di Elvira D’AMICO
Gianbecchina (Giovanni Becchina 1909 -2001 ) è uno dei pittori del Novecento che onorarono la Sicilia -assieme a Guttuso, Migneco, Greco, Mazzullo… – affermandosi al livello nazionale ma portando sempre nel cuore la propria terra nella quale ritornarono periodicamente e in molti casi si ritirarono per concludere i loro giorni. Reduce dalle esperienze perpetrate a Milano alla fine degli anni Trenta – dall’adesione al gruppo di Corrente alle dispute tra movimenti pittorici – nonché dalle prime esposizioni internazionali di prestigio (ad es. alla Biennale d’arte contemporanea di Venezia del 1938), negli anni ‘40 ritorna in Sicilia ove effettua attività di frescante e restauratore di chiese ed opere d’arte danneggiate dagli eventi bellici, per conto della Soprintendenza alle Gallerie ed Opere d’arte della Sicilia. L’artista inoltre, dotato di una particolare originalità espressiva, coglibile nella ariosità compositiva e vivacità cromatica delle sue tele (figg.1-2), è stato considerato non a caso un rappresentante del cosiddetto realismo ‘lirico’, in contrapposizione al realismo sociale di Guttuso con il quale viene inevitabilmente messo a confronto (SCUDERI).
Gianbecchina infatti, annoverato in genere assieme agli artisti che trattano la vita, le sofferenze, le fatiche del popolo siciliano, se ne distingue in quanto
“più descrittivo e favolistico, nel suo racconto della quotidianità della vita di contadini e pescatori…sempre pittoresco e talvolta poetico” (V.Sgarbi).
E’dunque inevitabile che a un certo punto della sua vita la sua arte si incontri con quella del suo paese natio, l’antico borgo medievale di origini arabe di Sambuca di Sicilia. In esso, sito nel cuore più profondo dell’Isola, leggenda e religiosità, tradizione popolare e arte ‘culta’ si mescolano tra loro ruotando attorno alla devozione per un antico simulacro, quello rinascimentale della Madonna dell’Udienza (fig.3).
Molto sentita è la tradizione che vuole la scultura gaginiana ritrovata da un contadino nei pressi dell’antica torre del Cellaro e subito allocata nella chiesa della Madonna del Carmelo, davanti alla quale i buoi che trainavano il carro che la trasportava si fermarono ostinatamente, e le attribuisce poteri miracolistici nei confronti della comunità sambucese, che si credette da lei salvata dalla peste del 1575.
Nei secoli a venire il gruppo statuario è stato ulteriormente arricchito di preziosi ‘accessori’: i gioielli donati dai fedeli come ex voto (fig.4), il manto settecentesco ricamato in oro, che si dice dotato di poteri taumaturgici (fig.5), il fercolo processionale in stile neobarocco ornato da pendoni in velluto cremisi (1817) (fig.6),
ed infine una corona in oro, gemme e coralli eseguita, assieme all’altra del Bambinello, dai gioiellieri palermitani Fecarotta su disegno del rinomato scultore palermitano Mario Rutelli (1903) (fig.7).
Pure la lunga e sentita festa della Madonna che ‘dà udienza’ o ‘che ascolta’ il suo popolo, fu affidata sin dalla fine dell’Ottocento all’esperienza di rinomati apparatori siculo-americani, che ne crearono scenografiche luminarie e arcate lignee. Ancora agli inizi del secolo XX furono coniate alcune medaglie con l’effigie della Madonna e sorsero due confraternite laiche a lei intitolate, quella maschile dei Nudi e quella femminile delle Dame.
Ed è grazie a queste ultime se il nome dell’ormai famoso pittore Gianbecchina si lega indissolubilmente al culto della venerata Patrona del paese.
E’ per prima la confraternita delle Dame che alla fine degli anni 1940 commissiona al pittore sambucese la realizzazione della sua insegna identitaria, un piccolo stendardo quadrangolare in seta (labaro) con l’immagine dipinta della Madonna dell’Udienza (fig.8).
La disponibilità del pittore del popolo contadino, dei paesaggi e della passione amorosa, ad eseguire lo stendardo religioso nella tecnica per lui desueta dell’olio su seta, ben si inserisce nell’ambito dell’amore indiscriminato da lui nutrito verso il suo popolo al di là di ideologie e generi pittorici, che egli rivela nel suo stesso assunto:
“Considero la pittura un atto d’amore, un inno al creato dal profondo dell’anima. Il contenuto della mia opera, il motivo del mio dipingere, l’oggetto del mio fantasticare è la vita di uomini, donne e bambini della mia terra, con le loro ansie e i loro problemi, è il colore, la conformazione, il profumo, il sapore di questa Sicilia ed anche i suoi terribili sussulti, gli impeti della sua gente, questo mi dà gioia e tormento e la forza di proseguire…”.
