di Claudio LISTANTI
Puccini: un trittico di tre grandi capolavori
Giacomo Puccini è uno dei compositori italiani più rappresentati al mondo, un musicista la cui produzione si colloca in un periodo particolare della storia del nostro teatro lirico, quello successivo alla morte di Giuseppe Verdi.
Non era senz’altro facile succedere ad un artista che fu icona, per più di 60 anni dell’800, della nostra Musica, della nostra Arte e della nostra Cultura, ma Puccini ne ha indubbiamente seguito l’insegnamento proseguendo nel solco tracciato dal musicista bussetano per traghettare e collocare saldamente la nostra arte lirica nella cultura novecentesca nella quale le sue opere sono tra le più apprezzate.
Questo passaggio di consegne è certificato, in un certo senso, dal fatto che nel 1893, l’anno che vide la prima rappresentazione di Falstaff verdiano, iniziò la fama di Giacomo Puccini con il clamoroso e significativo successo di Manon Lescaut che, dopo lavori i lavori giovanili Le Villi e Edgar, segnò l’inizio del suo glorioso percorso artistico.
Una delle caratteristiche principali della sua arte è quella di seguire le poetiche musicali della sua epoca cercando di trasfondere nei suoi lavori tutte le novità e le innovazioni provenienti dai movimenti musicali di tutta Europa. In considerazione di queste peculiarità vogliamo parlare di uno dei capolavori più importanti di Puccini, composto da tre opere in un atto, Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi, che l’autore volle raggruppare in un’unica entità, nominata Trittico, un lavoro che vogliamo ricordare mettendone in risalto le caratteristiche di base.
Il Trittico è, in sostanza, l’ultima opera completa di Giacomo Puccini; scritta nel 1918 dopo La Fanciulla del west (1910) e la non felicissima esperienza de La Rondine (1917), precede di qualche anno Turandot, l’ultimo capolavoro pucciniano purtroppo incompiuto che andò in scena postumo nel 1926 con un finale aggiunto che, con evidenza, ne compromette lo sviluppo musicale e teatrale.
A fine ‘900, nel periodo cosiddetto ‘verista’, soprattutto dopo il successo, nel 1890, di Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, era apprezzata la formula ‘opera in un atto’; lo stesso Mascagni ne produsse un’altra, Zanetto, nel 1893. Frequentato era anche l’abbinamento di due opere in una serata come la stessa Cavalleria con Zanetto e anche con altri autori come Ruggero Leoncavallo con Pagliacci.
Puccini, sempre attento alle ‘novità’ che si registravano nel suo mondo, fin dai primi del ‘900 perseguì l’idea fissa di uno spettacolo d’opera composto da tre lavori. Già subito dopo Tosca, andata in scena nel 1900, pensò a tre atti unici di ispirazione dantesca dall’evidente titolo di Inferno, Purgatorio e Paradiso. Nel 1904, dopo Madama Butterfly, l’idea di tre atti unici era ancora in prima linea ma abbandonando Dante Alighieri per il contemporaneo Maksim Gor’kij, autore amato da Puccini, del quale voleva metter in musica i racconti ‘Ventisei e una’ e il ‘Kan e suo figlio’ esitando solo sul terzo titolo tra La Zattera, Lo Zingaro e Konovalov.
Siamo nel 1907 e l’idea fu accantonata mentre la creatività di Puccini si rivolse a La Fanciulla del West. Nella primavera del 1912 la svolta. Durante un suo soggiorno a Parigi, Puccini rimase colpito da un dramma di Didier Gold, La Houppelande (Il tabarro), che vide rappresentato al Teatro Marigny e che scosse la sua sensibilità di artista per l’atmosfera nella quale era immerso, un soggetto che possedeva quei caratteri di ‘rottura’ che immaginava come base per un’opera breve in un atto.
