di Monica LA TORRE
Monica La Torre, calabrese di nascita (Tropea, 1968) ma umbra di adozione, si è laureata in Lettere moderne all’Università di Perugia dove ha avuto come docenti Pietro Scarpellini e Alessandro Marabottini; giornalista pubblicista, studiosa di storia dell’arte medioevale e moderna, nonché di filologia moderna, è nota come appassionata divulgatrice di temi culturali ed artistici, impegnata da tempo su questo terreno con articoli, inchieste ed interviste con varie testate on line. Con questo articolo inizia la sua collaborazione con About Art.
Dalla Locride, il mistero magnogreco di Canneti.
Uno dei misteri più affascinanti dei riti funebri magnogrechi è locrese: e precisamente, di località Canneti, a una manciata di chilometri dalla Locri moderna, e dall’Epizefiri antica. Emerso durante degli interventi di archeologia preventiva imposti dall’Anas per i lavori di ammodernamento della Statale 116, coincide con il rinvenimento di una delle coppie di sepolture rituali più rare ed eloquenti del IV secolo a.C.
Il complesso delle evidenze di Canneti sembra parlare un linguaggio ancora poco chiaro, che ha bisogno di essere ulteriormente indagato e valutato. Oggi le tombe e i rinvenimenti sono esposti al Museo del territorio di Locri, e fanno parte del complesso che unisce Museo e parco archeologico, diretto dalla dottoressa Rossella Agostino. Ed i fattori che compongono questo mosaico rompicapo di assoluto fascino ed ancor più intensa suggestione sono in sostanza cinque.
Primo: le tombe di due personalità eminenti– una maschile ed una femminile – che svolgevano un ruolo di primo piano nella ritualità di passaggio della Locride d’età attica.
Secondo: un edificio dove presumibilmente tali rituali erano praticati, i cui resti sono stati rinvenuti nelle immediate adiacenze della sepoltura. (Ipotesi rafforzata dalla presenza di una seconda coppia di tombe, poco lontano, che si rivelerà analoga per contesto, ma risultante priva delle evidenze rituali che poi andremo a trattare).
Terzo: l’elemento acquatico, dominante in un contesto orografico quale quello del rinvenimento, al centro di un triangolo composto da un torrente, la fiumara Gerace e l’estuario sul Mar Ionio.
Quarto: una barca (si badi bene: non un modellino, ma una vera imbarcazione, di 4 metri per 1.70, probabilmente adibita anch’essa ad uso rituale, defunzionalizzata prima, con la prua spezzata e collocata all’interno della barca insieme ai resti di agnello o capretto anch’essi sacrificati, e poi, e bruciata, quale sacrificio totalmente dedicato agli dei.
Quinto: Tre altari bassi, a copertura dell’intero complesso sepolcrale, attorno ai quali sono stati rinvenuti i resti di una libagione rituale, consumata immediatamente dopo l’olocausto dell’imbarcazione.
La spoliazione sistematica del territorio
Il rinvenimento eccezionale conferma, qualora ce ne fosse bisogno, il ruolo primario della Locride magnogreca nel contesto mediterraneo per almeno cinque secoli, ed oltre. E che se da un lato affascina, dall’altro suscita qualche amara considerazione sulla spoliazione sistematica che queste terre hanno subito.
«Gran parte del patrimonio di Locri e della Locride è stato portato via, in modo drammatico (pensiamo alla perdita costante di reperti per i traffici clandestini), o in modo “legittimo” – premette la direttrice del Polo Museale di Locri Rossella Agostino -. La maggior parte dei reperti calabresi sono conservati oggi nei musei stranieri, a Napoli, o a Reggio. E questo non solo per gli scavi clandestini, ma anche per le vicissitudini politiche che da due secoli a questa parte hanno contribuito alla spoliazione del territorio. E proprio per questo, la ricomposizione del puzzle storico costituito da un territorio così stratificato deve essere il nostro obiettivo primario, al quale, ci auguriamo, possa contribuire anche la comunità scientifica italiana ed internazionale. Scoperte eccezionali come quelle di Canneti devono essere stimolo per nuove collaborazioni, nuovi studi intorno a questo terra così fertile e così ricca di patrimoni».
