di Claudio LISTANTI
Grande successo di Antonio Pappano nell’esecuzione della Messa da Requiem di Giuseppe Verdi accolta dal pubblico di Santa Cecilia con una chiara ovazione rivolta al direttore d’orchestra che ha lasciato un indelebile ricordo nel cuore degli appassionati musicofili romani. Prova di grande livello anche per il Coro e l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia e di una buona compagnia di canto. Il concerto è stato dedicato alla memoria di Claudio Abbado a dieci anni dalla scomparsa.
La Messa da Requiem di Giuseppe Verdi è una di quelle composizioni che si possono definire ‘universali’ perché apprezzate dal pubblico di tutto il mondo per il fascino coinvolgente delle strabilianti sonorità contenute in questa partitura e della spiritualità che emana all’ascolto, elementi che contribuiscono a catalizzare l’attenzione dell’ascoltatore per ammaliarlo, forse anche soggiogarlo, grazie ad una musica straripante risultato incontrovertibile della monumentalità di questo capolavoro che impegna sostanziose masse corali ed orchestrali integrate da parti vocali soliste che si amalgamano con forza all’insieme per risultati percettivi di rara efficacia.
La Messa da Requiem, come è arcinoto, fu scritta da Verdi in onore di Alessandro Manzoni, scrittore e poeta amatissimo dal compositore per ricordarlo nel primo anniversario della scomparsa che si celebrò il 22 maggio 1874.
L’idea di un Requiem era già balzata alla mente di Verdi per una occasione simile, la morte di Gioachino Rossini avvenuta il 13 novembre del 1868. Allora Verdi propose la composizione di una Messa da Requiem ‘collettiva’ con ognuna delle singole parti affidate ad un compositore diverso impegnandosi a musicare il ‘Libera me. Domine’ finale da eseguirsi per il primo anniversario della scomparsa del grande musicista. Furono coinvolti, oltre allo stesso Verdi, ben 12 compositori, ma diverse cause e avvenimenti fecero naufragare il progetto. La morte di Alessandro Manzoni, quindi, rinvigorì questo desiderio di Verdi di produrre una messa, forse scaturito dalla necessità interiore del musicista di confrontarsi con la religione e con i vari aspetti che possono influenzare l’animo umano.
In quell’epoca Verdi aveva raggiunto i sessanta anni e, come avviene in molti individui, iniziano a materializzarsi i primi dubbi relativi al rapporto tra la vita e la morte, il pensiero e la ricerca di una intuizione sull’aldilà, problemi della che assillano l’uomo al raggiungimento della ‘maturità’.
Artisticamente parlando per Verdi, in quel 1873, la carriera era giunta ad un punto di arrivo. Era da poco reduce dai trionfi di Aida ed ancora non era ben visibile, né tanto meno prevedibile, il fulgore delle sue grandi opere della vecchiaia. L’elemento religioso si era già affacciato in alcune opere ma in maniera certo marginale e solo per evidenziare lo stato d’animo di alcuni personaggi caratterizzati da momenti di preghiera per la soluzione e il superamento di momenti difficili. Ma questo aspetto, almeno negli anni successivi alla cosiddetta ‘Trilogia’ era cresciuto di intensità come ne La forza del destino (1862) con la grande scena del convento del secondo atto e, in maniera più squisitamente politica riguardo alla relazione tra potere e religione con Don Carlos (1867) e, ancora, Aida (1871). In queste ultime due emerge con forza un indiscusso ‘anticlericalismo’ che mette in luce la distanza che esiste tra la spiritualità e la voglia di potere, un rapporto controverso mai sopito perché ancora oggi se ne percepiscono le contraddizioni.
Prendere spunto dalla celebrazioni di due grandi artisti come Rossini e Manzoni oltre che atto di estrema riconoscenza per due personalità che stimava immensamente, fu per Verdi occasione per trasmettere il suo stato d’animo di quel momento della sua vita che si è estrinsecato proprio con la Messa da Requiem e che ha dato il via ad una nuova fase della poetica verdiana quella più strettamente religiosa, che si concluderà con il capolavoro della sua maturità assoluta, di uomo e di artista, i Quattro Pezzi Sacri composti da una Ave Maria, dallo Stabat Mater, dalle Laudi alla Vergine Maria e dal Te Deum.
Elemento distintivo della Messa da Requiem verdiana, che fu eseguita per la prima volta a Milano presso la Chiesa di San Marco con la direzione dello stesso Giuseppe Verdi, è quella di possedere una struttura che non ne consente l’inserimento nella liturgia chiesastica della messa, fatto che le garantisce una solidità d’insieme non comune e di particolare efficacia. Tutto ciò dimostra il volere dell’autore, quello di istituire un legame speciale tra la sua persona e Dio.
All’ascolto della Messa da Requiem si percepisce questo sentimento di uomo maturo di fronte al mistero della fine della vita che si estrinseca in maniera veemente nel corpo centrale della messa, il Dies Irae, centro gravitazionale di questo capolavoro, non solo per l’esplosione del coro sostenuta dal pieno orchestrale ma anche nelle pregevoli pagine del Tuba Mirum o del Rex tremendae. Una ineccepibile ‘monumentalità’ che ha portato molti studiosi a paragonare questa pagina, per la sua drammaticità, al michelangiolesco Giudizio Universale della Sistina, un momento particolare che fa pensare al giudizio di Dio di fronte all’anima del defunto ritornato al Padre.
