Un pregevole smalto Limoges fra i tesori della chiesa di San Francesco Borgia a Catania.

di Maria BUSACCA

Fra le pertinenze del Parco archeologico di Catania, la chiesa gesuitica di San Francesco Borgia che è stata riaperta al pubblico lo scorso 28 giugno, ospita ormai in esposizione permanente con un nuovo allestimento gli argenti e i paramenti che i Padri utilizzavano nelle celebrazioni liturgiche.

Frutto di abili maestranze che rispondevano alla committenza raffinata e colta dei Gesuiti, si rivelano preziosi anche perché sono sopravvissuti al disastroso terremoto del 1693 che rase al suolo la città. Ritrovati fortunosamente dopo anni di ricerche, quando ormai si credevano perduti, fra quelli da me studiati con contributi all’interno della pubblicazione “I Tesori ritrovati” [1], a cura di Luisa Paladino, edito dalla Regione Sicilia nel 2018, si presenta qui arricchita di nuove ulteriori indagini l’analisi del manufatto più antico, una piccola Pace di ambito francese dipinta a smalto realizzata fra la metà del XVI e l’inizio del XVII secolo; nonostante le dimensioni l’oggetto mostra la sua preziosità nell’esecuzione delle figure e nell’ambito di produzione, la Francia delle officine di Limoges, di cui nel nostro territorio poche sono le testimonianze.

La Pace, o Osculum Pacis, o Tabella Pacis, è una tavoletta solitamente di forma rettangolare o centinata con un sostegno sul verso per l’esposizione sulla mensa d’altare; decorata sulla parte frontale da una scena sacra, spesso realizzata in metallo sbalzato o dipinta su rame, veniva baciata dal sacerdote e poi offerta al bacio degli altri officianti e quindi dei fedeli, ed in uso già dal XIII secolo nella liturgia che precede la comunione.

Nel nostro manufatto (fig. 1) la placchetta centinata dipinta a smalto con la Pietà, di fattura più antica e più rovinata – sulla quale è stato applicato a protezione un vetro sagomato – è montata su un supporto di fattura più recente realizzato in rame con struttura a tempietto composta da timpano e due colonne laterali sulle quali si attorcigliano fiori stilizzati.

fig. 1 – Ambito di P. Reymond, Sec. XVI/ metà / XVII inizio, Catania, chiesa di San Francesco Borgia

La studiosa che per prima la indagò insieme agli altri argenti, Maria Accascina, la accomuna come opera minore ad altre di manifattura lombarda fra le quali una Pietà in madreperla intagliata che sta sul retro di una targa pendente conservata, insieme a smalti simili per fattura e provenienza, al Poldi Pezzoli di Milano (Accascina, p. 167). La piccola icona (fig. 2) è ricca di dettagli che ne rivelano la preziosità, come gli oggetti raffigurati ai piedi della Madonna, la corona di spine, un vasetto per unguenti ed una pianta di aloe;

fig. 2 – Ambito di P. Reymond, Sec. XVI/ metà / XVII inizio, Catania, chiesa di San Francesco Borgia

dal vangelo di Giovanni apprendiamo che Nicodemo portò al sepolcro una mistura di mirra e di aloe per la preparazione del corpo di Gesù di circa cento libbre, una quantità che in quei tempi era utilizzata per la sepoltura di un re (GV. 19, 39). Perciò spesso ai piedi della croce o in prossimità del sepolcro occhieggia la pianta di aloe, non attenzionata quanto si dovrebbe dal moderno fruitore, ma ben conosciuta dai pittori che la ritraevano perché ricca di rimandi simbolici; oltre a proteggere il corpo dalla decomposizione, essendo una pianta che cresce per molti anni ma fiorisce una sola volta, era considerata simbolo dell’eccezionale maternità della Madonna, quindi condensava in sé nascita, morte e rinascita.

fig. 3 – Jean Pericaud o Penicaud, seconda metà del XVI secolo, da coll. Privata in North Carolina

Ai lati della Pietà, poco leggibili per il deterioramento del supporto di rame, due figure, San Giovanni inginocchiato a sinistra, e la Maddalena in piedi sul margine destro, purtroppo oggi poco visibile, completano la figurazione; sullo sfondo si indovina la croce. Se a questi dettagli uniamo la resa del corpo di Cristo, con il costato ben in evidenza, e il colore e le pieghe del manto e del velo di Maria, e li accostiamo ad una Deposizione a smalto di Jean Pericaud o Penicaud (fig. 3) della seconda metà del XVI secolo recentemente sul mercato antiquario (Asta Leland Little 11/03/ 2023, Lotto 194) da collezione privata Adams a Charlotte, in North Carolina, di sicura derivazione dal capostipite Nardon di cui troviamo una di esecuzione pressoché identica conservata al Poldi Pezzoli di Milano[2].

Certamente i due esemplari appaiono più raffinati nel tratto e nella resa dei particolari, nelle tinte smaglianti e nel paesaggio, ancora più apprezzabili in quanto meglio conservati, ma il nostro si mostra nella sua dignità di possibile replica con varianti.