Alla periferia del sapere
Insomma, la tomba di Canneti, così marginale eppure così eccezionale, soffre della perifericità, la marginalità, la povertà economica del territorio che l’ha restituita alla comunità: la Locride, appunto. Come ribadisce la Agostino:
«Considerata la tipologia della scoperta, mi auguro che possa coinvolgere ed attirare in futuro altre ricerche, altri studiosi. Rinvenimenti come questo, aiutano a ricomporre i tasselli di un territorio estremamente stratificato, e di fatto sconosciuto o quasi, pochissimo studiato fino a 15 anni fa. Qui – prosegue – ci si è attivati relativamente di recente. E le scoperte in concomitanza con i lavori dell’Anas hanno contribuito a colmare diversi vuoti».
Un luogo unico, ma occorre fare rete
«Canneti – aggiunge – è un luogo di sepoltura con valenze specifiche, che per essere interpretato dovrà passare per un confronto. Auspico che si possano portare gli studiosi a fare rete, a mettere in correlazione questa ed altre scoperte: che insomma si produca uno sguardo all’Italia centro-meridionale il più ampio possibile. Altrimenti, questi rinvenimenti sono come dei misteri destinati a rimanere tali. Questa campagna di scavi ha rappresentato un momento molto positivo, ed è stato fondamentale per il percorso di conoscenza del circondario di Locri Epizefiri. Un’operazione che ha viaggiato di pari passo con l’allestimento e l’inaugurazione del museo del Territorio, e che si è rivelata estremamente opportuna».
Il Museo dei Territorio
«Bisognava dare visione di insieme dalla fondazione della colonia a seguire, e il Museo del territorio è la giusta cerniera – prosegue l’Agostino-. E in quest’ottica considero estremamente positivo il rapporto di collaborazione fattiva che si è instaurata con l’amministrazione comunale».
Da ricordare infatti che il parco archeologico ed il museo nazionale conservano l’identità magnogreca della colonia, Casino Macrì le testimonianze romane, ed il Museo de territorio, allestito a palazzo Nieddu del Rio nel centro cittadino, conserva quanto emerso dal ricchissimo e tutt’ora in gran parte inesplorato circondario locrese. Dalle testimonianze più arcaiche in poi.
SECONDA PARTE
La tomba di Canneti. L’olocausto, l’acqua, il fuoco
Tra il Torbido e il Condojanni
Insomma, ricapitoliamo, aiutandoci con il volume “Tra il Torbido e il Condojanni – scoperte archeologiche nella Locride”, edito da Rubbettino e a cura della stessa Rossella Agostino, e dell’archeologa Maria Maddalena Sica. Il testo evidenzia come si sia in presenza di una coppia uomo-donna che viene seppellita, in una maniera insolita, quando la donna muore (lo rivelano le ossa dell’uomo non più in connessione tra loro, che indicano la traslazione del corpo da una diversa sede originaria). Sopra le tombe viene deposta una imbarcazione alla quale viene dato fuoco, dopo aver sacrificato e collocato al suo interno una vittima animale. Quando il processo di combustione della barca è completato, sul terreno bruciato che la ricopriva vengono celebrate libagioni e deposto offerte di cibo. Al di sopra vengono poi realizzate tre basse piattaforme, ognuna perfettamente in corrispondenza delle sepolture e del sacrificio di fuoco, circondate e sovrastate da una serie di vasi legati alle cerimonie funebri, a rappresentare il luogo dove i vivi si prendono cura dei morti. Le offerte vascolari ci restituiscono oggetti che evidenziano il linguaggio dei rituali ivi realizzati, legati sia al mondo catactonio sia al rapporto uomo-donna. E in questo contesto, la prima anomalia che ci parla, è costituita dal seppellimento differito: quello cioè che si concretizza quando, con la morte della donna, la coppia si ricostituisce anche nella morte. Da qui, il ricorso al sacrificio di fuoco, totale: all’enagisma.
