di Francesco CARACCIOLO
A partire dalla seconda metà del Cinquecento, in pieno clima controriformista e di pieno rinnovamento della chiesa cattolica, il primato in campo artistico lo ebbe Alessandro Maganza insieme ai suoi figli Giambattista il Giovane, Girolamo, Marcantonio e Vincenzo, creando la più importante bottega che Vicenza avesse mai conosciuto.
All’interno di questa fiorente bottega, i Maganza operarono per i nuovi cantieri religiosi della città di Vicenza caratterizzati dal pieno fervore edilizio in concomitanza con le nuove prescrizioni dell’arte sacra che doveva apparire pia, educativa e didattica affinché il popolo comprendesse sia i profondi misteri della passione di Cristo che le vite dei santi martiri, costituendo fondamentalmente un modello di insegnamento etico per tutti i fedeli. Una pittura estremamente chiara ed edulcorata in cui prevaleva decisamente una composizione calibrata e serena ma nello stesso tempo priva di tutte le artificiosità e ampollosità tipiche dell’arte manierista fiorentina.
La bottega dei Maganza si distinse particolarmente in città per la grande mole di pale d’altare e di cicli pittorici di una grande forza espressiva ed innovativa che durò fino alla prima metà del Seicento per poi lasciare il posto al pittore più aggiornato del Seicento vicentino, l’esuberante Francesco Maffei e subito dopo al grande Giulio Carpioni, protagonisti incontrastati del Barocco vicentino. Ma la pittura di Alessandro, altresì, si carica di una certa forza e di un evidente pathos e drammaticità che la pittura vicentina non aveva mai conosciuto prima d’ora: le figure appaiono possenti e monumentali e in modo particolare i gesti diventano evidenti e concitati; non si dovrebbe parlare solamente di un artista minore il quale ha attinto in modo poco originale da numerose fonti artistiche quali Veronese, Palma il giovane e in misura minore Tintoretto, ma a mio avviso il vero Alessandro Maganza, svincolato dai modi ripetitivi e retorici della bottega, è abbastanza riconoscibile per una sua forza espressiva resa evidente nelle sue figure sacre di notevole impostazione sia nel modellato che nel forte chiaroscuro tale da rendere fortemente drammatiche le scene.
Sicuramente il contributo maggiore di questo artista lo abbiamo nel cantiere del Duomo, nella chiesa di Santa Corona (cappella del Rosario), nell’oratorio del Gonfalone e in San Domenico. Addirittura un suo dipinto lo possiamo ammirare presso la Galleria Palatina a Firenze. Tuttavia troviamo i suoi numerosi dipinti nelle varie chiese di Vicenza e di Padova e persino a Palazzo Chiericati.
Il dipinto che vorrei analizzare è il misterioso Ritratto di un uomo con il suo figlioletto, un olio su tela di 117 x 99 cm, ubicato attualmente presso la Galleria Degli Uffizi a Firenze (fig. 1).
Il quadro in questione proviene dalla collezione di Leopoldo de’ Medici con l’attribuzione al Tintoretto. Nell’inventario del 1784 si fa riferimento al padre Giovanni Battista Maganza e solamente alla fine dell’Ottocento fu invece riferito giustamente ad Alessandro Maganza. La materia pittorica e lo stile si riferiscono inconfondibilmente al Maganza della fine del Cinquecento e cioè della fase più creativa della sua attività pittorica. Rappresenta un nobiluomo riccamente abbigliato, la cui figura rappresentata stante e di tre quarti si staglia contro un fondale architettonico con una grande colonna all’estrema destra sul cui piedistallo è incisa una data in numeri romani che ci riporta all’anno 1588 : MDLXXXVIII.
A sinistra si apre una grande finestra che inquadra un paesaggio profondo con delle montagne; in primo piano è raffigurato un tavolino su cui sono appoggiati un calamaio e una penna; da notare che il panno in stoffa che riveste questo piano d’appoggio è impreziosito da uno stemma gentilizio non identificato caratterizzato da due aquile profilate in nero e due torri all’interno di una decorazione molto preziosa; l’abbigliamento del gentiluomo consta di un paio di calzoni a sboffo, un giustacuore, un collare a lattuga ed una camicia con i polsini ricamati.
L’uomo, la cui identità è ancora sconosciuta, tiene stretto con il suo braccio sinistro il suo figlioletto, il quale a sua volta si protende verso il padre poggiando la sua manina sinistra sul braccio paterno, mentre accosta la sua piccola testa sul fianco dell’uomo (da notare che il figlioletto[1] indossa i medesimi capi d’abbigliamento paterni ma con colori molto più vivaci e sgargianti).
Il ritratto, probabilmente tra i meno conosciuti e studiati di Alessandro Maganza, mostra dal punto di vista stilistico e compositivo numerosi punti di contatto con i dipinti degli stessi anni della fiorente bottega di Francesco e Leandro Bassano che ebbe un grande sviluppo intorno alla metà del Cinquecento in terra veneta.
Se osserviamo attentamente il volto dell’uomo di nobile lignaggio degli Uffizi, noteremo una notevole somiglia con il ritratto del geniale architetto Andrea Palladio (fig. 2) attribuito un tempo al Magagnò ma di cui si sta recentemente mettendo in dubbio la vecchia attribuzione a sostegno del figlio Alessandro.
Il ritratto di Andrea Palladio (1508-1580) è conservato presso Villa Valmarana ai Nani ma di esso esiste un’altra versione (fig.3) in collezione privata russa più realisticamente ascrivibile ad Alessandro in quanto presenta elementi in comune con la materia pittorica del Ritratto di Maddalena Campiglia (stessa tessitura cromatica e stesso rigore compositivo).
A conclusione di questo excursus sui ritratti di Alessandro Maganza, credo che gli studi debbano assolutamente approfondire ancora numerosi aspetti iconografici e stilistici atti a ricostruire il difficile percorso di Alessandro Maganza ritrattista, riservandoci ancora tante sorprese per il futuro dal punto di vista delle scoperte di nuovi dipinti a lui attribuibili e soprattutto dei numerosi volti ancora avvolti nel mistero più fitto, le cui esistenze sarebbero da ricostruire e svelare per la prima volta.
Francesco CARACCIOLO Vicenza 9 Ottobre 2022
NOTE
[1] La tipologia del bambino raffigurato in questo ritratto fiorentino è molto simile al famoso dipinto di Alessandro Maganza dei Musei Civici di Vicenza: il ritratto di Bernardino Loschi,morto prematuramente alla fine del Cinquecento.
Bibliografia e Sitografia