, termine dell’acquedotto di Traiano, dalle sorgenti sui monti Sabatini presso il lago di Bracciano, appositamente restaurato per l’approvvigionamento idrico di Trastevere, ma anche la costruzione della fontana presso Ponte Sisto detta “dei cento preti”.
Celeberrime le monumentali fabbriche quali la facciata ed il completamento della Basilica di San Pietro, su progetto di Carlo Maderno, ma anche la sistemazione del fondo archivistico della Biblioteca Apostolica Vaticana con la nascita dell’Archivio Segreto grazie alla realizzazione di nuove sale.
Ben più impegnativo l’ampliamento, ad opera di Flaminio Ponzio, del Palazzo del Quirinale e la sistemazione dell’antistante monumentale piazza. Lo stesso architetto fu incaricato fin dal primo anno di pontificato di erigere nella Basilica di Santa Maria Maggiore la Nuova Sacrestia con il sovrastante palazzo per i Canonici Liberiani e la cosiddetta Cappella Paolina o Borghese, meglio definita come Cappella della Salus Populi Romani ove è tutt’oggi conservata la più venerata delle icone mariane dell’Urbe.
L’immagine, una tavola dipinta, che la tradizione vuole far risalire alla mano di san Luca Evangelista, databile alla metà del XIII secolo, è stata recentemente restaurata da parte dei Musei Vaticani[1] (Fig.1), così come da parte di chi scrive è stata restaurata la mensa, opera di Luigi Valadier, e il monumentale dossale[2], con funzione di reliquiario della miracolosa icona, realizzato sotto la supervisione di Pompeo Targoni su modello di Girolamo Rainaldi tra il 1609 e il 1612 decorato con le sculture in bronzo di Stefano Maderno, Camillo Mariani e Guglielmo Berthelot e preziosi alabastri, diastri, lapislazzuli[3]. (Fig.2)
Il monumentale sacello, destinato alla propria sepoltura, insieme al sepolcro di Clemente VIII Aldobrandini, fu volutamente richiesto da papa Borghese ed a tale fabbrica riservò una particolare attenzione e cura durante i lavori di edificazione e decorazione; venne costruito tra il 1605 e il 1611 con un costo valutato in fase preliminare di circa 150.000 scudi che si accrebbe in corso d’opera fino alla somma di circa 300.000 scudi[4]. Come è noto la decorazione della cappella venne “diretta” dal Cavalier d’Arpino che raccolse attorno a sé, solo per citare i più noti, i pittori Giovanni Baglione, Guido Reni, Lodovico Cardi detto il Cigoli, gli scultori Nicolas Cordier, Francesco Mochi, Camillo Mariani. Appositamente chiamato a Roma da Napoli, ove si era trasferito nel 1607, fu convocato «Pietro Bernino Fiorentino», per realizzare il grande altorilievo raffigurante «l’Assunzione della Beata Vergine con gli Apostoli di marmo di mezzo rilievo»[5] (fig.3).
La grande raffigurazione in marmo di Carrara[6] realizzata tra i primi giorni del 1607 ed il 1610[7] era destinata per “essere posta nella facciata di fuori della cappella verso la guglia nella sallita del monte [lungo] Via Sistinae”[8], sul lato esterno del sacello, sul fianco meridionale della basilica. La Cappella Paolina si pone, quindi, quale fabbrica di fondamentale importanza in quanto rappresenta il punto d’arrivo della cultura figurativa romana sullo scorcio del XVI secolo, nella quale tuttavia sono presenti le prime avvisaglie di un nuovo linguaggio espressivo barocco, specie in raffronto con la simmetrica Cappella del Presepe, collocata sul lato opposto del transetto della Basilica Liberiana e voluta da papa Sisto V poco più di un decennio prima [9].
Per ricordare il Quarto centenario della morte di papa Paolo V Borghese si vuole tuttavia qui segnalare una poco nota scultura bronzea raffigurante il Pontefice benedicente (fìg. 4) con in mano le chiavi petrine, interamente ricoperto dal piviale (fìg. 5) che lo avvolge cadendo in pesanti pieghe, seduto su un trono decorato ai lati da due draghi con riferimento araldico allo stemma di Casa Borghese.
L’opera venne realizzata «secondo i modelli del Paolo III di Guglielmo della Porta (S. Pietro in vaticano, 1551) e del Sisto IV dei Taddeo Landini (1587. Distrutta)» [10] da «Paolo S. Quirico Parmeggiano» [11].