Un raro olocausto, un eccezionale rinvenimento
«Il sacrificio di fuoco ha valore fondante – scrivono sempre Agostino e Sica – ha la funzione di esaltare una coppia non comune e destinataria di un sacrificio che le fonti attribuiscono generalmente a personaggi eroizzati. Dalle scarse attestazioni letterarie ed archeologiche l’olocausto – quello dei sacrifici umani nel culto degli eroi e comunque in generale – doveva essere un fenomeno piuttosto raro. Come altrettanto rari erano i sacrifici agli dei».
Insomma,
«l’olocausto era un rituale che prevedeva un sacrificio inusuale: e in questo caso le azioni rituali si svolgono solo quando la coppia si ricongiunge con la morte di entrambi. Si tratta forse della ricreazione rituale di una mitica coppia il cui valore fondante risiede nella funzione di operatori rituali, dato che l’enagisma, il sacrificio di fuoco li consacra in una memoria eterna, quella tipica degli eroi. Da qui la suggestione che defunti possano essere riconosciuti come i sacerdoti del culto, la pronuba e il maestro d’armi ospitati nell’edificio il cui ruolo era tanto importante in vita quanto speciale in morte e la cui unione era sacra, da consacrare come una ierogamia, e per questo seppelliti in coppia, simbolo essi stessi della compiutezza della cellula sociale”.
Sulla rarità straordinaria del rinvenimento, abbiamo interpellato l’archeologa Maddalena Sica, curatrice delle indagini e degli studi ad esse seguite.
«Come abbiamo visto, si tratta di un rinvenimento eccezionale e prezioso, sul cui significato tuttavia nutriamo ancora qualche dubbio e delle incertezze. La scoperta è stata fatta nel corso dei lavori di archeologia preventiva dovuta al nuovo percorso della statale 106: la cosa particolare è che questi ritrovamenti sono stati effettuati lungo una linea di 17 km di lunghezza, larga poco più di 100 metri. Sono testimonianze di diversi periodi che comprendono anche il complesso edilizio e le tombe di Canneti, e che ci hanno permesso di proporre una lettura del territorio della Locride ferma in sostanza a 40 anni prima. Mai il territorio circostante della città era stato indagato: e questa di fatto è la prima indagine effettuata dopo anni di stasi.
La Locride, ancora da esplorare
«La Locride tra l’altro si sta iniziando a studiare proprio di recente, con campagne condotte dall’Università di Pisa, (che da due anni effettua ricognizioni nel territorio di Locri), e con alcuni interventi di scavo dell’Università di Torino (all’interno dell’area urbana). Per il resto, non ci sono campagne in corso, fatta eccezione per gli interventi della Soprintendenza a ridosso delle Mura o in località Mannella, tanto per citarne alcuni. Del resto le soprintendenze non hanno fondi per la ricerca, ed intervengono a seguito di emergenze, o per la messa in sicurezza, ad esempio dopo scavi clandestini».
La coppia di Canneti
«Tornando allo straordinario rinvenimento di località Canneti, vi abbiamo trovato una coppia di sepolture, una maschile ed una femminile, sopra le quali era stata collocata una piccola imbarcazione, di 4 metri x1,50, che era stata prima data alle fiamme, e poi ricoperta con della terra, prima che bruciasse completamente. Proprio grazie alle dinamiche del rituale, l’imbarcazione al momento della scoperta è stata rinvenuta in uno stato di carbonizzazione, dunque di non totale combustione. E questo ci ha permesso di scoprirne caratteristiche, dimensioni, funzionalità».
