di Claudio LISTANTI
Esecuzione di grande rilievo del concerto n. 1 per piano di Liszt.
Nel programma anche un brano di Weber e di Schumann per uno straordinario percorso “romantico”.
Uno degli appuntamenti più attesi della ricchissima Stagione Sinfonica 2019-2020 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia era senza ombra di dubbio il concerto che prevedeva la presenza di Martha Argerich per l’occasione accompagnata da Antonio Pappano alla guida dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
Qui a Roma, come crediamo anche nel resto d’Europa e del mondo, i concerti della Argerich sono considerati dagli appassionati della grande musica, veri e propri avvenimenti ai quali non bisogna assolutamente mancare. Infatti la Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica è stata presa d’assalto da uno straripante pubblico che ha sfidato, giovedì 31 ottobre, il caotico traffico della città metropolitana anch’esso impazzito vista la vicinanza del succoso ponte di Ognissanti, situazione resa ancora più caotica dai continui scrosci di pioggia che hanno afflitto la serata fino ai minuti precedenti il concerto.
Nonostante ciò numerosissimi spettatori non si sono fatti attendere per l’inizio del concerto a confermare, così, quel feeling che lega il pubblico ceciliano con la grande pianista argentina. Un rapporto, ed un amore, iniziato nell’ormai lontano 1979 e giunto fino ad oggi, dopo poco più di quaranta anni, consolidandosi divenendo pressoché indissolubile.
Per riferire di questa esecuzione dobbiamo necessariamente iniziare dal Concerto n. 1 in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra, S 124 di Franz Liszt che per la presenza della Argerich è stato il punto focale di tutta la serata, anche perché eseguito per la prima volta dalla pianista argentina nei concerti di Santa Cecilia, che si è concluso con un trionfo decretato da un pubblico visibilmente elettrizzato dall’ascolto.
Come è noto il Concerto n. 1 di Liszt è una composizione che può essere considerata ‘cardine’ tra due grandi segmenti della storia della letteratura musicale per pianoforte e orchestra. Questo perché con ogni evidenza Liszt con essa raccolse il testimone dell’esperienza precedente, fino al primo quarto dell’800, nella quale, oltre allo stretto rispetto della forma sonata, il pianoforte era in posizione predominante nei confronti dell’orchestra. Questo fino ai due concerti di Fryderyk Chopin, il n. 1 in mi minore Op. 11 e il n. 2 in fa minore Op. 21; entrambi furono composti entro 1830. Proprio quell’anno, certamente è una coincidenza ma sicuramente provocata dallo stato delle cose, Liszt iniziò la composizione del Concerto per pianoforte n. 1 che lo tenne occupato per più di un ventennio. Questo fatto, oltre a smentire la falsa fama del Liszt compositore di getto e, in un certo senso, superficiale, dimostra l’estrema cura che il musicista dedicò alla sua creatura, ben conscio della sua volontà di creare, sperimentare, mezzi che superassero i vecchi confini dei concerti per piano, per giungere ad una parità sostanziale tra parte orchestrale e parte solistica.
L’iter di composizione attraversò varie a fasi a partire da quella embrionale del 1830 attraversando diverse stesure e piccoli ripensamenti durati fino al 1856, addirittura dopo la prima che ebbe luogo a Weimar il 17 febbraio 1855 con lo stesso Liszt come solita e direttore Hector Berlioz.
Il Concerto n. 1 è da considerarsi opera di rottura rispetto agli schemi precedenti. Innanzi tutto non evidenzia i tradizionali quattro tempi ma si presenta come un unico ‘tempo’ dove però, all’interno, ci sono quattro sezioni distinte che ne ottimizzano la struttura. Inoltre il rapporto orchestra/pianoforte diviene assolutamente paritario grazie ad un intreccio particolarmente geniale tra le due componenti. Tutto ciò è dovuto senza dubbio alla figura di Liszt come artista musicista, grande pianista virtuoso e valente strumentatore.
