“Un ingegno bizzarro e feroce”. Giuseppe Grosso Cacopardo: Michelangelo Morigi “tumultuoso pittore”

di Valentina CERTO

 Nel 1821 Giuseppe Grosso Cacopardo pubblica a Messina, da Giuseppe Pappalardo, Memorie[1] de’ pittori messinesi e degli esteri che in Messina fiorirono dal secolo XII sino al secolo XIX. Ornate di ritratti.

Le biografie delle Memorie de’ pittori messinesi, corredate dai ritratti degli artisti tracciano un arco di tempo molto vasto che si estende dal secolo XII fino al secolo XIX, quindi dalla vita di Antonio di Antonio fino a quella di Giuseppe Crestadoro. Sono in tutto centoquindici “vite” di artisti, arricchite da ritratti incisi e suddivise in quattro epoche.

Da pagina 77 a pagina 88, dedica una biografia anche a Caravaggio, così trascritta:

Michelangelo Da Caravaggio

Venne che in questi tempi fra noi Michelangelo da Caravaggio, e giusto è che di lui qui si faccia menzione, sebbene il suo stile sia al rovescio de’ polidoreschi.

È troppo nota la vita di questo tumultuoso pittore per non entrare in minuti dettagli della medesima: io le darò solamente una rapida scorsa, e mi fermerò solo più lungamente a parlare del suo soggiorno in Messina.

Nacque Michelangelo Ameringhi, o Morigi in Caravaggio patria del celebre Polidoro, da padre muri-fabbro nel 1569. Inclinato alla pittura apprese quest’arte sotto varj maestri, ma più d’ogni altro lungamente fermossi nella scuola del cav. Giuseppe Cesari di Arpino, da cui ne apprese e la franchezza, e lo spirito.

Passato in Milano, e quindi in Venezia, osservava i capi d’opera di Leonardo, e di Tiziano, senza restar punto commosso dalla loro eccellenza, e perfezione tanto essendo egli attaccato al suo proprio gusto.

A dire il vero lo stato della pittura in Italia nell’epoca sua non era il più felice, pingendosi dalla maggior parte di pratica, e di maniera, trascurando lo studio della natura, e della verità. Cercò egli colla sua penetrazione distaccarsi dal manierismo, studiando e la verità, e la natura, studio certo, che lo condusse a procacciarsi gran fama, e che lo avrebbe collocato nel rango de’ primi, se spinto avesse più oltre il suo argomento, e conosciuto, che la natura, à de’ difetti, e la grand’arte consiste nella scelta delle forme.

Guidato intanto da questo suo fallace raziocinio il suo bello era qualunque vero, e si rideva delle ideali bellezze de’ greci[2]. Dovendo egli dipingere in un quadro dell’Assunta, il corpo trapassato della B. Vergine, scese in un sepolcro, e copiò colla massima verità il cadavere di una donna da più giorni morta sconciamente enfiato: copiò è vero la natura, ma la vile natura, e non seppe sollevarsi alla divinità del soggetto.

Tutto questo in riguardo al disegno, né fu punto più felice nel suo colorito: si formò egli una maniera tutta nuova, fingendo le sue composizioni in un sotterraneo, percosse da una luce serrata che viene dall’alto, caricata di forti oscuri, con pochi lumi, e che termina nelle ombre, per cui i suoi composti mancano di prospettiva, e degradazione, anzi per darle a suo intendere maggior risalto, ed i riflessi della camera non temperassero il terribile delle sue ombre, tinse di nero le mura del suo studio, e quindi ne risultarono delle tinte di un tuono insoffribile, e disgustoso. Solea il pacifico Pussino ripetere continuamente esser nato costui per distruggere la pittura[3].

Passato frattanto in Roma, non fu punto tocco da quelle pitture, veri prodigj dello spirito umano, ma attaccato sempre alla sua maniera, che portava l’impronta del suo carattere, non l’abbandonò che colla morte.

