di Claudio LISTANTI
L’Amiata Piano Festival è una delle manifestazioni musicali che arricchiscono il vasto panorama dedicato alla Grande Musica ed anima l’estate italiana. Giunto quest’anno alla 19^ edizione, ha rinnovato alla grande tutti i presupposti che ne sono alla base che lo rendono, strutturalmente, una rassegna forse unica per i suoi contenuti.
Come già posto in evidenza sulle colonne di About Art (Cfr: https://www.aboutartonline.com/amiata-piano-festival-2024-alle-pendici-del-monte-amiata-la-grande-musica-incrocia-paesaggio-vino-e-gastronomia/ ) l’istituzione di Amiata Piano Festival è dovuto alla vena creativa del pianista Maurizio Baglini, della violoncellista Silvia Chiesa ed al mecenatismo della Fondazione Bertarelli che sono riusciti a dar vita ad un organismo solido e al contempo stimolante, trasformando quella parte della maremma che si espande verso le pendici grossetane del Monte Amiata da zona culturalmente depressa in un centro artistico dal cuore pulsante. Ad amplificare i contenuti di questa attività è stato il ruolo determinante del Forum Bertarelli, l’Auditorium sede dei concerti opera degli architetti italiani Milesi&Archos che hanno saputo coniugare l’imponenza della struttura architettonica con l’ambiente circostante grazie ad una felice connessione tra ambiente e architettura.
Anche quest’anno Amiata Piano Festival si è articolato nei consueti tre cicli posti in corrispondenza di altrettanti fine settimana di ognuno dei tre mesi estivi, Baccus, Euterpe e Dionisus per presentare un programma ricco e stimolante nei contenuti, spesso orientati verso la ricerca delle novità che è una delle caratteristiche fondamentali di questa rassegna estiva.
Per noi è stata la prima partecipazione al festival come spettatori e dobbiamo senza dubbio dire che era palpabile quella felice commistione tra elementi naturali-ambientali e valori musicali che, come anticipato, sono costitutivi del festival contribuendo a rendere la manifestazione tra le più originali nell’ampio panorama offerto dalla Grande Musica.
Abbiamo assistito a due concerti del ciclo Dionisus, specificatamente quelli relativi ai giorni 30 agosto e 1° settembre, entrambi di particolare interesse per il programma proposto. Il 30 agosto era previsto un appuntamento dal significativo titolo di “Vita e Note di Donne Dimenticate: Louise Farrenc”. Come il lettore avrà già compreso si tratta di un programma in linea con uno dei temi più sentiti oggi nel dialogo interculturale che è quello dell’emancipazione femminile che ha attraversato secoli di storia senza avere una soluzione definitiva e pienamente soddisfacente per le donne.
A tale scopo porre l’accento sulla musicista francese Louise Farrenc è stato, in un certo senso, doveroso per il ricordo della sua figura che, per quanto apprezzata musicista e strumentista, ha dovuto opporsi all’evidente maschilismo della sua epoca.
Nata nel 1804 con il nome di Jeanne-Louise Dumont, figlia di Jacques-Edme Dumont, importante scultore dell’epoca, è nota appunto come Louise Farrenc con il cognome acquisito dopo le nozze con il flautista Jacques-Hyppolyte-Aristide Farrenc. Fu pianista, compositrice e didatta famosa all’epoca ma non apprezzata pienamente per i suoi meriti artistici. Si dedicò alla musica fin dall’infanzia ed ebbe come insegnanti Ignaz Moscheles e Johann Nepomuk Hummel. A soli 15 anni studiò armonia con Antonín Reicha che le consentì anche di entrare in confidenza con il contrappunto e la fuga. Su interessamento di Fromental Halévy divenne nel 1841 insegnate privata della duchessa d’Orléans mentre l’anno successivo, nel 1842, fu nominata insegnante di pianoforte al Conservatorio di Parigi assolvendo al prestigioso incarico fino al 1873 due anni prima della scomparsa avvenuta a Parigi il 15 settembre del 1875.