Ogni sezione del concerto possiede al suo interno efficaci contrasti tra piano e orchestra. Nella prima (Allegro maestoso) la monumentalità del pianoforte si oppone a quella degli ottoni. Nella seconda (Quasi adagio) protagonisti sono i legni, clarinetto in primis ma poi anche flauto e oboe si fondono con estremo equilibrio alle delicate note del pianoforte per un incontro rafforzato poi dal violoncello. La terza (Allegretto vivace) addirittura è il triangolo (Fig. 3)
a dettare i ritmi che costringe il piano a suoni soffusi e delicati, pianoforte che ritorna alla grande nella Sezione 4 (Allegro Marziale) dove lo strumento è spinto ad estremo virtuosismo divenendo vero e proprio dominatore del brano ma con un dialogo serrato con il pieno dell’orchestra. Tutto quanto detto si traduce in 20 minuti, o poco più, di musica incalzante, avvincente, concitata, rapida ed affascinante una vera e propria esplosione di musicalità, coinvolgente ed appassionante.
Nonostante queste nostre brevi note è facile comprendere che per eseguire una musica così straordinaria è necessaria la presenza di grandi esecutori; Antonio Pappano e Martha Argerich sono il non plus ultra per una operazione del genere.
Pappano ha dimostrato ancora una volta di avere nelle sue corde il grande repertorio romantico. Molto ben coadiuvato dalla professionalità di tutti gli strumentisti che compongono l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, ha operato scelte completamente condivisibili sia per i tempi adottati sia per la realizzazione di timbri e colori donando all’esecuzione l’amalgama necessaria a concretizzare quell’unitarietà stilistica voluta da Liszt.
Martha Argerich ha fornito una ulteriore prova della sua stupenda arte pianistica. A partire dal suo “tocco” che trasferisce alla tastiera i suoi sentimenti ed il suo pensiero creando tra loro una simbiosi ideale traducendo così in suoni, ritmi e dinamiche il suo messaggio estetico musicale da trasmettere al pubblico che, anche in questa occasione, è rimasto ammaliato dalla interpretazione, come dimostrano le lunghe ovazioni che hanno salutato la conclusione di questo entusiasmante capolavoro.
Come già detto, il Concerto di Liszt è stato il punto focale della serata perché incastonato tra altre due opere di stampo romantico, elemento che ha reso la serata in un certo senso monografica, seppur rivolta ad uno modo di vedere e sentire la musica. Si tratta dell’Ouverture da Euryanthe di Carl Maria von Weber composizione del 1823 e la Sinfonia n. 2 in do maggiore per orchestra, op. 61 di Robert Schumann composta negli anni 1845-1846.
Sono due altri grandi capolavori che hanno contribuito a dare a tutta la serata il senso di un percorso che parte da una delle prime tappe, Weber e la fondazione dell’opera romantica per giungere ad una delle espressioni più alte del sinfonismo romantico costituita proprio dalla Seconda di Schumann.
L’esecuzione di Pappano si è rivolta, in modo del tutto convincente, all’individuazione ed alla valorizzazione di questo percorso riuscendo ed esaltare l’afflato romantico che caratterizza questi tre autori, materializzato nelle tre composizioni, riuscendo ad illuminare con i suoni le tappe fondamentali di questo particolare tragitto. Anche Pappano, beniamino di tutto il pubblico romano, ha avuto un rilevante successo personale al termine del concerto.
Concludiamo ricordando che questo concerto sarà eseguito, dopo le recite romane, anche in una parte dei concerti programmati all’interno della prossima tournée europea che l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia intraprenderà nei primi giorni del mese novembre fino al 10. Gli appuntamenti fissati sono per il giorno 4 a Parigi, il giorno 7 a Ginevra e il giorno 9 a Lucerna.
Claudio LISTANTI Roma 3 novembre 2019