Passò egli i primi anni della sua carriera pittorica nella miseria, ma ricevuto in corte del Cardinal Delmonte, ebbe colla di lui protezione largo campo d’impiegar la sua opera per varie chiese di Roma, facendo un Cristo morto alla chiesa nuova, il San Matteo con i due laterali in S. Luigi de’ francesi: in S. Maria del Popolo, le pitture laterali nella cappella dell’Assunta; e finalmente in S. Agostino la Maddalena con due pellegrini in orazione[4].

Migliorata avendo fortuna, gli si accrebbe con questa l’orgoglio, e l’audacia: ebbe degli incontri con tutti i pittori del suo tempo, e specialmente con Guido Reni. Sfidò il suo maestro Arpino che ricusò di battersi. Sfidò Carracci, che gli uscì incontro con un pennello intinto di colore. Uccise finalmente un giovane suo amico, per qual mottivo fu costretto fuggire, e ritirarsi in Napoli.

Dipinse ivi ancor varie tele, e primieramente in S. Anna della nazione Lombarda tre quadri, e segnatamente una famosa resurrezione. Pella chiesa di S. Giacomo maggiore il quadro della flagellazione, e finalmente pella sagrestia di S. Martino la migliore delle opere, che abbia fatto, cioè la negazione di Pietro, chiamata meraviglia dell’arte[5].

Né qui ancora lungamente fermossi: volle passare in Malta, ove ben accolto, ed ammesso all’onore di formare il ritratto del Gran Maestro fu dallo stesso onorato con una croce di cavaliere servente, ma il suo genio insocievole fece nascere delle nuove brighe con un cavalier di Giustizia, per cui vergognosamente arrestato fu confinato in un carcere.

Audace, ed intraprendente, ebbe la temerità di tentare una fuga, e scalate le mura della sua prigione si rifugiò in Sicilia. La prima città da lui toccata fu Siracusa, ove sebbene sfornito fosse di ogni mezzo di sussistenza, la sua virtù gliene somministrò a sufficienza, poicchè colà dipinse il famoso quadro del martirio di S. Lucia pella chiesa de’ PP. Riformati, tuttora esistente[6]. FIG. 1

1. Caravaggio, Il Seppellimento di Santa Lucia, 1608, Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro, Siracusa.

Da Siracusa chiamato in Messina, qui venne a stabilirsi e fu impiegato all’istante per adornare colle sue pitture non solo la pubblica galleria, ma benanco gran numero delle nostre chiese.

Dipinse pria d’ogni altro per ordine del Senato la tela della Vergine del parto, quale gli fu pagata mille scudi, che poscia fu donata alla chiesa de’ PP. Cappuccini. FIG. 1

2. Caravaggio, L’adorazione dei Pastori, 1609, (MuMe) Museo Regionale di Messina.

Si ammira in un lato di questo quadro un gruppo di tre pastori, espresso con tanta verità, che sembra copiato dalle opere di Polidoro: la Vergine però è ignobilmente prostesa tutta lunga sul suolo, una delle solite sue stravaganze, non per tanto questo quadro è riguardato come il suo capo d’opera, pella semplicità della composizione, e per lo disegno ben inteso del nudo[7].

Dipinse poscia il grandissimo quadro della decollazione di S. Giovanni, per questa chiesa, ove Michelangelo ebbe campo di fare spiccare i suoi feroci talenti. Tutto in questa pittura ispira orrore, tutto è terribile. Più grande, e più terribile ancora di questo, è il quadro della resurrezione di Lazzaro possesso da’ PP. Crociferi. FIG.3

3.Caravaggio, La Resurrezione di Lazzaro, 1609, (MuMe) Museo Regionale di Messina.

Le fisionomie degli uomini che assistono a questa scena, sono copiate dalla più vile feccia del popolo, non iscorgendosi idea di sceltezza delle forme, sebbene abbiano espressione, e vivacità: non così quelle delle donne, che se non belle, hanno della grazia, e leggiadrìa[8].

Con maggiore verità, e con più moderazione è dipinto il quadro dell’Ecceomo accompagnato da Pilato, a da un manigoldo, che si vede nella chiesa di S. Andrea Avellino: altre opere avea egli qui condotte, quali subirono la comune disgrazia di essere o vendute, o destrutte.

