di Nica FIORI
Il cosiddetto Vaso di Pronomos, un cratere attico a figure rosse ritrovato a Ruvo di Puglia e conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, mostra un gruppo di attori, coreuti e musicisti (tra cui l’auleta Pronomos) che si preparano a rappresentare un dramma satiresco alla presenza della coppia divina Dioniso e Arianna.
Questo capolavoro della ceramica attica, risalente alla fine del V secolo a.C., sembrerebbe confermare il fatto che il dramma greco affondi le sue origini nel culto di Dioniso, dio liberatore dell’energia vitale e capace di ritornare dall’oltretomba alla vita. Del resto la parola “tragedia” deriva dal greco tragoidia, che potrebbe significare “canto per il capro”. Gli adoratori di Dioniso (satiri e menadi), infatti, sacrificavano un capro che simboleggiava il dio e ne bevevano il sangue per essere invasati dalla divinità. Solo in un secondo tempo quelle creature selvagge sostituirono il sangue con il vino; con l’ebbrezza sfrenata e la danza pensavano di poter diventare essi stessi divini e, pieni del furore dionisiaco, correvano per i boschi facendo a pezzi tutto ciò che capitava loro davanti.
Come riferisce Aristotele nella sua Poetica, la tragedia sarebbe nata gradualmente dal ditirambo, il canto in onore del dio, avviato da una voce solista alla quale rispondeva il coro, composto da attori vestiti da satiri. La commedia deriverebbe invece dal greco komos, il corteo dei fedeli di Dioniso che, ebbri e forse in maschera, lo celebravano con canti, musica e danza portando in processione un fallo di legno (falloforia).
Sono proprio un busto di Dioniso del tipo Sardanapalo (MANN di Napoli), un rilievo neoattico con Menade danzante (Musei Capitolini) e una coppa attica con falloforia (Museo Archeologico Nazionale di Firenze), oltre al già citato Vaso di Pronomos, a ricordarci le origini degli spettacoli teatrali nella grande mostra “Teatro. Autori, attori e pubblico nell’Antica Roma”, ospitata fino al 3 novembre al Museo dell’Ara Pacis.
L’esposizione, promossa dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con l’organizzazione di Zètema Progetto Cultura, è a cura di Orietta Rossini e Lucia Spagnuolo. Media partner sono Rai Pubblica Utilità, Rai Radio3, La Repubblica. Il catalogo, edito da L’Erma di Bretschneider, è a cura di Salvatore Monda, Orietta Rossini e Lucia Spagnuolo.
L’idea è quella di raccontare, attraverso oltre 240 opere provenienti da 25 diversi prestatori, il teatro nell’antichità come fatto culturale, sociale, artistico lungo un percorso cronologico che dal V secolo a.C. arriva fino alla realtà contemporanea. L’esposizione si snoda lungo sette sezioni, arricchite da installazioni multimediali con videomapping, postazioni interattive, interventi recitati da attori che danno voce ai protagonisti del teatro antico.
L’edificio teatrale, che in Grecia sorgeva fuori della città, a ridosso di una collina, a Roma e nelle città romanizzate si trovava al centro dello spazio urbano, spesso vicino agli altri edifici riservati agli spettacoli gladiatorii (anfiteatri) e sportivi (circhi). I primi teatri romani erano realizzati in legno. In età repubblicana, infatti, erano vietati impianti stabili per paura di disordini. Fu solo nel 55 a.C. che Roma ebbe il suo primo teatro in muratura, quando Pompeo aggirò il divieto dedicando un tempio a Venere Vincitrice, la cui altissima scalinata aveva una forma semicircolare che fungeva da cavea. Sul finire del I secolo a.C. furono costruiti anche i teatri di Balbo e di Marcello. Di quest’ultimo, al quale si è addossato il palazzo Orsini, è in mostra un bel modello.
In seguito, la diffusione dei teatri fu tale che ogni città dell’impero romano aveva il suo edificio monumentale, caratterizzato dalla cavea poggiante su archi e volte in muratura e da una spettacolare frons scaenae. Tra gli oltre 1000 teatri, che in parte si sono conservati, si segnalano in particolare quello di Aspendos (in Turchia) e di Sabratha (in Libia), dei quali sono esposti i plastici del Museo della Civiltà Romana.
Il teatro romano ospitava vari tipi di spettacoli, detti ludi scaenici. Come narra Tito Livio, gli spettacoli teatrali vennero istituiti per la prima volta a Roma nel 364 a.C., per placare le ire degli dei in seguito a una pestilenza:
“Vennero chiamati attori dall’Etruria che danzavano al ritmo del flautista e si esibivano con movimenti aggraziati secondo l’uso etrusco, ma senza alcun canto … in seguito i giovani romani cominciarono ad imitarli, scambiandosi al tempo stesso motteggi in versi, con movimenti che si accompagnavano alle parole” (Ab urbe condita, VII, 2).
