di Monica LA TORRE
Se c’è un evento simbolo della ripartenza calma e solida dell’Umbria felix, e del suo riproporsi coerente e rasserenante ai visitatori che verranno, questo è proprio la prima grande mostra monografica su Taddeo di Bartolo che la Galleria Nazionale dell’Umbria ospiterà sino al 30 agosto.
Aperta per un sol giorno e subito chiusa causa emergenza sanitaria, è notizia scontata ma pur sempre attesa e confortante il protrarsi sino al 30 agosto della mostra umbra su Taddeo di Bartolo: evento che permetterà ad umbri e forestieri, nelle intenzioni del direttore Marco Pierini, di fruire «della straordinaria bellezza che il maestro del polittico senese ha sapientemente dosato nei suoi capolavori».
Primo tra tutti il polittico di San Francesco al Prato, espressione del legame tra il capoluogo e il pittore senese.
Le cento tavole
Cento tavole da musei nazionali ed esteri ne ricostruiscono parabola artistica, fortune e committenze dalla fine degli anni Ottanta del Trecento fino al 1420-22, e soprattutto il ruolo giocato dal maestro itinerante tra Toscana, Liguria, Umbria e Lazio al servizio dei potentati dell’epoca: famiglie, autorità pubbliche, ordini religiosi, confraternite. Nella placida tenerezza del pittore senese, straordinariamente umano, innovativo, coerentissimo e di grazia profonda, tale da stemperare la fissità iconografica dettata dai desiderata della committenza, complice un allestimento intenso e avvolgente, lo spettatore si immerge totalmente.
L’allestimento
Palazzo dei Priori, sede della Galleria Nazionale, gode di un imponente spazio espositivo, che l’architetto Maria Elena Lascaro trasforma nell’interno di una chiesa a navata unica, a ricreare la scansione architettonica di San Francesco al Prato. Nelle cappelle laterali, le sette sezioni che guidano il visitatore lungo il percorso artistico del Maestro: Esordi, Viaggi, Ritorno, Trionfo, Racconti, Innovazione, Varietà.
Il polittico di San Francesco al Prato
La scelta di San Francesco al Prato è motivata dal fatto che la chiesa è il luogo simbolo del legame profondo tra la città e il pittore senese. Qui era conservata la pala d’altare del 1403, smembrata almeno dalla metà dell’Ottocento. Dell’opera, tra i massimi capolavori del Maestro, e motore primo dell’intera operazione, la Galleria possiede ben 13 elementi. A questi si sono aggiunte le parti mancanti finora individuate: le sette tavole della predella raffiguranti Storie di san Francesco, conservate tra il Landesmuseum di Hannover (Germania) e il Kasteel Huis Berg a s’-Heerenberg (Paesi Bassi), e il piccolo San Sebastiano del Museo di Capodimonte a Napoli, che probabilmente decorava uno dei piloni della carpenteria.
Marco Pierini e la genesi della mostra
Così Marco Pierini, direttore della GNU: «Quando divenni direttore della Galleria, alcuni anni fa, pensai subito a una mostra su Taddeo, poiché avevo studiato la pittura senese della prima metà del Trecento, soprattutto Simone Martini, la cui lezione impronta certamente anche il lavoro del nostro pittore. La presenza nel museo di un significativo numero di elementi del suo celebre polittico perugino e di alcune altre opere stimolò subito, dunque, il mio interesse e il desiderio di vederne approfondire gli studi. Conoscevo le ricerche che Gail E. Solberg si accingeva a completare e che oggi stanno per vedere la luce in forma di monumentale monografia e pensai di coinvolgerla. Ci intendemmo subito alla perfezione e dalla prima ipotesi di realizzare unicamente un’esposizione sulla pala di San Francesco al Prato il progetto si è esteso a una riflessione a tutto tondo sulla personalità di Taddeo come indiscusso maestro del polittico».
