di Nica FIORI
“Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so. Se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più”.
Con queste parole Sant’Agostino nel libro XI delle Confessioni s’interrogava sul concetto di tempo che da sempre si lega alla meditazione umana sul fluire inesorabile dei giorni, delle stagioni, degli anni, sulla caducità della bellezza, dell’amore, della gloria e, ovviamente, della vita terrena.
Il Tempo, che nella sua eterna ciclicità a volte conserva e più volte distrugge, è stato ampiamente indagato in epoca barocca da importanti artisti, da Pietro da Cortona a Gian Lorenzo Bernini, da Valentin de Boulogne a Nicolas Poussin, da Anton Van Dyck a Domenichino, da Andrea Sacchi a Guido Reni e a tanti altri, le cui opere sono esposte nella mostra “Tempo barocco”, che inaugura otto nuove sale espositive di Palazzo Barberini.
Curatrici della mostra sono Francesca Cappelletti, direttrice della Galleria Borghese, e Flaminia Gennari Santori, direttrice delle Gallerie Nazionali di Arte antica Barberini e Corsini. Pertanto, come ha dichiarato la direttrice ospitante Gennari Santori
“questa mostra diventa anche una magnifica occasione per dare avvio ad una relazione e ad un confronto proficui tra due musei che con il loro patrimonio sono certamente tra i più rilevanti nel racconto di un’epoca e della sua arte, nel contesto nazionale e internazionale”.
Certo l’universo barocco, nato a Roma nei primi decenni del XVII secolo, è di casa sia alla Galleria Borghese, che raccoglie celebri capolavori scultorei di Gian Lorenzo Bernini, sia a Palazzo Barberini, dove possiamo ammirare architetture di Bernini e Borromini e il gigantesco affresco di Pietro da Cortona “Il trionfo della Divina Provvidenza”, che rappresenta la sintesi di tutti gli aspetti fondanti dell’estetica barocca: teatralità, magniloquenza, meraviglia.
Fu grazie alla forza di quel linguaggio figurativo che il pontificato di Urbano VIII Barberini sarebbe stato promosso a “età dell’oro” in campo artistico: una felice stagione aurea che proseguirà con Innocenzo X Pamphilj e Alessandro VII Chigi.
Le circa 40 opere selezionate per la mostra, provenienti da importanti musei nazionali e internazionali, esprimono al meglio la rielaborazione dei miti classici legati al Tempo in chiave grandiosa e patetica e sono inframmezzate da preziose manifatture di orologi. Sono oggetti questi che richiamano talvolta il memento mori, tanto in voga all’epoca, come si evince dai versi del poeta Ciro di Pers (1599-1663) tratti dal suo sonetto Orologio da rote:
“Mobile ordigno di dentate rote/ lacera il giorno e lo divide in ore, / ed ha scritto di fuor con fosche note / a chi legger le sa: sempre si more …”.
Il percorso è suddiviso in cinque sezioni ed è introdotto da un focus sulla “cronologia” che espone le riproduzioni di due tavole dell’Atlante Mnemosyne dello studioso tedesco Aby Warburg (1866-1929), il cui nome non a caso richiama la dea greca della Memoria e madre delle Muse. Le tavole illustrate di quest’opera (sono in mostra la 48 intitolata a Fortuna e la 70, ovvero Pathos barocco nel ratto) raccolgono immagini fotografiche di svariate opere d’arte accostate insieme per documentare visivamente i profondi legami che tessono insieme la storia delle immagini nel tempo, delle loro segrete energie espressive, dei loro effetti di lunga durata su chi le guarda e su chi le ripensa. Come si legge in un pannello didattico
“Il tempo del Barocco non è solo il tempo rappresentato nelle immagini, attraverso le figure del mito, della storia, dell’allegoria e del simbolo, ma è anche il tempo delle immagini, del loro lascito e della loro sopravvivenza, che non smette di trasformarsi ma continua a provocarci, a interrogarci, ancora oggi, di nuovo, a dispetto del tempo”.
Dominare il tempo è un bisogno assillante della riflessione barocca, che accomuna poesia, scienza e arte.
Nello stesso istante in cui gli esseri umani sembrano divorati dal tempo, trovano la forza di opporsi con ogni mezzo al suo dominio, interpretando i mutamenti, le stagioni dell’anno e della vita, opponendo fieramente al Tempo l’immagine dei suoi antagonisti: la Verità, l’Amore, la Bellezza, la Speranza.
Nella prima sezione, dedicata al “mito del Tempo”, la tela di Giovanni Domenico Cerrini Il Tempo svela la Verità (1666, Kassel, Gemäldegalerie Alte Meister) rappresenta Crono, il dio greco del Tempo, raffigurato come un vecchio alato, mentre rivela al mondo, scoprendola, una bella e sensuale fanciulla, allegoria della Verità.
Più spesso il dio, equiparato dai romani a Saturno, viene raffigurato con in mano una falce, con la quale miete inesorabilmente le vite degli uomini. La dimensione mitica del tempo è evocata anche attraverso le raffigurazioni delle età dell’uomo, talvolta dissimulata in scene di vita quotidiana, come fa Valentin de Boulogne ambientando il suo dipinto Le quattro età dell’uomo (c. 1629, Londra National Gallery) all’interno di una taverna romana.
Una figura che si contrappone al vecchio alato Saturno è il giovane alato Cupido, protagonista della sezione “Il tempo e l’Amore”. Anche se nel dipinto di Anton Van Dyck Il Tempo taglia le ali all’Amore (c. 1627, Parigi, Musée Jacquemart-André), il vecchio sembra prevalere sul giovane dio dell’amore e quindi assistiamo all’avvizzimento della natura, il più delle volte Amore è raffigurato trionfante come nel dipinto Amore vincitore di Orazio Riminaldi (1625, Firenze Uffizi), in questo caso vincente sulle Arti, simboleggiate da strumenti musicali, tavolozze, armature, libri e corone.
