Talking ‘About (Art)’ Caravaggio: “La Presa di Cristo” parlano gli esperti. K. Christiansen (original english text and abstract italian translation).

Keith CHRISTIANSEN

Keith CHRISTIANSEN :

We now possess a number of pictures, the acceptance of which by Caravaggio, pose fundamental questions about his practice as it was understood thirty or forty years ago, when our idea of the artist was of someone who worked outside the norms, painting alone, directly from posed models (at least during his time in Rome).  Recent proposals would make him into someone far more conventional in his practice; someone who was willing to respond to market pressure by painting autograph replicas of his work as well as employing workshop assistance (beyond merely manual labor) and even collaborating.  Until some sort of consensus is reached about these matters, I think that we lack a proper lens for approaching a work such as this one.

A bit of back history.  I remember when, working on the 1985 exhibition The Age of Caravaggio, I arranged to look at the Longhi version of the Boy Bitten by a Lizard with IR and X-ray to get a better understanding of its relationship to another version then in the Korda collection in London.  It seemed to me then that the technical evidence of the Longhi version clearly indicated the characteristics we associate with copies.  Only the Korda version (now National Gallery, London)  was shown in that exhibition.  When the two versions were juxtaposed in Florence in 1991, the question of Caravaggio’s possible production of autograph replicas as well as the existence of a workshop were raised by, among others, John Spike. I expressed my own views on the matter in a letter to the editor of Burlington Magazine (CXXXIV, 1992, pp. 502-3). Since then, the issue has only become more complicated and confused.  We have, for example, seen vetted the proposal that Caravaggio not only painted replicas  of his work but sometimes created preliminary versions of a composition. This was asserted by Denis Mahon regarding a qualitatively inferior version of the Kimbell Museum Cardsharps—a work, it should be recalled, was copied many times, with some of the copies gaining credibility as autograph works (the most infamous case is concerns the two very poor copies of paintings by Caravaggo obtained in Rome by the French ambassador Philippe de Béthune).  Because the picture promoted by Mahon had been sold at public auction as a copy at a vastly lower price than a certifiably autograph work would have fetched, the matter went to court in 2014, underscoring the market dynamics that inevitably come into play (see Richard Spear’s 2020 publication, Caravaggio’s Cardsharps on Trial: Thwaytes v. Sotheby’s). The issue of autograph replicas came to the fore again when the two finest versions of the Crucifixion of Saint Andrew (Cleveland Museum of Art and Private Collection) were shown together in The Cleveland Museum of Art in 2017.  Although when seen alone, the privately owned picture looked like a serious contender, as with the 1990 exhibition in Rome of the two versions of the Saint John the Baptist, seeing the two versions juxtaposed seemed to me decisive. One was autograph.  The other was a very fine copy, which would not be surprising, given the reputation artists such Caroselli as had for making copies indistinguishable from originals).  Richard Spear (Burlington Magazine, 160, 2018, pp. 454-61) reviewed the exhibition and presented a fine update on the issue of autograph replicas versus the production of copies and the place of technical investigation and analysis of related documentary information. Finally, the emergence in Toulouse of the prime version of a composition of Judith and Holofernes, previously known from a copy in the Banca Intesa, Naples, has brought to the fore not the ways in which we employ documents to support or rebut questions of attribution, but also the matter of a shared workshop and collaboration.

The recently discovered Ecce Homo in Madrid must be one of the very few recent paintings to gain almost immediate consensus and to avoid the uncertainties of our basic understanding of Caravaggio’s practice.