Era stato individuato il primo soggetto teatrale di questo ‘tris’ di opere in un atto. Era però difficile ricavarne un testo da musicare; Puccini pensò in prima battuta al letterato Ferdinando Martini che poco dopo, spaventato dalle caratteristiche ‘realiste’ della pièce si sfilò dal progetto. L’incarico passò a Giuseppe Adami, uno dei principali biografi pucciniani, che in breve riuscì a produrre un libretto subito approvato da Puccini, che iniziò a musicarlo nel 1913. Il lavoro fu momentaneamente interrotto dalla composizione de La Rondine; nel 1915 il musicista chiese modifiche all’Adami cercando, con totale assenza di tatto, di fare entrare nella partita anche il commediografo Dario Niccodemi.
Il Tabarro fu ultimato nel 1916 e, in parallelo furono scelti i soggetti delle altre due opere affidati al giornalista, drammaturgo, regista nonché prolifico librettista, Giovacchino Forzano. I due soggetti furono individuati in Suor Angelica, un dramma la cui bozza era da anni nel cassetto del letterato e Gianni Schicchi prendendo spunto da un passo della Divina Commedia dove nel XXX Canto Dante colloca la figura dell’intrigante accusato di aver falsificato un testamento. Ad oggi non è ancora ben chiaro a chi si deve accreditare la scelta di quest’ultimo soggetto; alcuni critici sostengono che fu opera di Forzano ma l’Adami sostiene che l’iniziativa fu opera di Puccini che in quegli anni leggeva spesso Dante al punto di viaggiare accompagnato da una edizione tascabile della Divina Commedia.
L’ultimo scoglio per Puccini fu quello di dare un titolo a questo insieme di tre opere in un atto. Come evidenziato da Mosco Carner, musicologo tra i più importanti studiosi pucciniani, nella biografia critica dedicata al compositore toscano ci dice che in casa Puccini ci fu una riunione tra amici per stabilire, a mo’ di divertente gioco di società, il titolo da assegnare al lavoro. Ci furono proposte anche bizzarre come triangolo, trinomio, tritono, financo treppiede fino a quando l’amico Guido Marotti non propose ‘Trittico’. E’una definizione ispirata all’arte figurativa, a quelle opere pittoriche divise in tre parti ma di contenuto omogeneo. Qui, invece, i soggetti, per il loro contenuto, sono in evidente contrasto tra loro, ma come cercheremo di dimostrare, è proprio questa contrapposizione a donare al lavoro musicale e teatrale i caratteri di unitarietà con i quali trovare la via per il rinnovo artistico rendendo il termine ‘Trittico’ del tutto inerente agli intenti.
Puccini desiderava che la prima assoluta si svolgesse al Teatro Costanzi di Roma, all’epoca uno dei punti focali dell’opera contemporanea. Ma siamo nel 1918, ancora è in atto la Prima Guerra Mondiale e, per ovvi motivi, questa soluzione fu impraticabile sia a Roma che nel resto d’Italia. Fu deciso di andare a New York dove il 14 dicembre del 1918, al Teatro Metropolitan sotto la direzione di Roberto Moranzoni il Trittico fu rappresentato con una importante compagnia di canto che nelle parti principali prevedeva per Il Tabarro Claudia Muzio (Giorgetta), Giulio Crimi (Luigi) e Luigi Montesanto (Michele); per Suor Angelica la grande e fascinosa Geraldine Farrar (Angelica) e Flora Perini (Principessa Zia); nel Gianni Schicchi Giuseppe De Luca (Schicchi), Florence Easton (Lauretta) e Giulio Crimi (Rinuccio).Fu la prima volta che Giacomo Puccini, con suo immenso rammarico, non presenziò alla prima di una sua creatura; motivi burocratici conseguenti al recente armistizio post-bellico non gli permisero di ottenere i necessari visti.
L’11 gennaio 1919 il Teatro Costanzi di Roma ospitò la prima europea dell’opera diretta per l’occasione da Gino Marinuzzi anche qui con una importante compagnia di canto che prevedeva per Il Tabarro Maria Labia (Giorgetta), Edoardo Di Giovanni (Luigi) e Carlo Galeffi (Michele); per Suor Angelica Gilda Dalla Rizza (Angelica) e Matilde Bianco Sadun (Principessa Zia); nel Gianni Schicchi Carlo Galeffi (Schicchi), Gilda Dalla Rizza (Lauretta) e Edoardo Di Giovanni (Rinuccio).