A dare riprova della circolazione nella città di manufatti d’oltralpe, due smalti di soggetto religioso conservati nel Museo Civico di Castello Ursino a Catania ai numeri di inventario 6484 e 6486 sono stati accostati dal Libertini alle officine di Jean Penicaud (Libertini, pp. 116-117) per la ricchezza e nitidezza dei dettagli, per il formato e le misure. Al museo Duca di Martina a Villa Floridiana a Napoli è conservata una Pace attribuita a Pierre Reymond del 1560[3], inv. 275 (fig. 4), che mostra affinità con entrambe:  il formato centinato, i colori pastello, la tipologia delle figure, lo sfondo scuro, il braccio del Cristo abbandonato all’indietro ed il vaso per unguenti in basso a destra sono comuni alla nostra, la posa e l’abbigliamento del San Giovanni e della Maddalena sono riconducibili alla Deposizione di Penicaud, mentre la corona di spine è ancora sul capo del Cristo morto. Un altro esemplare riconducibile a Reymond del terzo quarto del ‘500 si trova al Metropolitan Museum of Art di New York, Accession Number 45.60.15, (forse l’“eccellente esemplare” menzionato dall’Accascina, op. cit., p. 167), particolare per l’impostazione speculare rispetto a tutti gli altri qui esaminati, che presenta un’iscrizione in alto fra i due bracci della croce con i monogrammi cristologici IHS a sinistra e XPS a destra (fig. 5).

fig. 4 – P. Reymond, 1560, Napoli, Museo Duca di Martina
fig. 5 – P. Reymond, terzo quarto del ‘500, New York, Metropolitan Museum of Art

Ai piedi del Cristo sono la corona di spine e il vaso per unguenti ma non vi è traccia della pianta di aloe che appare in evidenza in basso solo nella nostra placchetta (fig. 6) e in quella di Jean Penicaud (fig. 7).

fig. 6 – Pace di Catania, part. con pianta di aloe
fig. 7 – Pace di Jean Penicaud, part. con pianta di aloe

Lo stesso Reymond aveva inserito il soggetto in una versione più dinamica fra i tondi nella placchetta con “I Sette Dolori di Maria” conservato al National Museum di Varsavia datato al 1541 (fig. 8); il Cristo giace esanime in terra, sorretto da san Giovanni che si volge ad un tempo alla Madonna, inginocchiata, per sostenerla nel suo slancio di dolore verso il Figlio, mentre la Maddalena tiene fra le mani il vaso per unguenti.

fig. 8 – P. Reymond, 1541, “I Sette Dolori di Maria”, Varsavia, National Museuminv. 6528

I dettagli dei fili d’erba attorno alla figura centrale della Madonna, il manto e la pianta con le foglie carnose ai suoi piedi sono connotativi del linguaggio formale dell’artista. Il nostro manufatto potrebbe collocarsi quindi a metà fra il primo modello francese d’inizio ‘500 ripreso da Jean Penicaud e le repliche con varianti di maniera di ambito francese di Pierre Reymond, che semplifica la rappresentazione riducendola all’essenziale; il cattivo stato di conservazione non ci permette di affermare ma neanche di smentire la presenza di iscrizioni cristologiche  come nella placchetta del Metropolitan che in ambito gesuita potrebbero essere giustificate, né tantomeno di esaminare con più attenzione la figura della Maddalena che si mostra sicuramente diversa rispetto a quella degli altri esemplari esaminati; potrebbe essere opera di un artista locale che aveva padronanza dei modelli francesi, o essere giunto in Sicilia direttamente dalla Francia per vie napoletane- i Paternò in primis erano di ascendenza napoletana-, come attesta la placchetta conservata al Duca di Martina, e non della Lombardia dove lo collocava l’Accascina.

Sopravvissuto al terremoto, potrebbe provenire dall’antica cappella gesuita del Crocifisso per la quale Suora Lucrezia dell’ordine dei Padri Predicatori Cappuccini, al secolo chiamata Caterina vedova Finocchiaro, aveva fatto lascito di onze 20 annuali da spendersi in ornamenti di argento, seta paramenti di mura, ed altro donando al Collegio la tenuta detta di Malasorba con lascito testamentario il 22 agosto 1540 (I Tesori ritrovati, App. Doc., p. 119). Sul bordo interno della cornice e sul supporto in argento i punzoni riscontrati MV 1759 MPC, sono riferibili con certezza solo al catanese Mario Petrosino argentiere che marchia qui in qualità di console, mentre poco leggibile appare il marchio della città, forse di Catania, che veniva apposto al centro della punzonatura. Nella commistione di committenze e di manodopera la Pace che occhieggia dalla vetrina nella chiesa gesuitica ci rimanda a periodi di splendore non solo economico ma anche culturale della Catania prebarocca, quando la bellezza era un valore da condividere nella fruizione quotidiana e la Chiesa con i Padri Gesuiti se ne faceva mezzo di diffusione.

Maria BUSACCA  Catania  20 Ottobre 2024

BIBLIOGRAFIA:

  1. LIBERTINI, Il castello Ursino e le raccolte artistiche comunali di Catania, Catania, 1937
  2. ACCASCINA, Oreficerie di Sicilia,dal XII al XIX secolo, Palermo, 1974
  3. GIUSTI, P. L. DE CASTRIS, a cura di, Medioevo e produzione artistica di serie : smalti di Limoges e avori gotici in Campania : Napoli, Museo Duca di Martina, ottobre 1981-aprile 1982, Firenze : Centro Di, [1981]
Museo Poldi Pezzoli : orologi, oreficerie, Milano, electa 1981
  1. PALADINO, a cura di, I Tesori ritrovati. Corredi liturgici e dipinti della chiesa di San Francesco Borgia del demanio regionale a Catania, Palermo, Regione siciliana, 2018
WIKIPEDIA SOURCE: voce Pierre Reymond
[1] Vedi infra M. Busacca, saggio: Gli argenti della chiesa di San Francesco Borgia, pp. 46-54; scheda n. 1. Pace in: ” I Tesori ritrovati. Corredi liturgici e dipinti della chiesa di San Francesco Borgia del demanio regionale a Catania”,  pp. 56-56
[2] INV. 549, scheda n. 127 in Orologi e oreficerie, Musei e Gallerie di Milano, 1981
[3] La Pace è stata catalogata dalla Soprintendenza di Napoli con codice di catalogo nazionale 1500295420