di Carla GUIDI
La Storia nei fatti e nelle emozioni dell’Italia del 1948, l’anno della svolta
Due giornalisti e storici, Mario Avagliano e Marco Palmieri, hanno scritto insieme questo interessante saggio – “1948 Gli italiani nell’anno della svolta” (Il Mulino 2018) – vincitore del Premio Fiuggi Storia 2018 per la saggistica. Le foto dell’articolo si riferiscono alla conferenza di presentazione del libro del 12/04/2018 a Palazzo Ferrajoli, organizzato dall’Istituto Europeo di Cultura Politica Italide, presentato da Antonella Freno (Presidente) con la partecipazione dei giornalisti Francesco Verderami, Paolo Mieli, del noto presentatore, famoso da quegli anni, Pippo Baudo e dei tre attori, Giorgio Marchesi, Caterina Misasi e Antonio Tallura che hanno letto alcune testimonianze dall’interno del volume. (FOTO 2 – 3)
Un anno cruciale come il 1948 (detto anche l’anno della svolta) ha segnato profondamente l’evoluzione dell’assetto politico-istituzionale e socio-culturale per almeno mezzo secolo successivo. Su questo “passaggio epocale” esiste una vasta bibliografia, della quale gli autori, molto noti ed apprezzati nell’ambito della ricerca storica del ‘900, hanno tenuto conto e fatto riferimento, aggiungendo ed integrando infine l’esito di ricerche in gran parte inedite da fonti d’archivio. Questo libro ci aiuta a capire come vissero e soffrirono gli italiani di allora, cosa pensavano passando attraverso quel tumultuoso succedersi di avvenimenti, soprattutto quali stati d’animo, passioni e condizionamenti infine ne indirizzarono l’orientamento politico. Tutto questo possiamo rappresentarci, quando ormai i protagonisti di allora sono scomparsi, attraverso la lettura di brani di lettere, diari, interviste, relazioni delle autorità e di pubblica sicurezza, carte di partito, documenti internazionali, giornali, volantini e manifesti. (FOTO 4 – 5 )
Il libro rappresenta quindi non solo una preziosa sintesi (di oltre 400 pagine) ma, attraverso un taglio particolare, costituisce una guida per orizzontarsi in un congestionato epocale scontro di energie e poteri, dove fu usato ogni mezzo, ogni espressione ed ogni pressione – immagini e parole di divulgazione tramite radio, giornali, comizi e grandi manifesti elettorali – per condizionare l’immaginario di una popolazione già segnata dalle profonde ferite della seconda guerra mondiale, lutti, povertà e disoccupazione, in un clima estremamente teso di rivendicazioni, rabbia diffusa, preoccupazioni per il futuro e generalizzata mancanza di fiducia.
Tra il 1945 e il 1947 infatti, i prezzi erano saliti in media dalle 20 alle 50 volte e tra il 1947 e il 1948 il numero dei disoccupati aveva raggiunto la cifra record di 2 milioni. Alle tensioni sociali del Nord industriale si aggiunsero le lotte contadine nel Mezzogiorno ed in questo scenario gli effetti del salvataggio internazionale della lira (che fu svalutata nell’agosto del 1947) e quelli del Piano Marshall, rappresentarono i punti di forza del governo presieduto da De Gasperi.
Andando per ordine, fu il 1° gennaio del 1948 ad entrare in vigore la Costituzione repubblicana, quando Pietro Nenni, leader del partito socialista europeo scriveva sull’«Avanti!» essere quello il momento di adeguare il 1948 al 1848. La Democrazia cristiana rispondeva, interpretando a suo modo la questione, con un manifesto dove l’Aquila asburgica compariva come il nemico da battere, ma messa a paragone addirittura con la falce e martello, nemico nell’attualità. La sinistra allora mise in campo l’eroe dei due mondi, Giuseppe Garibaldi, che apostrofava direttamente sul manifesto il leader democristiano con queste parole: «Bada De Gasperi, che nessun austriaco me l’ha mai fatta» … ma questo era solo l’inizio di una battaglia elettorale senza esclusione di colpi.