In entrambe le occasioni ebbe particolarmente successo solo Gianni Schicchi mentre il pubblico si dimostrò ancora impreparato ad apprezzare le altre due opere con immenso dispiacere per Puccini che aveva in Suor Angelica (forse) la sua creatura prediletta. Questi giudizi del pubblico permisero al Trittico di essere in breve tempo ‘smembrato’. Gianni Schicchi è senza dubbio l’opera più conosciuta che nel corso degli anni ha avuto un posto di preminenza nei teatri d’opera rappresentata sia da sola che abbinata ad altri opere tra le più disparate. La stessa sorte è toccata anche al Tabarro spesso abbinato al verismo della Cavalleria di Mascagni ma anche in ‘dittici’ dagli accoppiamenti più disparati. Suor Angelica è risultata la più bistrattata. Recentemente, però, c’è stato un recupero di ognuna di queste spesso eseguite nei teatri e, sempre di più, progressivamente anche con il giusto reinserimento nel repertorio del Trittico completo.
Il Tabarro. Una finestra sulla Parigi del primo novecento.
Il dramma La Houppelande di Didier Gold ispirò la composizione de Il Tabarro che si basa su un libretto di Giuseppe Adami.
In estrema sintesi l’azione è ambientata su uno di quei barconi da trasporto utilizzati sulla Senna ancorato in una banchina di Parigi. Sul barcone vivono Giorgetta una venticinquenne giovane moglie di Michele cinquantenne padrone del barcone e dell’attività ad esso connessa. Giorgetta ha una relazione amorosa con Luigi, uno scaricatore di venti anni che lavora per Michele. La vita di coppia tra Giorgetta e Michele è al capolinea rattristata in special modo dalla perdita prematura del loro figlio. Michele intuisce il tradimento della moglie ed in occasione di un loro incontro notturno intercetta Luigi uccidendolo; lo copre con il suo tabarro e quando Giorgetta arriva sul ponte del barcone in preda ad una triste premonizione la avvicina al tabarro scoprendo repentinamente il corpo dell’amante ucciso.
La Houppelande era un testo certamente granguignolesco e a prima vista l’argomento de Il Tabarro sembra ripercorrere questo stile. Ma Puccini non fu attratto da questo aspetto. A tal proposito vogliamo citare le stesse parole del musicista rivolte a Giuseppe Adami e riportate sul suo libro ‘Il Romanzo della Vita di Giacomo Puccini’:
“Quello che mi interessa è che la signora Senna mi diventi la vera protagonista del dramma. Questo genere di vita dei battellieri e scaricatori che trascinano la loro squallida esistenza nei traffici del fiume, rassegnati, è in pieno contrasto con l’ansia che palpita nel cuore di Giorgetta. Sete di terraferma, rimpianto del chiassoso tumulto del sobborgo, delle luci di Parigi. Il suo sogno è di evadere, di calpestare il marciapiede, di lasciare la cabina sull’acqua, dove è morto il suo bimbo … Ecco i bagliori e le ombre che devono dare al fattaccio un aspro e delicato sapore di acquaforte …”
Il libretto fu scritto efficacemente su queste basi sulle quali Puccini costruì un’opera del tutto aderente al suo pensiero. La Senna con il suo calmo e continuo fluire è sempre presente nella struttura musicale. L’opera, come spesso accade nei primi atti di Puccini, è strutturata in due parti ideali. La prima utilizzata per focalizzare l’ambiente, dove la vita del barcone è contrapposta a piccole scene quotidiane mentre nella seconda si concretizza con forza il dramma. Vengono presentati i personaggi principali. Luigi è descritto non solo dal punto di vista sentimentale ma anche per la sua mentalità ‘proletaria’. Puccini non dimostrò in vita simpatie politiche ma la condizione dei lavoratori era a quel tempo molto sentita. Ecco le parole di Luigi:
“Meglio non pensare,/piegare il capo ed incurvar la schiena./Per noi la vita non ha più valore,/ed ogni gioia si converte in pena./I sacchi in groppa e giù la testa a terra!/Se guardi in alto, bada alla frustata!/Il pane lo guadagni con sudore,/e l’ora dell’amore va rubata./Va rubata fra spasimi e paure,/che offuscano l’ebbrezza più divina./Tutto è conteso, tutto ci è rapito./La giornata è già buia alla mattina!”.