Tra i dipinti in mostra troviamo anche Il Genio delle Arti (1628) di Astolfo Petrazzi, conservato a Palazzo Barberini e Amor sacro e Amor profano (1622-23) di Guido Reni, proveniente dal Museo di Palazzo Spinola di Genova.
La mostra prosegue con “Il tempo tra calcolo e allegoria” con la visione di diverse personificazioni tipiche del mondo classico, come le Ore o le Stagioni (come nel dipinto di Nicolas Poussin Elio e Fetonte con Saturno e le quattro Stagioni del 1635, proveniente da Berlino),
che si contrappongono al terribile vecchio distruttore, ma anche personificazioni cristiane come l’Allegoria della Divina Sapienza, raffigurata nell’olio del 1655-58, che riprende il soggetto dell’affresco realizzato da Andrea Sacchi sulla volta di una sala di palazzo Barberini per celebrare il papato di Urbano VIII.
Appartiene alla stessa sezione il dipinto di Simon Vouet Il Tempo vinto dalla Speranza e dalla Bellezza (1627, Madrid, Museo del Prado), scelto come immagine guida della mostra.
È proprio la Speranza che, raffigurata mentre ferma il tempo con un’ancora, lascia ben sperare in un rinnovamento non solo artistico, ma soprattutto spirituale, che i pontefici dell’epoca auspicavano e che ai giorni nostri sembra quanto mai attuale.
Quanto alla Bellezza, è naturale per me pensare non tanto alla bellezza fisica, raffigurata nel dipinto da una donna a seno nudo, quanto a quella dell’arte. Sappiamo bene che la città eterna è stata fortemente segnata, nel suo aspetto urbanistico, da quei tre grandi artisti (Bernini, Borromini, Pietro da Cortona) che, nati a brevissima distanza uno dall’altro, si son trovati a interagire nella stessa feconda stagione. È grazie alle loro opere, realizzate più o meno tra il 1625 e il 1665, che Roma diventa la capitale europea dell’arte e che impone il proprio stile nel vecchio continente e perfino nell’America Latina.
Eppure, al tempo del Neoclassicismo, il Barocco era visto come un momento d’infamia artistica. Il critico d’arte Francesco Milizia aveva decretato che
“Borromini in architettura, Bernini in scultura, Pietro da Cortona in pittura, il Cavalier Marino in poesia sono la peste del gusto, peste che ha appestato gran numero di artisti”.
Per fortuna le mode cambiano e restano le opere a documentare la grandezza delle creazioni artistiche, che una mostra come questa evidenzia, fornendo al tempo stesso una lezione di storia.
La IV sezione è dedicata al tema della Vanitas, ovvero la caducità della vita terrena, e in questo caso ci incantiamo soprattutto davanti a raffinatissime nature morte, simboleggianti l’effimera natura del bello, e agli spettacolari orologi, oggetti inanimati e tecnologicamente avanzati, che diventano un simbolo incessante della Morte inevitabile, la cui costante presenza è scandita dai loro moti cadenzati. Uno degli orologi, realizzato in oro, smalti e pietre preziose, è decorato con un piccolo scheletro. Un altro, la cui decorazione floreale ha al centro una raffigurazione della Madonna Vallicelliana, proviene dalla Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri. Questo santo (morto a Roma nel 1595 e canonizzato nel 1622), pur dotato di un saldo ottimismo cristiano, ribadiva nella sua nota “Canzone delle vanità” il concetto espresso per la prima volta nell’Ecclesiaste, e tradotto in latino da San Girolamo con le parole: Vanitas vanitatum et omnia vanitas (vanità delle vanità, tutto è vanità).
L’ultima sezione, “Fermare il tempo, cogliere l’azione” è introdotta da una frase di Giovan Battista Marino, tratta da una lettera a Girolamo Preti, che afferma:
“La vera regola, cor mio bello, è saper rompere le regole a tempo e luogo, accomodandosi al costume corrente ed al gusto del secolo”.
Le arti figurative di quel secolo, in effetti, non si limitano a evocare o esorcizzare l’incombere del tempo, ma si sforzano anche di afferrarlo, fissarlo e bloccarlo con un’efficace rappresentazione dell’azione, dei movimenti e dei gesti, come fa tra gli altri il Domenichino con il suo Sacrificio di Isacco (1627-28, Madrid, Prado) o Guido Cagnacci con La morte di Cleopatra (1661-62 Vienna, Kunsthistorisches Museum).
Spettacolare è Il Ratto delle Sabine di Pietro da Cortona, prestato dai Musei Capitolini, un’opera gigantesca dove la pittura diventa teatrale, coinvolgendo lo spettatore nell’attimo più drammatico della vicenda.
Nica FIORI Roma 16 maggio 2021
“Tempo barocco”, Palazzo Barberini, via della Quattro Fontane, 13 – Roma
15 maggio-3 ottobre 2021
Orari: martedì – domenica 10.00 – 18.00. Ultimo ingresso alle ore 17.00. Sabato e festivi prenotazione obbligatoria. Biglietto: solo mostra: intero 7 € – ridotto 2 €; mostra e museo: intero 12 € – ridotto 4 € ; solo museo: intero 10 € – ridotto 2 € ; gratuito per gli aventi diritto.
La prenotazione è obbligatoria il sabato e nei festivi al numero 06.32810 o al seguente indirizzo: https://www.ticketone.it/city/roma-216/venue/palazzo-barberini-16406/