La curatrice, Gail Solberg
Fa eco la curatrice: «Quest’esposizione nasce da un graditissimo invito da parte del Direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria. Durante i molti anni di studio dedicati da parte nostra al pittore mai avremmo immaginato una mostra dedicata a Taddeo e ancor meno di esserne i curatori. La proposta iniziale di Marco Pierini era esibire la stupenda pala d’altare del 1403 che aveva consacrato Taddeo quale ‘ingegnere’ del più importante polittico del suo tempo. Per mostrare l’eccezionalità del dipinto, che costituisce il fulcro dell’iniziativa, era necessario riunire le parti smembrate in modo da dare un’idea del suo aspetto originale: il nostro obiettivo era dunque ricostruire la pala».
La prima mostra monografica
La Solberg prosegue: «Taddeo di Bartolo è un titolo volutamente generico per una mostra, la prima mai dedicata a questo pittore di prim’ordine, incentrata sui suoi polittici: dipinti composti da più scomparti in legno di pioppo strettamente uniti tra loro in modo da formare strutture che si autosostengono sugli altari. Vere delizie per gli occhi, tali dipinti sono ricchi di colori, di ornati e sfavillanti d’oro. Raffigurano santi del Paradiso e spesso raccontano come lo hanno raggiunto. La costruzione in più parti, imposta dalla natura stessa del legno, facilitava l’assemblaggio, lo smontaggio e il trasporto dei vari elementi che lo componevano».
Il polittico, il suo assemblaggio
E ancora: «Nella loro complessità i polittici erano micro-architetture. È probabile che Taddeo collaborasse con il legnaiolo quando disegnava le pale d’altare, soprattutto quelle di grandi dimensioni, e lo stesso deve aver fatto durante le prove di montaggio. I pezzi arrivavano nella sua bottega già forniti di cornici, l’artista si occupava, con l’aiuto degli assistenti, di preparare il legno per la pittura, trasferirvi i disegni, dipingerli e aggiungere ulteriori decorazioni. Avvolgeva poi i pezzi finiti in coperte, e li spediva a destinazione per mezzo di carri. Nel caso di opere di grandi dimensioni soprintendeva personalmente al montaggio, un obbligo a volte esplicitamente richiesto dal contratto. Considerate le difficoltà pratiche nel dare stabilità a queste strutture alte, larghe ma allo stesso tempo sottili, Taddeo doveva prestare particolare cura nel congiungere gli elementi tra loro e nell’ancorare le pale collocate sull’altare. Era esperto nel suo mestiere se la sua memoria è arrivata fino a noi».
Restauri e criteri espositivi
E proprio il polittico è la struttura portante, al tempo stesso, di progetto espositivo ed opere esposte: «Per la prima volta – riprende Pierini – sono stati riaccostati uno all’altro gli elementi noti di alcuni monumentali polittici – E ancora -: Grazie al recentissimo restauro che ne ha motivato lo smontaggio, sono in mostra anche le cuspidi del Trittico di Montepulciano e alcuni degli elementi del polittico di San Domenico a Gubbio, a partire dalle tavolette recentemente acquistate dal nostro Ministero per il museo di Palazzo Ducale. La tavola di Volterra, polittico di non enormi dimensioni che dal 1411 ha conservata intatta la sua originale carpenteria, documenterà in mostra la costruzione di questa tipologia di opere, a cui la bottega senese di Taddeo lavorava alacremente per prestigiosi committenti dell’area ligure, umbra e, ovviamente, toscana».
La lezione di Simone Martini
A tale proposito, il direttore specifica: «Non era questa l’unica tipologia di lavori eseguiti dal maestro, poiché la scuola senese di metà Trecento, soprattutto la lezione di Simone Martini e di Ambrogio Lorenzetti, aveva formato nel pittore una salda preparazione tecnica e stilistica che gli consentiva di muoversi agevolmente anche nella pittura ad affresco e nella esecuzione di stendardi processionali e di piccole opere destinate alla devozione privata, anche queste ampiamente documentate nel percorso espositivo della mostra. Ma è soprattutto l’interazione tra le analisi diagnostiche compiute dai restauratori impegnati nella preparazione di questa mostra e le ipotesi degli storici dell’arte, che a volte hanno trovato conferme inoppugnabili oppure, al contrario, hanno dato luogo a parziali revisioni, a costituire il portato più significativo per la restituzione a tutto tondo di una figura artistica tutto sommato rimasta fino a oggi tra quelle dei protagonisti più defilati della scena artistica centroitaliana a cavallo tra XIV e XV secolo».