Oggi possediamo una serie di dipinti la cui accettazione come opera di Caravaggio pone domande fondamentali sulla sua pratica così come era intesa trenta o quaranta anni fa, quando la nostra idea dell’artista era quella di uno che lavorava fuori dalle norme, dipingendo da solo, direttamente da modelli in posa (almeno durante la sua permanenza a Roma). Proposte recenti lo renderebbero invece molto più convenzionale nella sua pratica come chi era disposto a rispondere alle pressioni del mercato dipingendo repliche autografe del suo lavoro, nonché impiegando l’assistenza di una bottega (oltre al semplice lavoro manuale) e persino con collaborazioni. Fino a quando non si raggiungerà una sorta di consenso su questi temi, penso che ci manchi una lente adeguata per affrontare un tema come questo che ci proponi.
Un po’ di storia passata.
Ricordo quando, lavorando alla mostra L’età di Caravaggio del 1985, decisi di guardare la versione Longhi del Ragazzo morso da una lucertola con IR e raggi X per comprendere meglio la sua relazione con un’altra versione rispetto a quella di Korda raccolta a Londra. Mi è sembrato allora che l’evidenza tecnica della versione Longhi indicasse chiaramente le caratteristiche che noi associamo alle copie. In quella mostra fu esposta solo la versione Korda (ora National Gallery, Londra). Quando le due versioni furono giustapposte a Firenze nel 1991, la questione della possibile produzione di repliche autografe da parte di Caravaggio e dell’esistenza di una bottega fu sollevata, tra gli altri, da John Spike. Ho espresso il mio punto di vista sull’argomento in una lettera all’editore di Burlington Magazine (CXXXIV, 1992, pp. 502-3). Da allora la questione è diventata solo più complicata e confusa. Abbiamo, ad esempio, visto approvata la proposta secondo cui Caravaggio non solo dipingeva repliche della sua opera ma talvolta creava versioni preliminari di una composizione. Lo sostiene Denis Mahon a proposito di una versione qualitativamente inferiore dei Cardharps del Kimbell Museum: opera, va ricordato, copiata più volte, alcune delle quali acquistano credibilità come opere autografe (il caso più famigerato riguarda due pessime copie di dipinti di Caravaggio ottenute a Roma dall’ambasciatore francese Philippe de Béthune). Poiché il quadro promosso da Mahon era stato venduto ad un’asta pubblica come copia a un prezzo di gran lunga inferiore a quello che avrebbe ottenuto un’opera autenticamente autografa, la questione finì in tribunale nel 2014, sottolineando le dinamiche di mercato che inevitabilmente entrano in gioco (vedi Richard Spear’s Pubblicazione del 2020, Caravaggio’s Cardsharps on Trial: Thwaytes v. Sotheby’s). La questione delle repliche autografe è venuta alla ribalta quando le due migliori versioni della Crocifissione di Sant’Andrea (Cleveland Museum of Art e Collezione privata) sono state esposte insieme al Cleveland Museum of Art nel 2017. Anche vista da sola, la replica di proprietà privata sembrava un serio contendente, come pure in occasione della mostra delle due versioni del San Giovanni Battista a Roma nel 1990, vedere le due versioni giustapposte mi è sembrato decisivo. Uno era autografo. L’altra era una copia molto bella, il che non sarebbe sorprendente, data la reputazione che artisti come Caroselli avevano per aver fatto copie indistinguibili dagli originali). Richard Spear (Burlington Magazine, 160, 2018, pp. 454-61) ha recensito la mostra e presentato un ottimo aggiornamento sulla questione delle repliche autografe rispetto alla produzione di copie e sul luogo di indagine tecnica e analisi delle relative informazioni documentarie. Infine, la comparsa a Tolosa della prima versione di una composizione di Giuditta e Oloferne, già nota da una copia conservata presso la Banca Intesa di Napoli, non ha messo in luce il modo in cui utilizziamo i documenti per supportare o confutare questioni di attribuzione, ma anche questione di laboratorio condiviso e di collaborazione. L’Ecce Homo recentemente scoperto a Madrid deve essere uno dei pochissimi dipinti recenti a ottenere un consenso quasi immediato e ad evitare le incertezze della nostra comprensione di base della pratica di Caravaggio.