Laura TESTA
Il “Cristo preso all’orto” di Caravaggio della Collezione Mattei: un riesame della documentazione
L’interessante mostra sulla “Presa di Cristo dalla Collezione Ruffo”, curata da Francesco Petrucci, inaugurata il 14 ottobre a Ariccia, è destinata a riaprire con decisione il divisivo dibattito sui cosiddetti “doppi” caravaggeschi: prototipi originali, repliche o copie?
La grande tela della Presa di Cristo proveniente dalla raccolta Ladis Sannini fu individuata da Roberto Longhi nel 1943 e presentata all’esposizione milanese del 1951 (figg. 1-2) come copia da un originale perduto. [1]
Ancora inserito in una antica cornice nera con arabeschi dorati, il dipinto – oggi di proprietà dell’antiquario Mario Bigetti, che lo ha acquistato dalla collezione Ruffo di Calabria – dopo settantadue anni viene nuovamente presentato al pubblico da Petrucci, il quale ne sostiene la provenienza dalla collezione Mattei, come l’originale “pagato a Caravaggio da Ciriaco Mattei nel 1603”.[2] A questa tela (fig. 3),
la cui ampia composizione risulta un unicum tra le varie redazioni oggi note, successivamente lo stesso Ciriaco avrebbe affiancato una replica, un “doppio” identificabile con il dipinto ritrovato nel 1990 da Sergio Benedetti (attualmente nella National Gallery of Ireland a Dublino, fig. 4) di formato ridotto, ma di fattura più levigata.[3]
Già nel 2004 Jacopo Curzietti, attraverso una rilettura degli inventari Mattei, soffermandosi soprattutto sulla descrizione delle cornici, ha proposto di considerare autografa e proveniente dalla nota raccolta romana la Cattura di Cristo della ex collezione Sannini di Firenze.[4] Questa ipotesi dello studioso viene ripresa da Petrucci nel dettagliato saggio del catalogo che accompagna la mostra di Ariccia.
Senza voler entrare in alcun modo nel merito della questione attributiva della tela, intendo riproporre una rilettura della documentazione Mattei già nota, introducendo qualche elemento nuovo. Dal riesame dei documenti e delle fonti storiche, la tesi della originaria appartenenza del dipinto Sannini -Ruffo alla collezione di Ciriaco e Asdrubale Mattei non trova conferme.
Spesso negli inventari di casa Mattei le menzioni delle cornici -così come le misure dei dipinti- sono talmente sintetiche ed imprecise da ingenerare confusione. Non sempre le variazioni descrittive corrispondono ad una effettiva sostituzione delle cornici, a volte sono il frutto di una generica e frettolosa annotazione dell’estensore del documento.[5] La questione è resa più complessa dalla presenza nella collezione di altri due dipinti raffiguranti la Cattura di Cristo con l’episodio di San Pietro che taglia l’orecchio a Malco: un dipinto di formato verticale di Girolamo Muziano con cornice di noce e una sopraporta, bassa ed allungata, attribuita dagli inventari a Lanfranco, incorniciata di nero. [6] Queste tele dimostrano, come suggerito da Petrucci, un particolare interesse per questo soggetto da parte di Ciriaco, confermato anche dalla presenza nella raccolta di una serie di dipinti su rame di Antonio Tempesta raffiguranti episodi della passione, rintracciati di recente. [7]
Il quadro del “Cristo preso all’orto” del Caravaggio fu eseguito nel corso del 1602, dopo che il pittore aveva già licenziato per Ciriaco Mattei la Cena in Emmaus (Londra, National Gallery) e il San Giovanni Battista (Roma, Pinacoteca Capitolina).