Accanto alla figura di Luigi è palpabile l’insoddisfazione di Michele e Giorgetta. Tutti stati d’animo che lasciano intendere una vita misera vissuta in una sorta di ‘microcosmo’ che è il barcone, alla quale si intreccia la Parigi circostante, quella della terra ferma con la musica che ci fa ascoltare, in lontananza, gli echi della intensa vita parigina assieme a episodi di vita quotidiana come la passeggiata di una coppia di innamorati sulla riva della Senna e l’intervento di un venditore di canzonette che accentua il desiderio di ‘normalità’ da parte dei personaggi.
Tutto ciò si avvale di una orchestrazione di grande spessore che comprende, oltre agli archi, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, trombone basso e una serie di percussioni: timpani, tamburo, triangolo, piatti, tam-tam, grancassa. Poi anche una cornetta, un clacson, una sirena oltre a celesta e arpa.
Dopo la prima esecuzione discordi furono i giudizi non solo del pubblico ma anche degli addetti ai lavori. Il musicologo Fedele D’Amico nel suo saggio ‘Modernità dell’ultimo Puccini’ cita i casi di Arturo Toscanini e Ferruccio Busoni. Il primo trovò nel Tabarro soltanto Grand Guignol mentre il secondo, che inorridì qualche anno prima all’ascolto di Butterfly disse che era un vero capolavoro. La spiegazione, secondo D’Amico, è che Toscanini giudicava ‘secondo categorie ottocentesche’ guardando al nocciolo del dramma. Busoni, invece, ‘secondo categorie novecentesche’ e quindi più incline “all’elaborazione musicale, al paesaggio e alla cornice”.
Audio 1
Il Tabarro – Scena iniziale
Si può ascoltare come la musica descrive il fluire calmo della Senna alla quale si contrappone il colloquio denso di ansia tra Giorgetta e Michele.
https://www.youtube.com/watch?v=ocra14oBk2I&list=PLMPWul7YIPQYMQzpGmVzHnQ4_WKLvsBNr&index=1
Audio 2
Il Tabarro – Un attimo di giovialità sul barcone.
Il clima è immediatamente cambiato con un piccolo episodio distensivo molto ben descritto dalla musica
https://www.youtube.com/watch?v=2UHeOBQzeT8&list=PLMPWul7YIPQYMQzpGmVzHnQ4_WKLvsBNr&index=4
Audio 3
Il Tabarro – Finale
Luigi è stato ucciso. Giorgetta raggiunge il ponte in preda a tristi presentimenti. Cerca il sollievo da Michele ma il marito la conduce vicino al tabarro dove è nascosto il corpo di Luigi.
https://www.youtube.com/watch?v=-TfaLxI_DjA&list=PLMPWul7YIPQYMQzpGmVzHnQ4_WKLvsBNr&index=24
I contributi audio sono tratti da
Giacomo Puccini – Il Tabarro
Tito Gobbi (Michele), Giacinto Prandelli (Luigi), Margaret Mas (Giorgetta) · Piero de Palma (Tinca) · Plinio Clabassi (Talpa)· Miriam Pirazzini (Frugola) · Renato Ercolani (Venditore di Canzonette)
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma – Direttore Vincenzo Bellezza.
Edizione Regis Records
Suor Angelica. Una tragedia di fine ‘600 in un convento di clausura.