La mostra
(fonte: Ufficio Stampa CLP1968)
Il percorso si apre proprio con la prima opera firmata e datata da Taddeo: il polittico Collegalli del 1389, presente attraverso due cuspidi in prestito dal museo norvegese, cui si affianca lo scomparto centrale dell’opera eseguita intorno al 1390 per San Miniato: sono lavori che documentano le fortune di Taddeo oltre le mura di Siena, lungo la via Francigena, ed un giro di committenze sempre più esteso.
La seconda sezione è dedicata agli anni Novanta del Trecento, ed i lavori a Firenze, a Lucca, in Liguria, fino a Pisa che raggiunse verso il 1395. Le opere pisane costituiscono il maggior numero di pale d’altare ricomposte: spiccano le due Madonne che si riuniscono, per la prima volta dopo due secoli, con i santi laterali custoditi a Pisa.
Gli affreschi pisani: la ricostruzione 3D
Sempre a Pisa, ma nel 1399, Taddeo si sarebbe aggiudicato ampi cicli di affreschi all’interno dei principali edifici cittadini, come l’abside del Duomo (1401-1405), la cappella e l’anticappella dei priori in Palazzo Pubblico (1406-1408 e 1413-1414). E proprio una ricostruzione 3D dei murali di Palazzo Pubblico costituiscono il fulcro di un ricco apparato multimediale che documenta i restauri e le indagini diagnostiche eseguiti in occasione della mostra, grazie al contributo della Galleria Nazionale dell’Umbria.
Il quinquennio senese
Proseguendo oltre, accanto alle cuspidi del trittico del 1401 di Montepulciano, una serie di tavole che documentano la produzione della sua bottega nel quinquennio senese, tra cui si segnala un trittico mariano integro del 1400-1405 destinato a una confraternita laica, oltre a dipinti provenienti da polittici destinati ad altari gentilizi in chiese agostiniane, servite e domenicane. Forte si avverte l’influenza del Martini e dei fratelli Lorenzetti nella creazione della Natività del 1404 e dell’Annunciazione del 1409, opere destinate agli altari della città. Il percorso documenta questa sua fase creativa, presentando gli elementi appartenenti ai due trittici senesi, insieme alla magnifica Pentecoste del 1403 per Perugia.
La Pentecoste del 1403
Dal fulcro della mostra, rappresentato dal polittico francescano di Perugia, si giungerà nella sezione in cui vengono proposti gli elementi innovativi che Taddeo introduceva nelle sue opere; nel corso della sua carriera, l’artista senese non cessò mai di rinnovare i soggetti più usati, sia dal punto di vista tecnico che da quello espressivo. Prendiamo la Madonna col Bambino, e le modifiche evidenti, allorché si guardi quella del 1390 per San Miniato, quella del 1403 per Perugia o quella del 1411 per Volterra. A cavallo del 1400, inoltre, nelle figure dipinte da Taddeo, si nota un deciso aumento di volume di peso.
Personaggi carnosi che fanno la loro comparsa nelle cuspidi di Montepulciano del 1401 migrano nella Pentecoste del 1403 e continuano a maturare negli anni seguenti. Il fascino delle Madonne tarde, risiede in un cambio di stile ben ponderato; si leggono come le prime parole di una nuova lingua che altri avrebbero cercato d’imparare nel corso del Quattrocento.
La mostra si chiude con la statua in legno dipinto della Madonna del Magnificat, di fatto, l’ultima opera cui partecipò Taddeo di Bartolo.
Monica LA TORRE Foligno 12 luglio 2020