I tre altari
«Pochi oggetti rinvenuti sul terreno di copertura – ha proseguito l’archeologa – ci raccontano che dopo l’olocausto rituale erano state effettuate delle libagioni. Dopodiché, sopra i resti delle stesse, erano stati realizzati tre altari bassi, tre piattaforme quadrate alte circa 30 cm. Intorno e sopra agli altari erano state deposte le offerte destinate ai defunti, compresi dei vasi interi, alcuni dei quali figurati».
La donna “Dal bel colorito”
«La figura femminile sepolta, che scopriremo essere assolutamente predominante, era circondata da piccoli anelli di osso, con ogni probabilità decorazioni poste sul bordo del velo funerario, steso sul corpo della defunta. Nessun altro oggetto era deposto all’interno delle sepolture: ma parte dei materiali deposti fuori e al di sopra delle tombe stesse evidenziava la preminenza del personaggio femminile e il ruolo svolto dalla coppia nell’ambito di rituali legati all’ambito matrimoniale».
L’edificio: il centro nevralgico del tutto
«La situazione è molto articolata e complessa: la sua interpretazione passa per la contestualizzazione della sepoltura, ed è strettamente connessa all’edificio adiacente, di grandi dimensioni (almeno 700 mq) collocato a ridosso di un canale. La lettura del rinvenimento è legata alla funzione stessa del complesso, con ogni probabilità rituale, ed al ruolo della coppia. Tra l’altro, proprio lungo il corso d’acqua nei cui pressi sorgeva l’edificio, si dispone anche la seconda duplice sepoltura. Ed anche se è la sola deposizione più antica ad essere caratterizzata dal rituale dell’offerta della barca, anche il secondo nucleo, pur non presentando lo stesso, complesso rituale, è comunque caratterizzato dalla stessa tipologia funeraria. Va detto che la tipologia della tomba e il sistema di “segnalazione” all’esterno non era estranea al mondo locrese: ma quanto appare assolutamente inedito e straordinario nel rinvenimento di Canneti è appunto la deposizione in coppia e soprattutto il rituale: l’enagisma».
Cosa abbiamo trovato?
Ecco perché per capire cosa abbiamo rinvenuto bisogna analizzare il contesto. Siamo in presenza di un edificio che non è un tempio o un santuario nel senso classico del termine, bensì un luogo particolare che afferisce al sistema cultuale e rituale locrese della piena età classica. Un edificio collegato alla ritualità connessa ai processi di formazione di giovani cittadini, ubicato fuori le mura ma a pochi chilometri dalla città.
Quella di cui stiamo parlando, è probabilmente la coppia fondatrice, o che impersonava i fondatori, di una attività rituale che si svolgeva attorno e dentro l’edificio. Volendo, potremmo riassumere definendoli il sacerdote e la sacerdotessa. E l’identificazione si rafforza se pensiamo al contesto culturale nel quale trovano rispondenza riti di passaggio dall’età giovanile a quella adulta. Anche il fatto che l’uomo sia morto prima, e solo successivamente traslato nella sua collocazione definitiva con la morte della donna, evento quest’ultimo che ha dato il via a tutta la complessa azione rituale, sembra indicare che siamo in presenza di due personaggi attivi in una struttura dedicata verosimilmente alla sacralizzazione della coppia maritale».
Le offerte dopo l’olocausto
«Altro elemento che fa propendere per questa ipotesi è rappresentato dal sistema delle offerte deposte sopra e intorno agli altari. Tra queste vi sono vasi figurati, legati principalmente al mondo femminile (le lekanai-vasi per contenere belletti), caratterizzati da scene in cui l’elemento principale è rappresentato dalla coppia uomo-donna o meglio fanciulla-fanciullo:
scene di contrapposizione con personaggi maschili e femminili nudi-vestiti, esemplificative dei processi che portavano i giovani a entrare a pieno diritto, attraverso il matrimonio, nel modo della polis. Dunque un passaggio di stato ben preciso, durante il quale la stessa barca veniva probabilmente utilizzata per azioni rituali presiedute dalla coppia di personaggi sepolti».