Una idea letteraria di Giovacchino Forzano fu lo spunto per il libretto che egli stesso preparò per Suor Angelica. La seconda opera del trittico si svolge sul finire del XVII secolo in un convento dove c’è una giovane suora, Suor Angelica, una giovane patrizia orfana che una sua zia ha costretto a prendere il velo come castigo per aver dato alla luce un figlio dopo una colpevole relazione amorosa. Per sette anni è vissuta lontana dalla famiglia e dal figlio senza avere alcuna notizia dei congiunti. Improvvisamente riceve la visita della zia principessa arrivata al convento per chiederle una firma necessaria ad una formalità burocratica. Nel contempo comunica ad Angelica che il suo bambino è ormai morto. Scatta così il dramma. Angelica è presa dalla follia che la porta al suicidio mediante una bevanda preparata con un’erba velenosa. Ma a questo punto è assalita dal terrore perché caduta in peccato mortale. Si rivolge alla Vergine per chiederle la grazia. La Madonna le appare con il suo bambino portandolo fra le braccia della suora che muore consolata dal perdono divino. È il miracolo che conclude l’opera.
Come nel Tabarro anche qui l’opera è divisa in due parti. La prima dedicata all’ambientazione dove le scene della vita monastica vengono messe in evidenza con efficaci ‘colori’ musicali. La venuta della zia principessa è lo spartiacque per introdurre nella seconda parte dove matura, con forza, il dramma. Altra caratteristica è quella di prevedere una compagnia di canto interamente composta da voci femminili, ben 15 nel complesso, di cui solamente tre con voci di soprano e 12 con voci gravi, sia di mezzosoprano sia di contralto. Anche per la Suor Angelica l’organico orchestrale è notevole per ricchezza e varietà. Oltre agli archi, la partitura di Puccini prevede l’utilizzo di: legni a tre ma con solo 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 4 tromboni, trombone basso. Poi una nutrita sezione di percussioni, timpani, triangolo e arpa, celesta e glockenspiel. Poi una nutrita formazione orchestrale che interviene dietro la scena al momento del ‘miracolo’ composta da organo, ottavino, 3 tromboni, campane di bronzo ed acciaio, piatti e due pianoforti.
L’ambientazione fu particolarmente curata da Puccini che volle rappresentare un ambiente monastico del tutto credibile. Per ottenere ciò fece frequenti visite al Convento di Vicopelago sulla collina di Lucca dove sua sorella Igina fu suora agostiniana. Tali visite consentirono al musicista di rappresentare sulla scena l’intimità della vita claustrale e donare all’opera quella leggera e sottile patina di sacralità che introduce l’ascoltatore nell’ambiente.
Audio 4
Suor Angelica – Scena Iniziale
E’ qui evidente la descrizione dell’ambiente claustrale con le preghiere delle suore mentre la campana della chiesetta chiama alla preghiera mentre dai cipressi giunge il cinguettio degli uccelli.
RCA Victor Orchestra – Direttore Thomas Beecham
Edizione Heritage Records
https://www.youtube.com/watch?v=a4HyWgo-j8Q
Audio 5
Suor Angelica – Scena tra Zia Principessa e Suor Angelica
E’ la parte centrale dell’opera. La zia principessa giunge per la frima di alcuni documenti e comunica ad Angelica la morte del figlio. Nasce la disperazione della povera ragazza che la porterà al suicidio.
Fiorenza Cossotto (Zia Principessa), Katia Ricciarelli (Suor Angelica) – Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia – Direttore Bruno Bartoletti. Edizione Rca
https://www.youtube.com/watch?v=5cqxy23oMNU
Audio 6
Suor Angelica – Finale
Angelica decide per il suicido e chiede perdono alla Vergine. Subito dopo avverrà il miracolo della visione del figlio che chiude con grande emozione l’opera.
Mirella Freni (Suor Angelica) Coro Di Voci Bianchi “Guido Monaco” Di Prato · Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino. Direttore Bruno Bartoletti
Edizione Decca
https://www.youtube.com/watch?v=mkTpWbV2qKE
Gianni Schicchi. Un personaggio dantesco nella Firenze del 1299.
