di Claudio LISTANTI
Convincente prestazione nella esecuzione del capolavoro beethoveniano del direttore russo, che ha guidato Orchestra e Coro dell’Accademia di Santa Cecilia ed una buona compagnia di canto
Nell’ambiente musicale parlare oggi di Kirill Petrenko significa esprimere apprezzamento per un direttore d’orchestra, ancora giovane, ma in possesso di infinite potenzialità artistiche ed interpretative che possono condurre il musicista siberiano ad essere collocato ai vertici del gradimento da parte dei pubblici di tutto il mondo.
La sua fresca nomina a direttore musicale dei Berliner Philarmoniker, incarico che ricoprirà a partire dal prossimo mese di agosto, è solo l’ultima tappa della sua escalation nel mondo della musica odierno; infatti già molte sono le frecce al suo arco che giustificano questa considerazione come, ad esempio, le sue apprezzatissime interpretazioni del Ring wagneriano fornite nel tempio di Bayreuth già nel 2001 e ripetute dal 2013 al 2015, un lasciapassare questo che gli ha spalancato le porte delle più importanti istituzioni musicali europee e americane.
Su queste premesse il concerto del 4 aprile programmato presso l’Auditorium Parco della Musica nell’ambito della stagione concertistica 2018-2019 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, nel quale era prevista l’esecuzione di uno dei capolavori assoluti di tutta la Storia della Musica, la Sinfonia n. 9 in re minore per orchestra, soli e coro op. 125 di Ludwig van Beethoven, ha assunto i connotati di evento straordinario che ha richiamato presso la Sala Santa Cecilia un pubblico numerosissimo che ha esaurito la splendida sala romana non solo per la ‘prima’ del 4 ma anche per le successive repliche previste per il 5 e 6 aprile.
Petrenko si è presentato al giudizio dell’esperto pubblico romano forte di altre due prove fornite qui all’Auditorium, delle quali tutti conserviamo un ottimo ricordo, nel 2010 con la quale ci comunicò il fervore religioso della Sinfonia di Salmi di Stravinskij e gli impeti eroici della Settima Sinfonia di Šostakovič e poi, nel 2013, con una vibrante esecuzione dell’Oro del Reno di Wagner, concerti che sono sicuramente da ascriversi alle eccellenze che hanno costellato le stagioni dell’Accademia di Santa Cecilia, soprattutto da quando i concerti sono ospitati nella nuova sede dell’Auditorium Parco della Musica (fig 3).
Parlare della Nona di Beethoven è piuttosto difficile perché non è possibile aggiungere molto di più a quanto è stato detto, da sempre, dai più illustri studiosi e musicologi, un capolavoro che è un vero e proprio mito per gli appassionati della Grande Musica di tutto il mondo. Ma, in questo 2019 che stiamo vivendo, ci sembra opportuno considerare che una esecuzione di questa sinfonia ci porta inevitabilmente a porre in evidenza quegli ideali di amicizia e fratellanza contenuti nel testo dell’Ode alla Gioia di Schiller, che Beethoven inserì come elemento di rottura e di novità del genere ‘sinfonia’, ideali che nella nostra ‘travagliata’ Europa di oggi sembrano un po’ dimenticati a favore dell’egoismo e di tutti i piccoli interessi personali, nonostante questa musica sia divenuta anche ‘Inno’ rappresentativo del nostro continente.
Una fratellanza che è certamente vettore di unione e di pace ma che può anche essere considerata come vero e proprio sentimento di libertà. La parola ‘Freude’ del testo originale fu tramutata in ‘Freiheit’ da Leonard Bernstein quando in occasione della caduta del Muro di Berlino si rese protagonista nel mondo culturale di allora dirigendo il capolavoro alla guida di una ‘speciale’ formazione composta da strumentisti e coristi provenienti dalle più importanti compagini continentali. Quanto avvenne quel giorno divenne poi vero e proprio ‘paradigma’ degli ideali sui quali si fonda l’Unione Europea.
Per quanto riguarda l’esecuzione ascoltata il 4 aprile (Fig 4) dobbiamo dire che nel complesso è stata portentosa per la bellezza sonora di quanto ascoltato anche se l’esecuzione ha preso quota con il suo procedere soprattutto perché nei momenti iniziali si è potuto ravvisare qualche imperfezione tra gli interventi delle varie sezioni orchestrali penalizzando non più di tanto la necessaria ‘cantabilità’ che è alla base, non solo della Nona, ma di tutto il sinfonismo beethoveniano. Una cantabilità che si è andata progressivamente affermando per essere esaltata nel finale, con gli interventi vocali del Coro e dei solisti che insieme hanno superato brillantemente quello che è uno degli scogli di Beethoven, la vocalità, elemento che il grande musicista trattava più come strumento musicale piuttosto che come meccanismo vocale umano provocando una sorta di conflitto tra i due elementi.
Petrenko ha lavorato bene per superare questo inconveniente grazie ad una buona ed esperta compagnia di canto composta dal soprano Hanna-Elisabeth Müller, dal contralto Okka von der Damerau, dal tenore Benjamin Bruns e dal basso Hanno Müller-Brachmann e dalla prova del coro diretto da Ciro Visco, ben integratosi con la parte propriamente orchestrale. Per quest’ultima c’è da segnalare l’ulteriore convincente prova di tutta l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, compagine che occupa sempre più saldamente un posto di vertice nel panorama musicale europeo.
Il pubblico ha dedicato a tutta l’esecuzione (ricordiamo quella del 4 aprile) un vero e proprio trionfo (fig 5) caratterizzato da lunghe e sostenute ovazioni rivolte a tutti gli interpreti e reiterate richieste al proscenio per un successo che ha confermato le doti musicali di Kirill Petrenko artista che, ne siamo certi, continuerà la sua crescita per divenire, con le sue interpretazioni, vero e proprio punto di riferimento per tutti.
Claudio LISTANTI Roma aprile 2019