di Francesco MONTUORI
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M.Martini e F. Montuori
VILLE TUSCOLANE
LA VILLA ALDOBRANDINI DI FRASCATI
Il 15 novembre del 1786 J.W. Goethe, durante il suo soggiorno romano, decide per una gita a Frascati:
“La regione è amenissima; il paese è situato sopra una collina o meglio sul declivio di un monte, e ad ogni passo si offrono al disegnatore dei soggetti stupendi. Il panorama è sterminato: si vede Roma nel piano, e da lungi il mare; a destra i monti di Tivoli, e così via. In questa terra deliziosa, le ville sono veramente case di delizia, e come gli antichi Romani già avevano qui le loro ville, così cento e più anni or sono alcuni Romani facoltosi non meno che festosi hanno anche piantato le loro case di campagna nelle migliori posizioni. Sono già due giorni che ci aggiriamo di qua e di là, e troviamo sempre qualcosa di nuovo e seducente.”
La Villa Aldobrandini di Frascati fu, all’origine, chiamata il Belvedere per la sua posizione dominante sui colli, con una gran veduta su Roma, la cupola di San Pietro e il mare; consisteva in un modesto edificio eretto da Alessandro Rufini appartenuto a vari proprietari, fra cui monsignor Paolo Capranica; alla sua morte passò alla Reverenda Camera Apostolica e infine fu donata nel 1598 dal pontefice Clemente VIII al cardinale nipote Pietro Aldobrandini, che aveva ereditato una fortuna da Lucrezia d’Este, “per suo servizio e piacere”.
Nel 1601 Pietro Aldobrandini incarica Giacomo della Porta perché si occupasse di progettare e dare inizio ai lavori per l’ampliamento della dell’edificio clementino. Giacomo della Porta propose tuttavia al cardinale la costruzione di un nuovo grandioso Palazzo (fig.1).
I complessi lavori di sterro e di terrazzamento del colle mirarono a mantenere l’andamento del terreno salvaguardando il magnifico panorama, valorizzato dalla conformazione pianeggiante che il Della Porta conferì al terreno antistante il Palazzo, al fine di metterne in maggiore evidenza la facciata di rigorosa uniformità e animata da un sapiente gioco delle lesene (fig.2).
L’edificio, preceduto al livello inferiore da una grande terrazza ellittica a cui si raccordano due rampe simmetriche, volge verso la valle una facciata luminosa e continua, organicamente inserita nel sistema di percorsi e terrazze che la racchiude (fig.3).
Posteriormente la grande villa presenta una parte centrale aggettante caratterizzata da un arco delimitato da colonne e due logge sovrapposte che avevano il preciso scopo di poter ammirare un magnifico Teatro d’acqua, secondo un uso diffuso delle ville seicentesche che utilizzavano la loggia ad uso personale degli ospiti della villa (fig.4).
Nel 1602, quando Giacomo della Porta morì l’edificio era pressoché completato; per finire la costruzione il cardinale Aldobrandini incaricò gli architetti Carlo Maderno e Giovanni Fontana, esperto delle acque, mentre per le decorazioni pittoriche interne del primo piano furono incaricati il Cavalier d’Arpino, il Domenichino, gli Zuccari. Domenichino rappresentò sulle pareti, tra sontuosi stucchi policromi, le Storie di Apollo. Per il grande salone del secondo piano, la loggia del terzo e le terrazze poste ai lati del Palazzo fu incaricato il Maderno.
Nel 1603 Pietro Aldobrandini prese possesso del Palazzo e seguì di persona i lavori del giardino e le opere di canalizzazione delle acque. Un acquedotto attraversa il bosco per prendere l’acqua dal monte Algido, ad otto chilometri di distanza.