L’ultima delle tre opere è Gianni Schicchi. Dante Alighieri nell’ VIII cerchio dell’Inferno dove si trovano i falsari incontra Grifolino d’Arezzo, che nel XXX Canto gli illustra alcuni personaggi in quel luogo ospitati tra i quali coloro che avevano vestito i panni di altre persone. Tra questi Mirra e, appunto, Gianni Schicchi. Dice Grifolino:
“Quel folletto è Gianni Schicchi,/ e va rabbioso altrui così conciando”. Specificando poi: “Questa (Mirra) a peccar con esso così venne, /falsificando sé in altrui forma, /come l’altro che là sen va, sostenne, /per guadagnar la donna de la torma, /falsificare in sé Buoso Donati, /testando e dando al testamento norma”.
Su questi pochi versi Giacchino Forzano seppe produrre un libretto gustoso, vivace e giocoso, dove la ‘vis comica’ prodotta dal travestimento di Gianni Schicchi in Buoso Donati giunge ad effetti esilaranti. Ma il fine ultimo non è solo quello di avere i beni del defunto per l’arricchimento personale dello Schicchi ma per portare benessere alla sua figlia Lauretta ed al suo spasimante Rinuccio per dare loro una vita felice.
Molti hanno ravvisato nel Gianni Schicchi l’insegnamento che Verdi in vecchiaia impartì con il suo Falstaff, scritto 25 anni prima. Certo c’è il comune denominatore delle due coppie di giovani (Nannetta-Fenton e Lauretta-Rinuccio); entrambi i musicisti si rivolgono a loro come segno di speranza per un futuro che rinnovi, in un certo senso, la personalità e i loro modo di vedere la vita, oramai giunta alla maturità. Ma Falstaff è un’opera che può essere catalogata come ‘commedia’ e non è legata all’ambiente in cui si svolge e, quindi, esprime sentimenti e stati d’animo ‘assoluti. Gianni Schicchi, invece, è un’opera orientata verso il genere ‘buffo’ più legata all’ambiente, elemento che, ripetiamo ancora una volta, resta fondamentale per la poetica musicale pucciniana; si possono ravvisare molti toscanismi, certo dovuti alle origini territoriali di Forzano, come il modo di fare della gente di quei luoghi, ben sottolineati dalla musica che, sapientemente, in alcuni punti ricorda gli stornelli fiorentini esprimendo inoltre brio e spensieratezza che coinvolge il pubblico durante tutto il suo svolgimento. Anche qui la strumentazione è magistrale; frequente è l’uso dei ‘legni’ e di ‘percussioni’ il tutto rivolto alla caratterizzazione dei personaggi e delle situazioni che via via si pongono all’attenzione dello spettatore.
Audio 7
Gianni Schicchi – Parte iniziale
Un frapido intervento dell’orchestra ci porta con immediatezza nella stanza dove è morto Buoso Donati. Attorno i parenti che piangono ma … pensando all’eredità
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma. Direttore Gabriele Santini.
Edizione Regis Records
https://www.youtube.com/watch?v=hyWs1ifMhd8
Audio 8
Gianni Schicchi – Oh mio babbino caro!
E’ la straordinaria aria lirica posta al centro del Gianni Schicchi. Lauretta vista l’agitazione per l’eredità di tutti i parenti si rivolge al padre per chiedere di intervenire per aggiustare il contenuto del testamento.
Proponiamo il brano nella mitica intepretazione di Maria Callas con George Pretre sul podio dell’Orchestre National de l’ORTF. Videl del 1965
https://www.youtube.com/watch?v=X1f9s9n_Kjo&list=RDX1f9s9n_Kjo&index=1
Audio 9
Gianni Schicchi – Le suppliche dei parenti
Gianni schicchi ha deciso di vestire i panni di Buoso Donati. I parenti lo avvicinano per convincerlo a fare testamento in loro favore
Tito Gobbi (Gianni Schicchi) – Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma. Direttore Gabriele Santini.