Poliedrica figura poco nota di scultore, medaglista (fìg. 6) e scenografo
del quale solo da alcuni anni, grazie ad un lungo magistrale saggio di Steven Ostrow [12], è stato possibile arricchire le scarse note biografiche redatte da Giovanni Baglione, contemporaneo dell’artista, che per secoli sono state l’unica e più accreditata fonte di informazioni sul
«virtuoso, [che] in età giovanile a Roma se ne venne, e diedesi a far ritratti di cera coloriti piccoli, e prese amicitia con Camillo Mariani Vicentino, maestro di scoltura, il quale instruillo in far modelli di rilievo. Buon gusto egli n’acquistò, e misesi a servire in Corte, ove fece sua vita con essere bussolante de’ Pontefici in Palazzo; et in tal guisa, fin all’ultimo di sua vecchiezza si trattenne» [13].
La realizzazione della scultura ad opera di Sanquirico fu piuttosto lunga e travagliata [14].
Da un documento del 9 dicembre 1609 [15] si evince la volontà del Capitolo Liberiano di far fondere una grande statua in bronzo da collocarsi nella Nuova Sacrestia in segno di gratitudine per i molti lavori che il pontefice aveva fatto realizzare nella Basilica di Santa Maria Maggiore, alcuni in tale data ancora in corso [16].
Eloquente a tale riguardo è la trascrizione della lapide ad opera di Paolo de Angelis nel suo fondamentale testo del 1621 Basilicae S. Maria Maioris[17] posta alla base del grande bronzo: PAULO V PONT. MAX. / QUOD SACELLO MAGNIFICENTISSIME AEDIFICATO / ATQUE EXTRUCTO / COLUMNA MARMOREA / PRO FORIBUS BASIL.CAE COLLOCATA / SACRARIO AEDIBUSQUE CANONICORUM CONDITIS / ATQUE ALLIS EXIMIAE VENERATIONIS / IN DEI GENITRICEM / EIUSQUE SACRATISSIMAM IMAGINEM / MONUMENTIS / BASILICAM HANC MAXIME AUXERIT ET ORNAVERIT / CANONICI POSUERE. (fìg. 7)
L’iscrizione attesta in poche righe lo straordinario impegno che papa Borghese riservò negli anni del suo pontificato alla Basilica Liberiana al fine di arricchirla di strutture che ne modificarono in modo determinante l’aspetto.
La monumentale scultura bronzea è citata da Baglione in un paragrafo della biografia di Sanquirico:
«Fece ad istanza del Capitolo di s. Maria maggiore, dentro la nuova Sacrestia, la statua di Papa Paolo v. di metallo alla mano sinistra, quando vi s’entra, e sta sopra un piedistallo di pietra con una iscrizione; et è in atto di benedire il Popolo. Questa statua due volte fu gettata; e benché nel piccolo modello di cera riuscisse buona, nella forma grande di metallo non ha corrisposto» [18].
L’ultima sentenza è solo uno dei tanti episodi relativi alla lunga ed articolata vicenda storica della scultura che si concluse nel 1931 con la sua attuale collocazione a coronamento dello scalone monumentale edificato da Ferdinando Fuga per accedere alla Loggia delle Benedizioni (v. fìg. 4).
Alla volontà del Capitolo espressa nel 1609, fu dato seguito solo nel 1615 allorquando, il 13 agosto, venne stipulato il contratto con Sanquirico per la realizzazione
«di una statua intiera di metallo, rappresentante la Santità di Nostro Signore Papa Paulo Quinto, sedente in sedia pontificale et con regno in testa [da terminarsi] il primo giorno di Novembre 1616» [19].
La realizzazione dell’opera, tuttavia, non si concluse nei tempi previsti dal contratto.
Solo nel 1618, due anni più tardi la data prevista per la consegna della scultura, il Capitolo Liberiano emise il pagamento per acquistare 213 libre di bronzo necessarie alla fusione che avvenne nella versione definitiva, come si evince da un Avviso del 16 luglio del 1619, emendata degli errori di fusione riferiti nella prima versione da Baglione. Un evento del resto non raro nella Roma del XVII secolo verificatosi, ad esempio, anche nel caso della monumentale scultura di Alessandro Algardi del 1649 raffigurante Papa Innocenzo X benedicente, riparata in tempi strettissimi con una parziale rifusione nei primi mesi del 1650, oggi nel Salone degli Orazi e Curiazi dei Musei Capitolini[20].