In seguito alla morte di Olimpia Aldobrandini, moglie di Camillo Panfili, la Villa Aldobrandini divenne proprietà dei Panfili. Tuttavia i Panfili non ebbero eredi e quindi, quando la famiglia si estinse, la Villa passò alla famiglia Borghese. Morto Camillo Borghese, marito di Paolina Bonaparte, nel 1832 Francesco Borghese, ereditati tutti i possedimenti degli Aldobrandini, ottenne di potersi effigiare di questo nobile nome e di mantenere in suo possesso tutti i beni di questa famiglia romana. Danneggiata dall’ultima guerra mondiale fu restaurata dall’architetto Clemente Busiri Vici per conto di don Clemente Aldobrandini. Ancor oggi è proprietà del principe Camillo Aldobrandini.
La grande Villa, un capolavoro del barocco romano, si articola in una serie di costruzioni sorprendenti: il lungo viale di accesso è segnato sui lati da folte alberature, un tunnel di platani in un bosco di robles e castagni che nascondono la veduta complessiva a preparare una sorpresa, un classico artificio barocco. Il viale alberato si conclude con una prima terrazza che si sviluppa per tutta la lunghezza dell’edificio centrale; l’edificio si erge su una seconda terrazza con un triplice porticato ed una lunga balaustra. La Villa Aldobrandini ha un semplice fronte segnato da paraste con un ritmo a-b; tra le due paraste centrali si alza per due piani chiusi da un timpano l’altana terminale.
La villa divenne tuttavia famosa per il celebre Ninfeo che occupa tutto lo spazio retrostante; in un terrazzamento contornato dal bosco, il Teatro dell’Acqua è un grande ninfeo semicircolare con una balaustra terminale, opera di Carlo Maderno e di Giovanni Fontana (fig. 5).
Il Teatro dell’Acqua, che comprende anche alcune stanze sotto il livello del terreno per essere usate come refrigerio nelle giornate afose, è formato da un prospetto semicircolare di ordine ionico. Sui lati terminali, rettilinei, vi sono diversi ambienti: sul braccio laterale sinistro si trova la cappella di San Sebastiano; nel braccio destro la stanza di Apollo, dove il Domenichino raffigurò le “Dieci storie di Apollo”. Tra il 1616 e il 1618 Domenico Passignano dipinse la volta come un pergolato di rose, aranci, gelsomini e uccelli sui rami (fig.6). Al centro della stanza era un gruppo ligneo rappresentante Apollo, le Muse e Pegaso sul Parnaso.
Per tutta la lunghezza della sua cornice un iscrizione in lingua latina esalta il cardinale Aldobrandini come restauratore della pace cristiana, riferendosi alla pace religiosa ottenuta con la Francia e alla riacquisizione della città di Ferrara allo Stato della Chiesa.
Tutte le statue “suonavano” mediante congegni idraulici: nella curvatura ad esedra del Ninfeo sono cinque nicchie dove si mostrano altrettante sculture mitologiche, opera dello scultore francese Jacques Sarrazin ed una fontana centrale. Nell’insieme della grande villa il Ninfeo costituisce l’estremo limite fra lo spazio architettato dall’uomo e l’elemento naturale incombente (fig.7).
L’imponente esedra presenta aggetti chiaroscurali, grottesche, piatte lesene alternate da vasi, statue, busti, erme, fontane con una complessa policromia che annuncia l’avvento del barocco. Fu considerato da Charles De Brosses, che viaggiò in Italia tra il 1739 e il 1740 e raccontò le sue impressioni nel suo Viaggio in Italia, “une des plus belles choses qui puisse voir au monde en ce genre”. Egli ricorda, a proposito delle attrazioni della villa, “una scala girevole nella quale, appena uno si è infilato, gli zampilli scattano incrociandosi in tutti i sensi”.