L’artista dunque dipinge nel 1948 lo stendardo, nel quale raffigura una icona di stampo tradizionale della Vergine col Bambino (fig.9), in piedi su un tappeto di nuvole, avvolgendola in un manto blu ceruleo, alla maniera quasi di una pittura settecentesca, circondandola poi di una cornice ovale punteggiata da rose rosse e myosotis azzurri. Del resto i modelli in tal senso non mancavano in paese, ad opera soprattutto di un altro rinomato pittore settecentesco nativo del luogo, il cappuccino Fra’ Felice da Sambuca, noto per le sue pale sacre derivanti da modelli colti, ma genuinamente e personalmente reinterpretate (fig.10). L’opera viene completata dall’iscrizione dipinta relativa alla confraternita (inalto) e da quella relativa alla chiesa d’appartenenza (in basso).
Dagli anni ’50 per Gianbecchina si susseguono ininterrottamente prestigiose esposizioni nazionali, ove il pittore miete importanti riconoscimenti, ad esempio un premio speciale alla Biennale di Venezia del 1954 per l’opera La zolfara . Pure la sua terra gli tributa rilevanti onori e riconoscimenti organizzandogli svariate mostre ed eventi in importanti istituzioni museali. Al suo paese natio peraltro negli anni Novanta egli dona molte delle sue opere che costituiranno il nucleo principale dell’ Istituzione Gianbecchina, fondata dal figlio dell’artista nel 1997.
E’ in questo contesto di fama e successi incondizionati che il pittore torna ad occuparsi nuovamente della Madonna dell’Udienza di Sambuca. Infatti dopo oltre quarant’anni dalla commissione del primo stendardo, la confraternita femminile delle Dame si rivolge di nuovo a Gianbecchina perché realizzi una copia che rimpiazzi il primo labaro ormai in cattive condizioni conservative (figg.11-12).
Il pittore questa volta esegue un’immagine più realistica del gruppo scultoreo, enfatizzandone il manto e la corona realmente esistenti, in uno stile calligrafico e compendiario, quasi da stampa popolare, mantenendo peraltro uguale l’incorniciatura oleografica del precedente manufatto. Lo stendardo viene poi dotato di piccoli galloni e di una ricca frangia dorata.
Poco dopo pure la confraternita maschile dei Nudi, nella persona del superiore Pietro Caloroso, decide di far realizzare il suo stendardo identitario, rivolgendosi questa volta al figlio di Gianbecchina, Alessandro, anche lui quotato pittore contemporaneo (fig.13).
Alessandro Becchina (n.1955) dunque effettua nel 1996 un’immagine oltremodo realistica dell’icona cinquecentesca, inserendola per la prima volta entro il fercolo processionale capillarmente reso, lo stesso che appare sugli abitini ottocenteschi dei confrati (fig.14), adoperando un cromatismo forte e innaturale- un diffuso preponderante blu elettrico di fondo e un blu notte di contrasto alla candida statua marmorea-(fig.15).
La rappresentazione pittorica e quella oleografica del padre si tramutano in una sorta di iperrealismo ‘fotografico’ proprio degli anni ‘90 del Novecento.
Ma non basta: nel nuovo stendardo dell’Udienza i confrati, la cui predilezione per i ricami si coglie dai loro abitini e scapolari ricamati in oro e seta, si rivolgono per la rifinitura del manufatto alle suore ricamatrici più rinomate del tempo, le Figlie di San Giuseppe di Palermo, che eseguono gli aggraziati ornati in oro in stile ‘barocchetto’, unitamente all’iscrizione relativa alla confraternita e a quella interna relativa al committente (fig.16).
Le suore Giuseppine, abili ricamatrici di tovaglie d’altare, parati sacri, vesti e manti di Madonne dei quali riforniscono varie chiese siciliane nel corso del secolo XX, contestualmente eseguono il restauro dell’antico manto della Vergine, tutto a girali in oro terminanti con grossi fiori, trasportandolo su nuovo supporto (fig.17).
Nell’ultimo stendardo della Madonna dell’Udienza dunque, si assiste di fatto a una rinnovata contingenza artistica in base alla quale un pittore si unisce a una ricamatrice – nella fattispecie la ‘giuseppina’ Suor Feliciana – per la creazione di un manufatto devozionale, continuando la tradizione dei parati e arredi sacri eseguiti con simile tecnica ‘mista’, propria della produzione siciliana rinascimentale e barocca.
Elvira D’Amico, Palermo, 26 maggio 2024
*Desidero ringraziare l’architetto Giuseppe Cacioppo e il maestro Sisto Russo per avermi fornito notizie e foto utili alla compilazione di questo articolo
BIBLIOGRAFIA