Un nuovo decreto del Capitolo Liberiano nell’ottobre del 1619 autorizzò l’acquisto del marmo per il piedistallo della statua; i lavori che si protrassero fino al maggio del 1620 trovarono compimento nell’agosto dello stesso anno quando furono valutati da Francesco Laparelli, architetto della Basilica [21]. In particolare, riferendosi alla successione delle fasi esecutive e alla conclusione del progetto, Ostrow ipotizza che «Sanquirico cast and finished the statue late in 1619 or early in 1620, and that it was erected in its niche in August of 1620, perhaps in time for the Feast of the Snow» [22].
Una coeva incisione a corredo del volume del de Angelis [23] (fig.8) mostra la statua sormontata dall’iscrizione dedicatoria tra pilastrini con i simboli di casa Borghese (il drago e l’aquila), posta all’interno di una nicchia di fronte la porta della nuova sacrestia come attestato anche dall’Avviso, già citato, del luglio 1619:
«la statua del Papa seduto nell’atto benedicente, che il capitolo di S. Maria Maggiore ha fatto realizzare e sarà posizionata in quella Basilica di fronte la porta della nuova sacrestia, come segno di gratitudine per la splendida cappella […], per il coro e il palazzo dei canonici molto spazioso che Sua Santità ha fatto costruire».[24]
Qui il grande bronzo rimase fìno alle trasformazioni della grande aula del Coro in battistero, realizzata nel 1826 da Giuseppe Valadier[25] (fìg. 9).
In tale occasione la nicchia del Paolo V fu convertita in porta per accedere allo spazio retrostante, corrispondente alla dismessa cappella di san Michele – decorata da pregevoli affreschi nella volta, attribuiti a Piero della Francesca – trasformata in passaggio d’uscita al cortile settentrionale della Basilica. La statua di Sanquirico fu quindi spostata e collocata in tale ambiente, come attestato dal Nibby [25] e dal Valentini (fìg. 10)[26], su un nuovo basamento a pianta mistilinea e fronte semicircolare corrispondente all’attuale. Su questo è possibile leggere la trascrizione del testo della lapide originale, che venne aggiunta al basamento nel 1920 in occasione del terzo centenario della realizzazione della statua. Infine, come già accennato, nel 1932 la scultura fu nuovamente spostata[27] alla sommità del grande scalone monumentale di accesso alla Loggia delle Benedizioni.
La scultura di Sanquirico dalla esasperata abbondanza del manto – le pieghe che si adagiano sulla base in marmo vennero fuse separatamente – così come l’intera composizione della figura dal corpo massiccio ma dalle spalle strette, è stata spesso aspramente criticate dagli studiosi[28] (fig. 11).
Furono certamente d’ostacolo per gli studiosi del XIX e del XX secolo nella valutazione dell’opera l’infelice collocazione del bronzo nel passaggio al cortile a partire dal 1826 e ancor più le pessime condizioni conservative del bronzo, che portarono nei primi anni Trenta del secolo scorso, in occasione dello spostamento nella sede attuale, – come emerso durante il restauro della scultura avvenuto nel 2005 – ad una totale “verniciatura” nerastra delle superfici con l’intento di assicurare una migliore fruizione dell’opera. Tali posizioni critiche, nate dalle osservazioni di Baglione:
«e benché nel piccolo modello di cera riuscisse buona, nella forma grande di metallo non ha corrisposto»
trovarono seguito e si radicarono in base al convincimento che Sanquirico fosse sì un pregevole medaglista, ma che messo alla prova nelle grandi dimensioni di una statua monumentale, non seppe dimostrarsi altrettanto capace.
Ancor più recentemente, in occasione del Giubileo del 1975, il grande bronzo venne nuovamente dipinto con un ulteriore strato di vernice nera (fig.12), così come avvenne anche nel caso della monumentale statua raffigurante Filippo IV re di Spagna, opera di Gianlorenzo Bernini e Girolamo Lucenti [29], sottoposta anch’essa ad un recente restauro che ne ha restituito l’originale colorazione della patinatura originale [30].
La scultura di Sanquirico, al momento di iniziare l’intervento di restauro si presentava infatti per molta parte “rivestita” dall’ultimo strato di vernice nerastra in alcune aree dal tono traslucido (fig.13). In alcuni punti ove fortemente inaridito e screpolato, era possibile osservare la presenza della precedente applicazione di colore che è stata identificata quale sostanza di origine naturale, dall’aspetto grasso e oleoso, simile alla pece e al bitume, probabilmente miscelata con cera d’api (fig.14).