L’8 febbraio 1948 era stato pubblicato il decreto di convocazione dei comizi per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, così venne fissata la data del 18 aprile per il voto di una delle più tese campagne elettorali che la storia politica italiana ricordi.
Da un lato le forze di sinistra, Pci e Psi, riuniti nel Fronte popolare; dall’altro la Dc e i suoi alleati di governo, lotta presentata come lo scontro fra la libertà occidentale e l’oppressione comunista. Gli italiani erano oltre 29 milioni, il sistema elettorale era proporzionale e l’introduzione del suffragio universale, come è noto, fece votare tutti i maggiorenni (21 anni) di entrambi i sessi.
E’ la prima vera guerra dei manifesti, incollati a strati gli uni sugli altri, a contendersi lo spazio su muri che portavano ancora le cicatrici dei bombardamenti, mettendo in campo grandi immagini a colori e vignette satiriche, senza risparmiare accuse e denigrazioni.
Cominciava così una campagna elettorale “moderna e di massa” che utilizzava ingenti risorse, nuovi e/o rinnovati mezzi di comunicazione, dai comizi ai manifesti, dai giornali alle trasmissioni radiofoniche ed annunci cinematografici in tutto il territorio nazionale, con tecniche di convincimento di grande impatto emotivo che facevano leva sulla sensibilità, piuttosto che sulla riflessione, scatenando l’istinto di auto-protezione, la paura, i bisogni primari ed anche quell’aggressività covata a lungo dagli scontenti. Soprattutto fu strutturata in modo idoneo a raggiungere un pubblico ampio e trasversale (per ceto sociale e livello culturale) analfabeti compresi, quelli che specialmente al sud erano la maggior parte, progettando di catturarli attraverso immagini estremamente eloquenti.
Tutto si stava mobilitando per spingere l’elettorato alla scelta tra degli “opposti resi inconciliabili”, dopo una Resistenza in cui le forze cattoliche e della sinistra avevano agito insieme e dopo l’ultimo atto unanime di tutti i partiti protagonisti, nella stesura di quella Costituzione repubblicana approvata a larghissima maggioranza dall’Assemblea Costituente, eletta il 2 giugno 1946.
Le figure dei manifesti invece non esitarono ad appellarsi alla protezione di figli e famiglia per ottenere più voti e spaccare l’elettorato.
Mentre i partiti di sinistra, riuniti nel Fronte popolare, pensavano di poter ottenere la maggioranza o comunque un’affermazione importante per partecipare al governo, il risultato delle urne decretò, a sorpresa, il trionfo alla Dc (che ottenne la maggioranza assoluta dei seggi) e l’insuccesso di Pci e Psi, distanziati di quasi 20 punti. Dietro a tutto questo, come è noto, la guerra fredda, il colpo di stato comunista a Praga, le denunce delle atrocità dello stalinismo e la spinta alla rottura totale con l’Urss per poter beneficiare delle ingenti risorse americane, quindi la collocazione chiara e stabile del nostro paese nel blocco occidentale, guidato dagli Usa.
Fu quindi l’influenza americana e gli aiuti materiali ad accompagnare una profonda trasformazione squisitamente culturale, ma per fare questo non mancò l’ausilio dei miti immortali dell’immaginario, però nelle sembianze delle star di Hollywood, insieme a quelle dei mostri sacri della musica, dei giganti della letteratura americana ricchi di fascino, attraverso romanzi di grande successo, già censurati dal fascismo. Erano modelli che si legavano ai racconti dei parenti emigrati negli Stati Uniti, già abbagliati dal consumismo, a cominciare dalla memoria (ingloriosa per noi) dei soldati americani che distribuivano tavolette di cioccolata e sigarette, mentre ora si facevano carico degli aiuti per la ricostruzione materiale di un Paese sfiancato, dolente, desideroso di dimenticare.
Prima fu il programma Unrra (terminato in dicembre) a destinare all’Italia oltre 290 milioni di dollari per l’acquisto di generi di prima necessità, poi il Governo americano, insieme agli aiuti materiali scaricati dalle navi nei porti italiani, promosse attivamente l’immagine degli Usa, soprattutto nelle settimane prima del voto (in attesa dei tempi tecnici per le risorse del Piano Marshall). Fu quindi una campagna elettorale potenziata da programmi accattivanti, promossi anche da personaggi ormai famosi anche da noi, come Frank Sinatra, Gary Cooper, il sindaco di New York Vincent Impellitteri ed il campione dei pesi medi Rocky Graziano.