Amato, ed onorato più di quanto meritava: le sue opere pagate a peso d’oro, non fu tutto questo bastante a moderare l’anima feroce del Morigi, il quale per lieve cagione attaccata contesa con un maestro di scuola giunse a ferirlo gravemente[9].

Costretto a fuggire, onde schivare il rigore della giustizia, passò in Napoli, ma sempre lo stesso: riaccese le antiche contese, gli fu meritatamente sfregiato il viso[10].

Odiato da tutti, e temendo maggiori disgrazie, supplicò il Cardinal Consaga ad ottenergli grazia da Paolo V, onde ritornare in Roma. Caricato su di una feluca il suo avere, approdò alle spiagge romane, ove ignorandosi l’indulto accordatogli fu messo in prigione, ma venutosi in cognizione del fatto fu messo in libertà.

Il padrone della barca, approfittandosi della sua prigionia, fuggì da quel luogo, seco portando il bagaglio del suo passeggiero.

Avvisato di ciò Michelangelo montò sulle furie, corse a piedi forsennato insino a Roma, senza curare l’ardente sferza del sollione, per cui assalito da febbre maligna morì fra pochi giorni l’anno 1609 di soli 40 anni[11].

Il suo più gran merito fu quello di essere stato il maestro di Giuseppe Ribera, conosciuto sotto il nome dello Spagnoletto, pittore di forza, e di espressione, sebbene in parte imitatore esatto dello stile, e de’ costumi del suo maestro[12].

Si vuole che sii stato ancora pittore di fiori, e di frutta[13], ma non so figurarmi di che gusto possano essere, atteso il suo colorito ove non iscorgesi idea di dolcezza, e venustà, cose tanto ricercate in questo genere.

Comunque siasi fu egli un buon pittore, ed i suoi quadri sono sempre stati ricercati, quando non per altro pella forza del suo chiaro oscuro, e pella novità dello stile, che che ne dicano taluni che lo hanno caratterizzato per uomo detestabile in morale, e in pittura.

Grosso Cacopardo nacque a Messina nel 1789, fu avvocato e storico, studioso autodidatta di scienze, pittura, musica, archeologia, lingue straniere, antiquariato e dedicò gran parte della sua vita a scrivere e studiare la storia e l’arte di Messina. Uomo di grande cultura sia scientifica che umanistica, possedeva una grandissima collezione naturalistica di insetti, conchiglie, medaglie, vasi, incisioni, volumi antichi, topografie.

Dopo la laurea a Catania in Giurisprudenza, iniziò l’attività lavorativa come procuratore legale. Ugualmente riuscì a non abbandonare i suoi molteplici interessi: si occupò del Museo Civico peloritano, fu ispettore delle Antichità e Belle Arti, membro di numerose Accademie siciliane, quella Peloritana dei Pericolanti, ed altre nazionali come la Florimontana di Monteleone Calabrese.

Ritratto di Caravaggio dalle Memorie de’ pittori messinesi di Grosso Cacopardo.

La sua opera più importante è Memorie de’ pittori messinesi, una raccolta di biografie corredate da pregevoli ritratti degli artisti, FIG.4 con le quali Grosso Cacopardo intende celebrare gli “ingegni” messinesi ed i forestieri che la città ha ospitato. Vennero pubblicate a fascicoli e vendute per sottoscrizione, ma fin da subito l’opera si mostrava ed aveva l’ambizione di essere una grande impresa editoriale[14]. Grosso Cacopardo prima di scrivere studiò i dipinti, i documenti d’archivio, la storiografia e la critica passata. Si pone come critico, storico e conoscitore. Nell’opera, dopo un lungo discorso introduttivo sull’arte messinese ed i suoi progressi, in cui menzionò anche le fonti che aveva studiato e consultato – tra cui Susinno, Vasari, Lanzi, Buonfiglio e Costanzo e Hackert-Grano – si soffermò sugli artisti e sulle opere, tenendo in considerazione anche eventuali problemi di attribuzione o stilistici. Delle opere oltre la descrizione fisica, ricostruì anche la storia e la provenienza.