Si tratta di materiali tradizionalmente utilizzati per la manutenzione e l’impermeabilizzazione di superfici metalliche e da riferirsi a quanto applicato allorquando la statua era collocata nella dismessa cappella di san Michele, ove rimase per circa un secolo e venne descritta come «nearly ruined […], dark and humid»[31] . Su tali strati sovrapposti nel corso dei secoli insisteva inoltre un pesante strato di polveri e particellato carbonioso, tenacemente adeso alla vernice moderna e, ancor peggio, perfettamente inglobato dalla precedente materia grassa, tanto da apparire come una coltre omogenea.
La rimozione di tali sostanze durante il lungo intervento di restauro, fino al raggiungimento degli strati originali del metallo, ha evidenziato la straordinaria cura dedicata da parte dell’autore della scultura nella realizzazione dei particolari, come ad esempio il preciso lavoro di rifinitura, quasi d’intaglio, delle superfici del piviale, ornato da elementi fitomorfi di grande naturalismo (fig.15), ottenuti grazie al sapiente uso di ceselli e bulini, pratica nella quale Sanquirico, da celebre medaglista e incisore, era maestro. L’intera raffigurazione, liberata dalla pesante cappa di sporco e vernici, ha così riacquistato una grande piacevolezza nell’originaria resa scultorea e nella morbidezza della plasticità fino ai più minuti dettagli.
Ne è un esempio il volto di papa Borghese dai più considerato come non perfettamente riuscito che, una volta liberato da quanto sovrapposto (fig.16), ha restituito dettagli come i sottili passaggi di piano dei volumi delle guance e il contrasto chiaroscurale con la corta barba realizzata a cesello (fig.17).
Il ritratto è apparso caratterizzato da uno spiccato realismo, che arriva finanche a cogliere la particolarità dello sguardo miope del pontefice o la presenza del neo nel sottociglio destro (fig.18).
Osservando la qualità raffinata dei dettagli, è quindi risultato più che giustificabile il protrarsi delle lavorazioni, durate circa un anno dopo la fusione del bronzo alla conclusione dei lavori di dodici mesi più tardi; sarebbe stato infatti impossibile mantenere un impegno come quello richiesto dal documento già citato che prevedeva la conclusione e il posizionamento della statua solo tre settimane più tardi, in modo da poter inaugurare il Paolo V benedicente in bronzo in occasione del “Miracolo delle Neve” del 5 agosto del 1619.
In un così breve spazio temporale l’artista non solo non avrebbe potuto eseguire le normali operazioni di raffreddamento del getto di fusione e di pulitura del metallo grezzo, ma non sarebbe certamente stato in grado di condurre a termine il sofisticato lavoro di rifinitura del ritratto, oltre alla definizione dei minuti dettagli decorativi come il prezioso razionale che ferma il piviale sul petto o, nel caso del triregno, la perfetta esecuzione delle singole perle e delle pietre preziose con relativo castone.
L’intervento ha inoltre evidenziato da parte di Sanquirico una particolare attenzione alla patinatura finale del bronzo – operazione spesso poco considerata ma determinante per una buona riuscita del lavoro – grazie alla sua sensibilità da esperto medaglista. Miscelando e calibrando acidi e basi forti, l’artista realizzò una patina dal tono caldo e quasi impercettibile per gli incarnati, una patina scura e opaca per i pesanti preziosi tessuti e una più delicata per le decorazioni come nel caso delle corone del triregno, arrivando fintanto a comporre una mistura trasparente e riflettente per le perle che si stagliano dal supporto (fig.19) le stesse chiavi papali presentano differenti finiture coloristiche evocative dell’oro e dell’argento.
Tali impercettibili passaggi tonali restituiscono all’opera una raffinatezza d’esecuzione tanto da diventare caratteri distintivi di Sanquirico, come evidenziato anche nel caso del bel Crocifisso per la Cappella Sacchetti in San Giovanni dei Fiorentini in Roma [32].
La riscoperta a seguito del restauro della «statua intiera di metallo, rappresentante la Santità di Nostro Signore Papa Paulo Quinto» di Paolo Sanquirico, voluta come segno di ringraziamento da parte del Capitolo Liberiano, può quindi ben essere accostata, specie nella trattazione del ritratto, a più celebri effigi di un pontefice che fu tra i più appassionati mecenati e protagonisti della nascita del barocco e della trasformazione di Roma quale capitale anche per delle arti.
Sante GUIDO & Giuseppe MANTELLA Roma 12 dicembre 2021
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