Gli attori dell’Etruria (histriones) ebbero quindi largo seguito tra la gioventù romana e dalla fusione di elementi etruschi con la tradizione indigena si svilupparono diverse forme di spettacolo, che trovarono, tra l’altro, espressione artistica con le fabulae atellane e con le saturae (satire).
Una radicale innovazione venne introdotta nel 240 a.C., quando, al posto dei rozzi prodotti di arte locale, si ebbe la rappresentazione di tragedie e commedie greche in adattamenti latini, verosimilmente solo per una parte dei giorni all’epoca dedicati ai ludi scaenici. In seguito si diffonderanno anche opere come le togatae e le praetextae, di ambiente latino: è proprio dall’incontro tra la commedia greca (ricordiamo nel V secolo a.C. Aristofane, del quale sono sopravvissute undici commedie integre, e Menandro, esponente della “commedia nuova” vissuto tra il IV e gli inizi del III secolo a.C.), le forme espressive etrusche e la spontaneità dei popoli italici meridionali che nasce in età repubblicana la commedia romana, vera protagonista della scena teatrale, grazie ad autori quali Plauto (morto nel 182 a.C.) e Terenzio (attivo a Roma dal 166 al 160 a.C.). La ripresa della tragedia si avrà solo in età imperiale, in particolare con Seneca (4 a.C. – 65 d.C.), ma quest’arte a Roma era destinata ad essere apprezzata in un ambiente letterario o in un teatro privato (come quello che Nerone aveva voluto nei suoi Horti per esercitarsi personalmente nel canto e come attore tragico), più che ad essere rappresentata nei grandi teatri pubblici.
Insieme ai ludi circenses, i ludi scaenici erano parte essenziale degli spettacoli pubblici. L’organizzazione degli spettacoli teatrali era molto gravosa per chi se ne assumeva l’onere, in quanto bisognava acquistare i diritti sull’opera, retribuire gli attori e i musicisti, fornire loro i costumi e provvedere all’allestimento teatrale. Per i ludi a carattere pubblico le spese, sia pure in parte rimborsate dallo Stato, erano a carico dei magistrati promotori. Sappiamo che al tempo di Plauto e Terenzio le rappresentazioni si svolgevano al mattino. L’ingresso a teatro era gratuito per tutti i cittadini, compresi gli schiavi e le donne, mentre non erano ammessi di norma gli stranieri. Le tessere di entrata, normalmente di coccio o di osso, servivano all’assegnazione del posto. Le prime file erano sempre riservate ai senatori e le altre suddivise secondo il censo.
Nonostante il plauso di molti, i ludi scaenici non ebbero comunque la popolarità di quelli circensi. Noto è l’episodio relativo all’Hecyra (La suocera) di Terenzio, le cui rappresentazioni nel 165 e nel 160 a.C. vennero bruscamente interrotte, la prima volta dall’annunzio di uno spettacolo di pugili e di funamboli e la seconda volta dallo spettacolo di gladiatori offerto dai figli di Emilio Paolo, detto Macedonico, in memoria del padre. Evidentemente Terenzio con il suo linguaggio forbito era troppo raffinato per il volgo, che apprezzava maggiormente l’esibizione di uomini muscolosi in spettacoli cruenti.
Una quantità impressionante di reperti, tra cui statue e statuine, terrecotte, affreschi, mosaici, vasi, ricostruzioni, permette di addentrarsi nella storia del teatro antico e dei suoi protagonisti. Grande risalto viene dato in mostra agli autori teatrali, sia greci sia romani, ai miti da loro portati sulle scene (per esempio il Riconoscimento di Oreste da parte di Ifigenia, episodio riferibile all’Ifigenia in Tauride di Euripide, raffigurato in un emblema musivo a tessere policrome, dai Musei Capitolini) e alle relative maschere, tra cui quelle miniaturistiche di Edipo e Giocasta (personaggi tragici resi celebri da Sofocle) provenienti dal museo archeologico di Lipari.
Decisamente farsesco è l’episodio relativo alla storia di Zeus e Alcmena, raffigurato in un cratere (ceramica campana, da Paestum, 350-340 a.C., Musei Vaticani): Zeus appare come un vecchio, quasi intrappolato in una scaletta, che cerca di raggiungere la donna, affacciata alla finestra della sua casa, mentre Ermes veste i panni del servo e complice. La storia verrà ripresa sulla scena da Plauto per il suo Anfitrione.
Un altro approfondimento è dedicato agli attori, con i loro costumi e il loro status sociale. Sappiamo, infatti, che a Roma, se da un lato erano applauditi, dall’altro erano considerati degli “infami”, cioè persone non degne di avere la parola in campo politico. Le vite, spesso al limite, degli uomini di spettacolo rivivono attraverso alcune testimonianze che ci raccontano cosa facessero “in scena” e “oltre la scena”.