Venne saldato al pittore il 2 gennaio 1603 per 125 scudi e il prezzo comprendeva anche la cornice “depinta”.[8]
Dopo la morte di Ciriaco, il quale aveva sicuramente esposto il dipinto nel palazzo Mattei alle Botteghe Oscure, oggi Caetani (figg. 5- 6), la tela passò al figlio Giovanni Battista ed è ricordata dall’inventario del 1616 tra i “quadri di devozione”.[9]
La descrizione definisce più precisamente la “cornice depinta” come una “cornice nera rabescata d’oro” e puntualizza che la tela è protetta da una tenda scorrevole di taffetà rosso con cordoni in seta guarniti da fiocchi pendenti che, oltre a preservarla dalla luce solare diretta e dalla polvere, ne segnala il particolare pregio e il grande valore religioso: l’opera è celata dalla cortina, per essere opportunamente svelata ed apparire all’osservatore quasi come una rivelazione mistica (fig. 7).[10]
È appesa in una stanza del pianterreno insieme alla Disputa con i Dottori di Antiveduto Grammatica (Collezione privata, già Cowdenbeath, Scozia) – forse commissionata proprio per accompagnarsi al quadro del Merisi – che presenta una stessa “cornice nera rabescata d’oro” ed un’analoga tenda di taffetà verde[11]. La tela del Caravaggio viene donata nel 1623 per lascito testamentario da Giovanni Battista al cugino monsignor Paolo Mattei (fig. 8), abate e protonotario, figlio di Asdrubale.[12] Tuttavia nell’inventario ereditario del 7 giugno 1624, redatto per l’erede abate Alessandro Mattei, fratello del defunto, la Cattura è ancora registrata nell’appartamento terreno del Palazzo alle Botteghe Oscure. Si trova nella camera da letto -le cui pareti sono interamente parate di arazzi raffiguranti le storie di David – insieme alla Disputa di Antiveduto. È posta sopra la porta e, sebbene abbia la stessa cortina di taffettà rosso, la sua cornice è definita genericamente dorata,[13] così come quelle della Disputa di Antiveduto e delle due Catture del Muziano e del Lanfranco che ornano altri ambienti.[14] Ma né Curzietti né Petrucci notano che il repentino cambiamento di cornici riportato dall’inventario del 1624 interessa tutto il gruppo di opere. Curzietti suggerisce invece l’ipotesi che i dipinti del Merisi rappresentanti la Cattura fossero due: uno autografo con cornice rabescata, passato precocemente nelle collezioni di Asdrubale Mattei, registrato nei suoi inventari a partire dal 1625 circa, e un altro con cornice dorata – mai indicato prima nei documenti- trasmesso per testamento da Giovan Battista al cugino Paolo Mattei, e a sua volta riprodotto nel 1626 dallo sconosciuto pittore Giovanni di Attilio.[15] Questa tesi della duplicazione dell’opera viene accolta da Petrucci, il quale ritiene la grande tela ex- Sannini (cm 142 x 218,5) il prototipo realizzato per Ciriaco Mattei a fine 1602 con la sua “cornice depinta”, al quale in un secondo momento – non precisabile e non documentato- lo stesso committente avrebbe affiancato una replica, identificabile con il dipinto oggi a Dublino, di formato ridotto, ma “raffinato nella qualità esecutiva”, arricchito con l’aggiunta nella penombra dello sfondo di alcuni particolari di ambientazione: lance, rami, arbusti e fogliame.[16]
Tale suggestiva supposizione non ha riscontri nelle carte dell’Archivio Mattei. Al contrario un documento finora non pubblicato chiarisce che le citazioni degli inventari di Giovanni Battista e di Asdrubale si riferiscono tutti allo stesso quadro, seppur con delle variazioni nella menzione delle cornici.
Nella inedita “Nota di robbe che si devono giungere all’Inventario di Guardarobba fatto di nuovo”, databile a ridosso dell’ordine dell’abate Alessandro Mattei di consegnare i legati testamentari del fratello defunto (20 giugno 1624), [17] oltre ai dipinti lasciati allo zio Asdrubale e alla moglie (il Mercato di Bassano e la Festa del Belvedere) è appuntato:
“a car. 33 Un quadro grande con cornice di pero nero della presa di Christo di mano del Caravaggio lassato dal Marchese Giovanbatta à Mons. Paolo con sue bandinelle di taffettano cremisino” (fig. 9)[18].