Nel 1826, presso l’editore Pappalardo, stampò la Guida per la città di Messina, scritta dall’autore delle Vite de’ pittori messinesi. Il volume è diviso in cinque giornate, quindi in cinque diversi itinerari. Anche nella Guida menziona Caravaggio, in particolari quattro quadri: oltre La Resurrezione di Lazzaro e l’Adorazione dei Pastori, scrive di un Ecce Homo e di un San Giovanni Decollato. Queste ultime due opere, entrambe al Museo Regionale di Messina, hanno diversa attribuzione. L’Ecce homo di Sant’Andrea Avellino è attribuito al pittore Alonzo Rodriguez e San Giovanni Decollato a Mario Minniti.

La Guida per la città di Messina è così trascritta:

a pag. 66 menziona la chiesa di San Giovanni Decollato

Ricco di marmi, ove si vede il terribile quadro del terribilissimo Michelangelo da Caravaggio, rappresentante la decollazione del Santo. Erano questi i favoriti soggetti di quell’ingegno bizzarro e feroce.

a pag. 76 la chiesa di Sant’Andrea Avellino

L’Ecceomo accompagnato da Pilato e da un manigoldo è capo d’opera di Michelangelo da Caravaggio.

a pag. 79 la chiesa di San Pietro e Paolo dei Pisani

Dirincontro s’innalza la chiesa de’ PP. Crociferi ministri degli infermi sul disegno del P. Barberi messinese dello stess’ordine. In essa all’altare maggiore si vede il pregevolissimo quadro della Resurrezione di Lazzaro, opera grandiosa di Michelangelo da Caravaggio.

a pag. 99 la chiesa dei Padri Cappuccini

Il capo d’opera che forma il maggior ornamento di questa chiesa è quello della Natività, quadro celebre di Michelangelo Morigi da Caravaggio, fattogli dipingere dal Senato, mentre si trovava in Messina, a cui gli fu pagato mille scudi, e quindi donato a questa chiesa.

Valentina CERTO    Messina 4 luglio 2021

NOTE

[1] Giuseppe Grosso Cacopardo, Memorie de’ Pittori messinesi e degli esteri che in Messina fiorirono dal secolo XII sino al secolo XIX. Ornate di ritratti, Giuseppe Pappalardo, Messina, 1821, pagg. 77-81.
[2] Lanzi stor. pitt. Tom. I. pag. 485.
[3] Milizia diz. delle belle arti Tom. II. pag. 146 147.
[4] Prunetti sag. pittor. pag. 88.
[5] Dominici vite de’ pittori scult. Napolit. Tom. II. pag. 374.
[6] Capodieci monum. ant. di Sirac. illustr. To. II. pag. 364.
[7] Mem. dè Pitt. mess. pag. 46.
[8] Gall. app. agli ann. di Mess. Tom. I. pag. 233.
[9] Memor. dè Pitt. mess. loc. cit.
[10] Abbecc. pitt. pag. 326.
[11] Baglioni pag. 136. Baldinucci part. 3 sez. 4 pag. 274
[12] Prunetti sag. pitt. loc. cit.
[13] Lanzi stor. pittur. Tom. I. pag. 485.
[14] G. Molonia, Giuseppe Grosso Cacopardo, in Dizionario Biografico degli italiani, vol. 60, 2003.

BiBLIOGRAFIA

BIBLIOGRAFIA

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  • Barbera – D. Spagnolo, Dal Seppellimento di santa Lucia alle Storie della passione: note sul soggiorno del Caravaggio a Siracusa e a Messina, in Caravaggio l’ultimo tempo 1606-1610, catalogo della mostra, Napoli, Museo di Capodimonte, (23 ottobre 2004 – 23 gennaio 2005), Napoli 2004, pp. 80-87.
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  • Susinno, Le vite de’ pittori messinesi, 1724, a cura di V. Martinelli, Firenze 1960.
  • Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti, Firenze 1568.