Una sacerdotessa?
«Sempre nell’ottica dei riti nuziali si inquadra anche la preponderanza della figura femminile rispetto a quella maschile. Se è vero che anche gli uomini vi prendevano parte e venivano accompagnati, come la donna, nel passaggio dalla giovinezza alla condizione maritale, è altrettanto vero che negli uomini questo passaggio doveva essere secondario rispetto ad altri rituali che li trasformava in cittadini attivi e che aveva a che fare con la loro centralità nella vita pubblica. Nella coppia di Canneti l’importanza della donna è sottolineata dal fatto che il corpo dell’uomo è stato traslato solo dopo la morte di lei, avvalorandone così la sua priorità, in un contesto comunque frequentato da entrambi, ma verosimilmente primario per le donne. Una possibile conferma della “supremazia” rituale della donna passa anche da un anello rinvenuto all’interno dell’edificio: un anello sigillare in bronzo con una testa femminile di profilo recante il nome, la cui traduzione significa “dal bel colorito”, “di bell’aspetto”. La suggestione è che possa trattarsi del sigillo con il quale veniva sancito il raggiungimento della capacità erotica femminile, coì strettamente legata alla cosmesi e alla preparazione pre-matrimoniale. E questo anello sigillava dunque l’avvenuto passaggio della fanciulla da “giovanetta” a pronta per essere “sposa”».
La barca
«Tornando infine e per un attimo alla barca bruciata per il rituale funerario bisogna tenere bene a mente che non si tratta di un modellino bensì di una imbarcazione reale. Per poter essere offerta doveva però essere defunzionalizzata, non più utilizzabile dall’uomo: e a tale scopo la troviamo difatti privata della prua, che deposta all’interno dell’imbarcazione (ad analizzare la barca, Raffaele Laino, un esperto di archeologia subacquea). La barca, ormai privata della sua utilità, viene “arricchita” con il sacrificio di uno o più esemplari di ovicaprini, capretti o agnelli, e data alle fiamme per essere completamente offerta, con il suo contenuto, alla coppia defunta. Siamo così di fronte a un olocausto, un sacrificio eccezionale e piuttosto raro».
L’acqua nel rito di passaggio
«Ricordiamo che ci troviamo nelle vicinanze della fiumara di Gerace, a qualche chilometro dalla foce sul mar Ionio, e che la barca è intimamente legata all’elemento cardine della ritualità antica: l’acqua appunto.
Sappiamo come questa sia centrale per l’organizzazione del rito e nel rituale stesso e quanto le abluzioni, le pulizie sacre, i bagni rituali siano fondamentali nelle pratiche rituali del mondo antico. Ma la barca sappiamo essere anche il mezzo che la tradizione letteraria e iconografica riconduce al viaggio delle anime dei defunti, al tragitto che compivano attraversando il fiume che separava il mondo dei vivi da quello dei morti».
Conclusioni
«Insomma, se nell’antichità era rara ed eccezionale l’offerta totale al dio (di solito, solo una parte del sacrificio era dedicata alla divinità, e l’uomo tratteneva per sé porzioni di carne), in archeologia è difficile trovare i resti degli animali o degli oggetti sacrificati. Qui ritroviamo sia l’uno che l’altro. Ma a fronte di una realtà complessa, abbiamo pochissime fonti letterarie in grado di aiutarci a comprendere meglio questo particolare tipo di sacrificio, fonti che sono generalmente più tarde del complesso analizzato, datato al IV secolo a.C., e che diventano ancora più rare se riferite a oggetti così sacrificati. Da qui l’eccezionalità dell’enagisma di Canneti».
Monica LA TORRE Tropea (Vibo Valenzia) 12 aprile 2020