Nel 1619 fu posta l’iscrizione a ricordare il cardinale Pietro Aldobrandini che costruì la villa “come opportuno ritiro per alleviare il carico degli affari cittadini”, testimonianza di quell’otium tanto amato dagli uomini della Rinascenza, a imitazione della società della Roma imperiale. Il gruppo scultoreo centrale del Ninfeo, l’unico rimasto, è formato da una colossale statua in stucco di Atlante, fiancheggiata originariamente da quella di Ercole che sorregge la volta celeste, e due statue delle Esperidi e dal gigante Encelado che, affiorando con la testa dal bacino d’acqua antistante, “gitta un gran volume d’acqua dalla bocca che a forma di girandola innalzava oltre i trenta palmi imitando il fragore del tuono.” Dal globo di Atlante escono ancora oggi innumerevoli zampilli (fig.8)
Seguono sul declivio, sull’asse del complesso, una sequenza di fontane: la Cascata (fig.9) la Fontana dei Pastori, la Fontana rustica che accentuano il carattere rustico quanto più si allontanano dal fronte del Teatro e si immergono nel cuore del fitto bosco di lecci (fig.10).
Al suo interno la villa presenta numerosi ambienti particolarmente decorati, fra questi cinque stanze del piano nobile ornate ad affresco dal Cavalier d’Arpino con scene tratte dall’Antico Testamento(fig.11);
nel salone centrale dello stesso piano si possono ammirare il monumentale camino e il busto bronzeo di Clemente VIII opera di Taddeo Landini (fig.12).
Salendo al mezzanino, un secondo salone decorato con un soffitto a cassettoni del XVII secolo, raffigura lo stemma Aldobrandini, il Triregno e le chiavi di San Pietro; al terzo piano si ammira una cappella interamente decorata con stucchi dorati nei primi anni de Seicento.
La parte antistante il palazzo era sistemata a piazzale per l’arrivo delle carrozze. Le zone riservate alle aiuole vennero previste nei terrazzamenti laterali, dove oggi si possono ammirare gli splendidi platani, mentre a sud esiste ancora una piccola area sistemata a giardino all’italiana.
La villa fu in ogni tempo, oggetto di ammirazione per la bellezza dei giardini e delle fontane. Il 23 agosto del 1827 Stendhal, nelle Passeggiate Romane appunta:
“Abbiamo attraversato il bosco da Castel Gandolfo a Frascati per stradicciole deliziose e siamo andati a vedere le ville Bracciano, Conti, Mondragone, che cadono in rovina, e poi le ville Taverna e Rufinella, infine la villa Aldobrandini, la più bella di tutte. Siamo caduti cento volte nel peccato di invidia: i grandi signori che fecero costruire queste splendide dimore e questi giardini son riusciti ad ottenere un’unione perfetta, e bella, dell’architettura e degli alberi.” E ancora: “con il più grande rapimento si vede, nelle sale di Apollo della Villa Aldobrandini a Frascati, in che modo felice Domenichino ambienti le Metamorfosi di Ovidio nei paesaggi più adatti”.
Oggi, di tali affreschi, solo due sono parzialmente conservati sulle pareti della villa, mentre gli altri, staccati nel XIX secolo, si trovano alla National Gallery di Londra (fig.13).
Stendhal aveva ragione; Villa Aldobrandini è la più spettacolare delle ville laziali: si inserisce nel panorama naturale e diventa essa stessa panorama, ergendosi sulla sommità di un colle visibile da parecchi chilometri. Al meraviglioso Teatro dell’Acqua, interpretazione barocca degli antichi ninfei, guarderanno le nuove realizzazioni romane e tuscolane e le grandi invenzioni dei futuri giardini reali francesi.
L’acqua è la vera protagonista: nasce dall’alto, scende con foga attraverso le rocce naturali, dà vita ad una prima fontana quindi ad una cascata artificiale; oltrepassa le “colonne d’Ercole” scende e risale, si tuffa in un bacino e riappare componendosi in una figura araldica, la stella a molte punte degli Aldobrandini, per cadere infine dalla volta celeste sostenuta da Atlante, simbolo del papa Clemente VIII (fig.14), il grande protettore del cardinale Pietro Aldobrandini.
Francesco MONTUORI Roma 26 settembre 2021