Nel settore dedicato alla musica scopriamo che nel teatro classico la musica era talmente importante che il termine “orchestra” è rimasto a indicare la porzione semicircolare, confinante con la cavea, destinata ai musicisti. Non dobbiamo dimenticare che le tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide (i grandissimi autori del V secolo a.C.) erano drammi pensati con la musica e per la musica, non diversamente dai moderni melodrammi, ma purtroppo le “colonne sonore” dell’antichità non ci sono pervenute. Ovviamente la musica accompagnava anche gli altri spettacoli scenici, come è evidenziato in un celebre Mosaico con scene di danza e mimo dei Musei Vaticani, dove sono riconoscibili anche una serie di strumenti musicali antichi quali la tibia (un lungo flauto doppio realizzato in osso), e lo scabillum, una sorta di sonaglio da attaccare alla suola delle scarpe. Possiamo farci un’idea della musica di scena, grazie a rari e delicati strumenti musicali originali, come tibie, resti di cetre, crotali, sistri, molti dei quali sono stati per l’occasione fedelmente riprodotti in copia in modo da consentire al visitatore di sperimentarne il suono. I Romani usavano anche l’organo, come si vede dalla ricostruzione in bronzo e legno di un organo a mantici (Museo della Civiltà Romana, Roma), il cui originale era utilizzato nel III secolo d.C. dai pompieri di Aquincum (attuale Budapest), che avevano una loro banda musicale che suonava in occasione di alcuni spettacoli.
La mostra evidenzia giustamente anche il grande successo di una serie di divertenti esibizioni teatrali che andavano dai mimi alle pantomime, dalle danze agli spettacoli di giocolieri, acrobati e contorsionisti. Anche le donne intraprendevano queste attività. Una acrobata è raffigurata nuda in equilibrio in due terrecotte policrome, provenienti dal museo MARTA di Taranto.
Alla mima e danzatrice Bassilla è dedicata una stele funeraria in greco del III d.C. (Museo archeologico nazionale di Aquileia), che dice tra l’altro:
“Lei certo anche essendo morta ottenne onore uguale a quello della vita riposando col suo corpo in un suolo caro alle Muse. Queste cose dicono i tuoi compagni di scena: sii lieta Bassilla, nessuno è immortale”.
Tra i pezzi in mostra prevalgono certamente le maschere, a partire da un esemplare arcaico in terracotta del V secolo a.C., dal Museo Archeologico Regionale ‘Paolo Orsi’ di Siracusa. Dal mondo magno-greco provengono divertenti statuine di attori, danzatori e giocolieri, la maschera di un personaggio di farsa “fliacica” dal caratteristico naso storto (Museo MARTA di Taranto).
Diverse maschere miniaturistiche a soggetto teatrale, molte mai esposte in mostra, provengono da contesti tarquiniesi. Altri modelli di maschere, mai esposti a Roma, sono stati trovati nella bottega di un artigiano di Pompei e pompeiani sono pure un oscillum con una maschera tragica e la raffigurazione ad affresco di Melpomene (la Musa della Tragedia). La Musa della Commedia, Talia, non poteva mancare e, in effetti, la troviamo raffigurata insieme a Menandro in un rilievo dei Musei Vaticani.
Dal teatro romano di Nemi provengono grandi affreschi parietali di un “camerino” per la compagnia teatrale. Attirano certamente l’attenzione anche alcune raffigurazioni di satiri e soprattutto del villoso Papposileno, il più anziano e saggio dei sileni del corteo dionisiaco (a lui era stato affidato Dioniso infante), del quale è esposta una maschera in bronzo (I secolo a.C., Fondazione Sorgente Group) e una statuetta in marmo bianco con tracce di colore (II secolo d.C., Museo Nazionale Romano).
Le maschere tragiche, comiche, grottesche indubbiamente costituiscono il filo conduttore di questa riuscita “immersione” nel teatro antico: esse rappresentano “caratteri” scenici di lunga durata, non così diversi da personaggi del teatro moderno, quali il vecchio misantropo, il giovane seduttore, il servo scaltro e altri ancora. Dopo aver attraversato l’antico, il percorso si apre alla contemporaneità nell’ultima sezione, intitolata “Attualità del classico”, grazie a una selezione di locandine storiche di spettacoli realizzati al teatro greco di Siracusa, montaggi video di messe in scena contemporanee e altre testimonianze materiali e fotografiche, riferite in particolare all’esperienza del Vantone di Pasolini, ispirato al Miles gloriosus di Plauto.
L’allestimento della mostra, di grande effetto scenografico, si rivolge a un pubblico ampio e diversificato con audiodescrizioni scaricabili online, video LIS, disegni a rilievo e riproduzioni tattili. Per tutto il periodo di apertura dell’esposizione, inoltre, è previsto un servizio di visite tattili e altre con interprete LIS gratuite.
Nica FIORI Roma 9 Giugno 2024
“Teatro. Autori, attori e pubblico nell’antica Roma”
Museo dell’Ara Pacis, via di Ripetta, 180 – Roma
21 maggio – 3 novembre 2024
Orario: tutti i giorni ore 9,30 – 19,30 (ultimo ingresso alle 18,30)
Info mostra: tel. 060608