Il catalogo delle sue opere è piuttosto cospicuo e dedicato in maggior parte al pianoforte con diverse opere piano solista, piano e violino o violoncello, quattro trii, due quintetti, un sestetto e un nonetto alla cui esecuzione partecipò il grande violinista Joseph Joachim. Al fianco di queste opere anche composizioni vocali e corali come pure orchestrali, tra le quali tre sinfonie.
Si impegnò per collocare i suoi diritti di donna al pari dei colleghi maschi soprattutto per eliminare quella disparità di retribuzione che esisteva all’epoca tra i due generi pretendendo la giusta parità.
Il concerto ascoltato presso il Forum Bertarelli era quindi un omaggio a questa figura di musicista le cui vicissitudini di vita si possono accostare a quelle di Clara Wieck Schumann oscurata dalla fama del marito Robert e quella di Fanny Mendelssohn-Bartholdy sacrificata dalla celebrità del fratello Felix. Il tutto era basato su un mirabile testo del critico musicale, giornalista e saggista Federico Capitoni che ha posto in risalto tutta la sofferenza ed il disagio provato dalla Farrenc di fronte all’evidente disparità di trattamento subita, non solo in termini economici ma anche prettamente professionali, come l’assegnazione degli studenti di conservatorio meno promettenti e quindi più difficili da gestire nella didattica.
Il testo intercalava alcuni brani tratti dal catalogo della musicista, molto significativi per comprendere l’arte e la musicalità della Farrenc come Air russe varié per pianoforte op. 17 e le Variazioni concertanti su una melodia svizzera per violino e pianoforte op. 20, entrambe pagine che dimostrano la propensione dell’autrice alle ‘variazioni’, un genere musicale peraltro molto praticato all’epoca nei salotti musicali. Al loro fianco il delizioso Andante sostenuto dalla Sonata per violoncello e pianoforte op. 46 con la conclusione del concerto affidato al Trio per violino, violoncello e pianoforte n. 2 in re minore op. 34.
In omaggio alla personalità della Farrenc non poteva che essere scelto un terzetto di brave ed esperte musiciste come la pianista Linda Di Carlo, la violinista Mihaela Costea e Silvia Chiesa che ha dato spessore e respiro alla parte recitata scritta da Capitoni esibendo, nel contempo, la splendida voce del suo violoncello ottenuta grazie alla sua abilità di strumentista ed alle doti intrinseche del suo prezioso Giovanni Grancino del 1697.
Il concerto è stato salutato al termine da entusiastici applausi da parte del pubblico che ha chiamato più volte al proscenio gli interpreti a testimonianza di un innegabile gradimento per la particolarità e per i contenuti della serata che è stata proposta in prima assoluta e che ci auguriamo possa essere ripetuta in altre sedi.
Nella successiva domenica 1° settembre, la serata che ha concluso il ciclo Dionisus e, contemporaneamente, la parte estiva dell’Amiata Piano Festival 2024.
È stato presentato un insolito concerto dal titolo Note di gusto – musimenù all’italiana per 3 voci recitar-cantanti, ensemble e batteria di cucina. Si tratta di 20 ricette della cucina tradizionale italiana che nei secoli hanno arricchito le tavole di altrettante regioni del nostro paese per un progetto basato sulla raccolta e sulla trascrizione della tradizione orale popolare di alcune significative ricette culinarie per essere sottoposte al pubblico tramite il canto e la musica strumentale per una sorta di affresco che non vuole essere ‘divisivo’ tra le varie culture regionali ma, al contrario, una entità che rafforzi le nostre tradizioni popolari intese in senso ‘unitario’ in quanto espressione dell’indole della nostra Italia.
L’ideatrice del progetto è Roberta Vacca, oltre ad essere conosciuta come buongustaia è anche apprezzata compositrice dei nostri giorni. Ha concepito una partitura molto sintetica nell’insieme, creando una linea vocale che, come nel sottotitolo, è una sorta di novello recitar-cantando con un testo basato sui diversi idiomi di ognuna delle regioni rappresentate, un efficace recitativo che permette all’ascoltatore di comprendere ed apprezzare i preziosismi di tutte le ricette scelte. Nella parte strumentale sono piuttosto evidenti alcuni incisi appartenenti a musiche popolari o caratteristiche delle singole regioni che donano indiscutibile fascino all’insieme con la particolarità che la composizione si apre il preludio strumentale Cucine d’Italia nel quale si possono scorgere riferimenti all’Inno Nazionale Italiano di Michele Novaro un elemento che rafforza quel sentimento di valorizzazione dell’unità nazionale che è uno dei punti fermi di questo interessante progetto.