È evidente dall’annotazione che la tela del Caravaggio, ricevuta in dono da monsignor Paolo e quindi trasferita nel nuovo Palazzo Mattei di Giove all’angolo dell’insula Mattei (fig. 10), dove egli abita insieme al padre, ha ancora la cornice nera, è coperta con il taffetà rosso e dovrà essere aggiunta dal Guardarobiere tra le voci dell’inventario di Asdrubale.[19]
Effettivamente, nell’inventario di quest’ultimo del 1613, proprio a carta 33, compare con una grafia diversa un’annotazione che registra, tra altri quadri provenienti dalla collezione di Giovan Battista, “La presa di N. S.re con cornice nera rabescata d’oro” – priva di attribuzione ma molto verosimilmente di Caravaggio– accanto alla “Disputa di N.S.re con uguale cornice”, certamente di Antiveduto, e a “Un quadretto dell’Assuntione della Madonna in Cam.a di Mons.re”.[20] Nell’inventario della Guardarobba di Asdrubale dell’agosto 1631, nel quale sono riportati anche i pochi quadri posseduti dal figlio monsignor Paolo, la Presa di Cristo del Caravaggio continua ad essere ricordata accanto alla tela di Antiveduto con “cornice nera rabescata d’oro”,[21] ma i dipinti raffiguranti la Cattura sono divenuti in tutto quattro, si è infatti aggiunta la copia ordinata nel 1626 da Asdrubale allo sconosciuto pittore Giovanni di Attilio, di cui però non è menzionata la cornice.[22] Sempre quattro tele con la “Presa di Nostro Signore” sono riportate nell’inventario notarile post-mortem di Asdrubale, redatto il 24 novembre 1638 e le cornici, non più tutte genericamente dorate, tornano a essere differenziate (due dorate e due nere profilate d’oro), tuttavia un elenco così sommario di quadri, privo di indicazioni topografiche, rende difficile individuare l’opera di Caravaggio e capire che cornice abbia. [23]
L’inventario ereditario dei beni di Paolo, del 29 novembre 1638, curato dal fratello minore Girolamo, cita tra pochi altri quadri devozionali
“Un quadro del Caravaggio della Presa di Christo con cornice dorata e sua tendina di taffetà verde lasciatoli dalla bo. me. del S. Gio. Batta. Mattei”,
a cui il monsignore evidentemente teneva molto, al punto di custodirlo nella propria camera da letto.[24] È dunque probabile che al momento della sostituzione della cortina rossa con una verde possa essere stata cambiata anche la cornice originaria, dal momento che nelle carte successive- ad esempio un inedito inventario del 1666[25]– il dipinto è continuativamente registrato con la cornice dorata. Pertanto la Cattura di Cristo realizzata da Caravaggio con la sua cornice “depinta” non è uscita dalla collezione per alienazione o donazione, come suppone Petrucci, ma semplicemente ha subìto un cambiamento di cornice e di cortina, probabilmente per adeguarla all’arredo della camera di Monsignor Paolo.
Questa ipotesi è avvalorata da un’accurata descrizione del 1676 – pubblicata da Elisabeth Schröter ma finora sfuggita agli studiosi – che ricorda l’opera, ricevuta in eredità dal duca Girolamo Mattei, nella stanza contigua alla Galleria del palazzo costruito da Asdrubale:
“Un quadro del ritratto dell’Istoria quando Giesu Christo fù preso da Giudei nell’orto con diverse figure di Giuda, e soldati Ebrei, opera del Garavaggiu, dentro cornice grande scorniciata col riporto de fogliami tutta indorata alta p.mi sei e mezza e larga p.mi otto circa”.
Nel documento è descritta anche la copia del pittore Giovanni di Attilio: “Un altro dell’Istoria quando Giesu Christo fù bacciato da Giuda e preso da Giudei”, precisandone le misure di palmi sei per otto e la guarnizione con “cornice grande nera profilata d’oro con lavori d’Arabeschi”.[26] Dunque la tela del Merisi ha una cornice dorata lavorata e la copia è invece perimetrata con una grande cornice nera dagli arabeschi dorati. Le dimensioni delle opere sono tali da escludere per entrambe un’identificazione con il quadro Sannini, molto più ampio (cm 142 x 218,5).
Proprio nel palazzo del duca Girolamo Mattei, figlio di Asdrubale, G. P. Bellori vede e descrive in modo accurato il quadro del Merisi, giungendo all’erronea conclusione che Asdrubale ne sia il committente.[27] L’inventario post- mortem del Duca Girolamo Mattei – in quale aveva ereditato sia i beni di Asdrubale che quelli di Paolo- sempre del 1676, compilato il 14 marzo, menziona nella sala contigua alla galleria “La presa di Giesù Christo nell’orto del Caravaggio con cornice dorata di p. 6 e 8” e riporta, con descrizioni abbastanza dettagliate delle cornici, la presenza dei soliti altri tre dipinti raffiguranti l’episodio della Cattura di Cristo. [28] Al contrario, seguendo l’ipotesi di Curzietti e Petrucci della presenza di due versioni caravaggesche dello stesso soggetto, una con cornice dorata e una, più grande, con cornice rabescata, a quella data i dipinti dovrebbero essere diventati ormai cinque.