Ovviamente non mancano pagine di intenso lirismo come Domine Jesu dell’Offertorio pervaso da una sublime melodia e il grazioso andante dell’Agnus Dei realizzato con l’intreccio delle voci soliste con il coro. Tra i due brani il brillantissimo Sanctus introdotto da una breve di fuga di trombe. Poi il finale, il Libera me per il quale Verdi utilizzò il materiale scritto per la messa in onore di Rossini, qui riscritto per valorizzare il recitativo affidato al soprano, una preghiera dal senso catartico e ultimo respiro prima della fine che conduce a quella incredibile sospensione nel vuoto che suggella la partitura.
L’esecuzione di Antonio Pappano è stata del tutto funzionale ad esaltare i pregi, la grandezza e la monumentalità di questa partitura, che dimostra di essere entrata nelle corde emotive del direttore italo-inglese, come ha dimostrato nel corso degli anni qui a Santa Cecilia con altre pregevoli esecuzioni di questo capolavoro sia presso l’Auditorium Parco della Musica sia in diverse tournée all’estero con l’Orchestra e Coro ceciliani e che proporrà di nuovo anche al prossimo Festival di Pasqua di Salisburgo dimostrando, dopo questo concerto ascoltato a Roma di avere le credenziali necessarie per essere apprezzato in uno dei luoghi musicali più importanti del mondo e di fronte ad un pubblico tra i più competenti del mondo musicale.
La direzione di Pappano è risultata del tutto curata nella scelta dei tempi come nella cantabilità d’insieme e sempre pronta ad esaltare i contenuti di una partitura da considerarsi vero e proprio gioiello musicale. Ad iniziare dalle veementi sonorità del Dies Irae, come prima accennato dai contorni michelangioleschi, che fa trasparire all’ascoltatore la solennità del giorno del Giudizio esibendo le sonorità secche ed incisive con le quali si manifesta il soprannaturale. Poi tutti gli interventi dei solisti vocali per i quali Verdi trasfonde tutta la sua abilità di grande operista riservando brani solistici per ogni cantante ma, anche, diversi pezzi d’insieme come duetti, terzetti e quartetti. Di grande resa anche la parte corale per la quale vogliamo ricordare la magnifica esecuzione dell’Agnus Dei con la sovrapposizione degli interventi del coro dal carattere salmodiante ai quali rispondo soprano e mezzosoprano per proporre un dialogo serrato ed entusiasmante.
Una esecuzione nel complesso emozionante, quasi immersiva per lo spettatore molto visivamente catturato dalla bellezza del suono dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia che ha mostrato valida compattezza tra le varie sezioni non solo quella degli archi ma anche legni, ottoni e percussioni rispondendo con efficacia alla grande, energica e accattivante guida di Pappano.
Per la parte vocale bene il Coro dell’Accademia di Santa Cecilia diretto da Andrea Secchi come efficace è stata la prova del quartetto dei solisti. Tra questi è emersa più di tutti la prova del soprano sudafricano Masabane Cecilia Rangwanasha. Questa parte, ricordiamo, fu scritta da Verdi per una delle sue cantanti predilette, Teresa Stolz, storicamente considerata eccellente cantante verdiana dalla voce potente e molto intensa.
La Rangwanasha ha dimostrato di possedere questo tipo di vocalità mettendo in evidenza una voce scura che esaltava i contenuti drammatici propri di questa parte come ha dimostrato durante tutta l’esecuzione della quale ricordiamo l’efficace Libera me finale. La parte del mezzosoprano, scritta anche questa per una delle favorite di Verdi, Maria Waldmann, cantante nota anche per la voce scura il cui colore bronzeo si orientava verso il contralto, per la quale modellò il Liber scriptus, brano dal carattere appassionato che si fonde con il mormorio sommesso del coro. Il ruolo qui a Santa Cecilia è stato affidato al mezzosoprano lettone Elina Garança, cantante di ottime qualità vocali, dimostrate anche in questa occasione, ma che non possiede quella voce scura a nostro avviso necessaria per eccellere nel ruolo.
La parte del basso è stata sostenuta dal georgiano Giorgi Manoshvili, basso in possesso di una voce fluente ma che si rivolge più verso il baritono e, quindi, rende la sua prestazione priva del necessario colore togliendo fascino alla sua prova. Infine il tenore. Per l’occasione il ruolo è stato affidato al sudcoreano SeokJong Baek, cantante molto affermato a livello internazionale che evidenzia una linea vocale del tutto valida per il tipo di voce che, però, ha dimostrato di essere poco adatta a questa parte. Ha trovato qualche difficoltà di emissione in due momenti topici del Requiem verdiano come nell’Offertorio (Hostias) e nell’Ingemisco al quale mancava il dovuto afflato lirico. Comunque una prova volenterosa per un cantante che con l’accrescere dell’esperienza esecutiva può senz’altro migliorare soprattutto dal punto di vista prettamente espressivo.
Il concerto è stato salutato al termine (recita del 4 febbraio) da vere e proprie ovazioni da parte del pubblico convenuto in massa presso la Sala Santa Cecilia costringendo gli organizzatori a mettere in vendita in via eccezionale le poltrone disponibili del retropalco. Quindi, un pubblico delle grandi occasioni come, sempre più raramente, ci capita di vedere. Tutti applauditi gli interpreti ma, in special modo Antonio Pappano, al quale è stata dedicata l’ovazione più fragorosa testimonianza del particolare rapporto di stima con il pubblico romano che ad ogni suo ritorno rinnova il suo gradimento verso un musicista che ha lasciato qui a Roma un ottimo e indelebile ricordo per la sua attività alla quale si guarda sempre con un po’ di nostalgia e rimpianto.
Claudio LISTANTI Roma 11 Febbraio 2024