Edizione Regis Records
https://www.youtube.com/watch?v=nGenKk0bkV4
Ma quale è la modernità del Trittico? Innanzi il carattere squisitamente novecentesco della partitura nella quale sono evidenti i richiami a musicisti dell’epoca, alle cui poetiche Puccini fu molto attento, soprattutto alle novità. Con evidenza, ma solo per fare qualche esempio, si possono scorgere le atmosfere rarefatte del Pierrot Lunaire di Arnold Schönberg così come la coinvolgente ‘ritmica’ di Igor Stravinskij e i colori raffinati e dilatati dell’impressionismo di Claude Debussy. Ma un’altra cosa è evidente, una maggiore coesione tra la parte vocale e quella strumentale. Puccini è famoso per le sue melodie, spesso tradotte in arie cantate divenute particolarmente celebri. Qui c’è un orientamento spiccato verso il declamato che porta a tralasciare quasi totalmente vere e proprie arie, il che non significa abbondono della melodia sempre ben presente e rafforzata da una parte armonica e contrappuntistica di grande livello, ma elementi efficacemente unitari orientati esclusivamente alla rappresentazione del dramma evidenziando un concetto teatrale di stampo ‘verdiano’. Una ipotesi questa che ci fa scoprire con più decisione i contorni di una ‘rivoluzione’ che a fine ‘800 cambiò la struttura dell’opera italiana.
Abbiamo iniziato l’articolo riferendo della volontà di Puccini di produrre tre opere di ispirazione dantesca. Il progetto sembrerebbe così tramontato visto che solo una delle tre possiede tale ispirazione. Ma alla base del Trittico questa ispirazione rimane ‘sottotraccia’ come sottolinea Mosco Carner della sua biografia critica di Puccini, pensiero con il quale concordiamo a pieno e che vogliamo citare integralmente:
“A conti fatti si ebbe un solo soggetto di origine dantesca, lo Schicchi; ma considerando l’atmosfera caratteristica di ciascuna opera, non si può negare che esse riflettano, naturalmente in modo assai generico, l’immagine della tripartizione dantesca: il Tabarro, opprimente e disperato, si riallaccia all’Inferno; Suor Angelica, storia di peccato e di salvazione attraverso la grazia divina, al Purgatorio; e lo Schicchi , con la sua atmosfera liberatrice e vitale, adempie a suo modo la funzione del Paradiso”.
Queste osservazioni donano alle tre opere un elemento di ideale di organicità e compattezza che confermano con forza la necessità di eseguire i tre capolavori nell’ambito di uno stesso spettacolo. Puccini era della stessa idea. Protestò, infatti, con Tito Ricordi perché diede il benestare per una rappresentazione a Vienna senza l’Angelica. Ma lo spacchettamento delle tre opere fu inesorabile. Il fenomeno è da ascriversi alla poca comprensione da parte del pubblico (e della critica) dei già citati elementi di unitarietà ma, anche, dalla lunghezza dello spettacolo che risultava essere di circa quattro ore se consideriamo le tre ore e dieci minuti di musica abbinati ai necessari intervalli. Quest’ultimo aspetto fu considerato anche da Puccini che si arrese al diffondersi del fenomeno. Solamente dalla seconda metà del ‘900 si è tornati a proporre il Trittico per intero. Questo per una maggiore consapevolezza da parte dei critici a considerare l’importanza di questo capolavoro ma anche per una maggiore disposizione da parte del pubblico a fruire della bellezza della Grande Musica anche se di cospicua quantità.
Per quanto ci riguarda le sensazioni che si provano ascoltando l’edizione integrale sono, emotivamente, straordinarie e amplificano la valenza di quell’esplosione ‘musicale’ del Gianni Schicchi come senso di liberazione dalle fosche tinte dei drammi rappresentati nel Tabarro e nella Suor Angelica.
Claudio LISTANTI Roma 17 maggio 2020