Tutti gli inventari successivi ricordano la tela di Caravaggio con la cornice dorata, mentre a metà del ‘700 la copia di Giovanni di Attilio finisce al castello di Giove in Umbria (Fig. 11)[29] e non se ne hanno più notizie. [30]
I visitatori stranieri si fermano presso i Mattei ad ammirare il capolavoro del Merisi e le guide di Roma continuano negli anni seguenti ad elencare nel Palazzo romano, tra i “quadri di celebri pittori […] “stupendissimi”, la “presa del Salvatore nell’Orto del Caravaggio”, [31] ma verso la fine del Settecento la questione si complica. La paternità del Merisi inizia ad essere messa in dubbio, come riporta un’annotazione di von Ramdhor del 1787, il quale registra il quadro nella quarta sala del Palazzo come autografo del Caravaggio, precisando però che altri lo ritengono di Honthorst, riferimento a suo parere meno credibile.[32]
In effetti un anno prima era apparsa nell’edizione in francese della guida di Giuseppe e Mariano Vasi l’assegnazione della tela di “Jesus-Christ arrete dans le jardin” a “Gerard delle Notti”.[33] Dall’inventario del 1793 molte attribuzioni dei dipinti Mattei variano completamente, probabilmente per le sopraggiunte ragioni commerciali legate alla crisi finanziaria della famiglia che inizia a progettare una immissione sul mercato di parte della collezione. Dei quattro dipinti raffiguranti la Cattura di Cristo, ricordati dai documenti precedenti, viene menzionata solo nella Quarta camera la “Presa di Cristo all’orto di p.mi 6 riquad.ti di Gherardo della Notte.”[34] Risulta difficile comprendere cosa intenda l’estensore dell’inventario -noto in almeno tre copie, presumibilmente redatte per pubblicizzare la collezione- con l’ambiguo termine “riquadrati”, forse una rifilatura della tela oppure, più probabilmente, una forma poco allungata. Certo è che il dipinto raffigurante “l’Imprigionamento del N.S. di Gherardo della Notte” acquistato dal “Sig.r Guglielmo Hamilton Nisbet dal Palazzo Mattei” insieme ad altre cinque tele nel gennaio del 1802,[35] era di formato rettangolare, come chiaramente indicato nella licenza di esportazione concessa al pittore Patrick Moir l’8 febbraio, dalla quale risulta la misura approssimativa di palmi 5 e 7.[36] L’indicazione “riquadrati” del 1793 potrebbe essere un errore del compilatore (ripetuto nelle varie copie) oppure riferirsi ad un’altra opera, poiché secondo una stima del 1802, redatta dopo la partenza per la Scozia delle tele vendute a William Hamilton Nisbet, rimane ancora nel palazzo di Roma un dipinto che misura palmi 6 e 6, dal valore di 80 scudi, assegnato ad Honthorst.[37]
Trasferita in Scozia nello stesso anno, la Cattura proveniente da Palazzo Mattei fu appesa nella dining room della residenza Hamilton Nisbet a Biel e, seguendo le indicazioni del testo di Mariano Vasi, mantenne l’attribuzione all’Honthorst.[38] Esposta in mostra nel 1883, fu messa all’asta da Dowell’s il 16 aprile del 1921.[39] In questa occasione il catalogo della vendita (fig. 12) ne registrava con precisione le misure (68 x 47 pollici), dimostrando con evidenza che si trattava di un dipinto rettangolare.[40] A fugare ogni residuo dubbio vi è una fotografia della dining room di Biel House (fig. 13), antecedente al 1921, in cui si scorge sulla sinistra il quadro del Caravaggio appeso sulla parete, proprio sopra al Cristo con la Samaritana di Alessandro Turchi, simile nel formato e nella larghezza, ma meno alto.[41]
Secondo Sergio Benedetti, la tela rimasta invenduta qualche anno più tardi sarebbe stata acquisita da Lea Wilson, per poi finire nella casa dei Gesuiti di Dublino, dove lo studioso la rintracciò nel 1990 riconoscendovi l’esemplare della Cattura di Cristo autografo del Caravaggio, proveniente dalla collezione Mattei. Studi successivi hanno dimostrato invece che il dipinto era stato acquistato nel 1921 dall’artista Joseph Kent Richardson e, nel 1922, dal Major Charles Hubert Francis Noel.[42] Benedetti, in seguito a un accurato restauro, ha appurato che la tela non ha mai subito decurtazioni, tuttavia non ha potuto colmare la lacuna documentaria del passaggio del dipinto dalla Scozia all’Irlanda, né chiarire con esattezza quando e in quale occasione la signora Lea Wilson aveva acquistato il quadro, di cui risulta in possesso già nel luglio 1924 e che oggi è esposto alla National Gallery di Dublino.[43]
Al termine della disamina documentaria è interessante riflettere su un interrogativo avanzato da Gianni Papi nel 2018 a proposito della versione Sannini: perché esistono numerose copie – Petrucci nel elenca ben quindici-[44] “corrispondenti alla versione di Dublino (cioè con il braccio di san Giovanni tagliato), e nessuna presenta la scena completa come nella redazione Sannini?”.[45] Come risposta si potrebbe ipotizzare che la grande tela Sannini-Ruffo non fosse in origine collocata in una collezione famosa e facilmente visitabile come quella Mattei, ma in un contesto privato di difficile accesso per visitatori, artisti e copisti.
Laura TESTA 25 Ottobre 2023
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