Nella partitura è preponderante l’uso delle percussioni prevalentemente formate da attrezzi di cucina, un aspetto che si dimostra interessante perché in maniera onomatopeica riproduce i suoni della cucina, dal fragore dei piatti allo sfregolio del riso, dallo scorrere dell’acqua allo spentolare e ai suoni prodotti dall’uso di cucchiare e cucchiarelle, grattugie, sbattitori e quant’altro si trova nelle cucine della tradizione nostrana. Una parte percussionistica molto accattivante, praticamente continua, fino ad essere l’elemento portante della composizione che si avvale anche di una significativa parte strumentale affidata a violino, viola, violoncello, fagotto, flauto e ottavino, clarinetto e clarinetto basso in alcuni momenti utilizzati anche in maniera anticonvenzionale, praticamente percussiva.
Per la parte cantata tre soprani, ai quali la compositrice ha voluto dare il senso delle tra parti ideali nelle quali è divisa l’Italia riservando loro una parte piuttosto impegnativa non solo per il continuo recitar-cantando che toccava in maniera anche repentina il registro acuto ma anche per il compito affidato loro di partecipare alla parte percussionista.
Le tre cantanti erano tutte specialiste per la musica contemporanea, nello specifico Laura Catrani, Patrizia Polia e Angela Nisi che hanno avuto al termine un lusinghiero successo personale. Roberta Vacca è stata impegnata con la ‘batteria da cucina’ da lei stessa concepita per caratterizzare questa sua composizione mentre la parte strumentale è stata affidata all’Ensemble del Città Sant’Angelo Music Festival con la direzione di Alessandro Mazzocchetti e la parte fonica affidata a Luca Bottone.
A questo punto il lettore si chiederà quali sono i piatti prescelti per questo excursus nella cucina italiana. Lo accontentiamo citandoli tutti e 20, sicuri anche che provocheranno l’inevitabile acquolina in bocca sensazione che abbiamo provato anche noi ascoltando il concerto: Fonduà a la Valdostén (Valle d’Aosta), Bagna càuda (Piemonte), Risòt a la milanésa (Lombardia), Tròffie co o pestu (Liguria), Un bon frico (Friuli Venezia Giulia), I canèderli de la Rosi (Trentino Alto Adige), Fasòi sofegài (Veneto), Piadéna a la rumagnòla (Emilia Romagna), Pappa’l pomodóro (Toscana), Li vincisgràssi (Marche), Pèchera alla cottòra (Abruzzo), Faraòna a la leccàrda (Umbria), A coda aa vaccinàra (Lazio), Fasciuòl cuòt end a la pignàt (Molise), ’A pizz ca’ pummaròl’en copp (Campania), Ris, patén’e coz (Puglia), Lu zafràn (Basilicata), Shruncatùra ca ‘ndùja (Calabria), Cannòla ca rricòtta (Sicilia) e Su licòri fatu cun sa mutta ucci (Sardegna).
Per chi volesse approfondire Il contenuto di questo concerto segnaliamo che recentemente è stato pubblicato un CD ad opera di Tactus.
Anche questo concerto è stato salutato dal pubblico con lunghi e calorosi applausi dedicati a tutti gli interpreti che sono usciti più volte a ringraziare.
Un successo che ha suggellato in maniera confortante l’Amiata Piano Festival 2024 e che sarà sicuramente uno sprone positivo per gli organizzatori in quanto l’anno prossimo si celebrerà la ventesima edizione di questa particolare manifestazione. Un traguardo importante per il quale, ne siano sicuri, Maurizio Baglini e Silvia Chiesa, responsabili della programmazione sapranno regalare le giuste emozioni e la valenza artistica necessaria alla peculiarità dell’evento.
Claudio LISTANTI Roma 8 Settembre 2024