La Dc, uscita vittoriosa da quello scontro, getterà quindi le basi per una duratura permanenza, ma in gioco vi saranno ben altre forze. L’Italia divenne un paese, prigioniero della guerra fredda che impedirà di fatto una fisiologica alternanza tra gli schieramenti … L’11 maggio del 1948 il nuovo Parlamento elesse alla presidenza della Repubblica Luigi Einaudi e De Gasperi, ricevuto dal neo capo di Stato l’incarico, formò un governo quadripartito (DC, PLI, PRI, PSLI). Tale formula caratterizzerò le coalizioni guidate da De Gasperi che governarono fino al luglio 1953
Infine, nel saggio viene fatta un’ampia analisi del fatto che in questo stesso anno, rischiò di gettare il paese nella guerra civile. Il 14 luglio un giovane siciliano, iscritto al Partito liberale, Antonio Pallante sparò a Palmiro Togliatti e il leader comunista restò per qualche ora tra la vita e la morte. La Cgil, attraverso Giuseppe Di Vittorio proclamò immediatamente lo sciopero generale, scatenando recriminazioni da parte dei sindacalisti cattolici guidati da Giulio Pastore.
Ma il peggio doveva ancora venire e si scatenò quando furono occupate molte fabbriche e in tutte le grandi città comparvero barricate, finché, come è noto, Togliatti, riavutosi grazie a un intervento chirurgico miracoloso di Pietro Valdoni, richiamerà i suoi all’ordine, mentre la radio annunciava l’insperata vittoria di Gino Bartali in alcune tappe di montagna del Tour de France. Tutto questo non evitò però che, alla fine, l’ondata di proteste si concludesse in una dura fase repressiva, sotto la regia del ministro Scelba.
Considerazioni dell’autrice.
La “Storia” ci aiuta a riflettere, soprattutto oggi, che viviamo in Italia una travagliata situazione economico-politica, all’interno di un periodo difficile per le istituzioni democratiche, la salute, la cultura ed i rapporti umani. Lunghi mesi di paure e lockdown a singhiozzo ci hanno abituati ad un clima paragonabile a quello di un difficile dopoguerra, sia per la quantità di vittime, sia per la densità di emozioni contrastanti e la diffusione “virale” di informazioni discordanti, addirittura contrapposte.
Rispetto ad allora però, la nostra consapevolezza cognitiva dovrebbe essersi evoluta e la rivoluzione digitale, così come l’ingresso consistente della voce delle donne in presidi direttivi e di responsabilità socio-politica, avrebbe dovuto aiutarci a trovare soluzioni dignitose a quei problemi endemici italiani che sarebbe lungo enumerare.
Le nostre fragilità permangono infatti in un mondo dove le informazioni, in particolare le immagini, sono sempre più pervasive e soggette all’accelerazione temporale di un bombardamento estraniante. Riferendomi ad una puntata di Rai 3 Presadiretta dal titolo – Iperconnessi di lunedì 15 ottobre 2018 – si può ancora seguire una ricerca che denuncia come i media digitali andrebbero a modificare non solo la percezione, ma anche la capacità attentiva, indebolendo, frantumando il pensiero progettuale e la memoria, soprattutto in persone senza stabili punti di riferimento culturale. La memoria infatti non dovrebbe essere solo un accumulo di informazioni, ma includere la capacità di programmare e riorganizzare il pensiero profondo, senza essere prigionieri del presente, mentre un algoritmo digitale programma le nostre scelte, utilizzando quello che rimane dei nostri desideri. Riflettendo inoltre sulla constatazione che i media non sono così neutrali, (ricordando la profezia di Marshall McLuhan) ricordiamo che l’onnipotenza tecnologica ha il potere ormai di far lievitare le tempeste monetarie, far scomparire le persone nell’omologazione e nell’alienazione o nell’appiattimento del contesto sociale.
Carla GUIDI Roma 31 gennaio 2021