di M. Lucrezia VICINI
MARCO PALMEZZANO (Forlì,1459 – 1539)
“Andata al Calvario” Tempera su Tavola Cm184 X 186
IMVENTARIO: N˚ 160 COLLOCAZIONE: SECONDA SALA. PROVENIENZA: COLLEZIONE DEL CARDINALE BERNARDINO SPADA
Esposizioni: Marco Palmezzano. Il Rinascimento nelle Romagne. Forlì Musei San Domenico 4 dicembre 2005-30 aprile 2006
La prima notizia che attesta la presenza dell’opera nella collezione Spada risale al novembre del 1641, quando il Cardinale Bernardino Spada pagò un conto al falegname Andrea Battaglini per la realizzazione di diverse cornici più quella per il dipinto in esame:
“… E più per haver fatto una cornice con due obelischi d’altezza palmi 15, larg. 13 1/2 quali detti obelischi sono d’ambe le parti di detta cornice quali sono in modo che si possono staccar, e mettere à detta cornice se ci si contiene un quadro di Nostro Signore che porta la Croce al Calvario sopra un mezzo tondo con il Padre Eterno dipinto e ci è intagliato due cherubini nelli 2 triangoli, per suo minor prezzo scudi 23” (1).
Probabilmente si tratta di uno dei tre dipinti fatti comprare dal Cardinale a Bologna nel 1639 e per i quali il 26 marzo di questo anno vengono pagati a Giovan Battista Bardella 47 scudi che sono
per suo rimborso d’altrettanti da esso spesi per nostro servizio che sin 147 in tre quadri compri a Bologna e mandateci a Roma (2).
Lo Spada già da allora dovette ospitarlo nella stanza destinata ad accogliere dipinti di grande dimensioni, la cosiddetta Stanza del soffitto azzurro e attuale prima sala del Museo, dove si ritrova elencato nell’inventario dei suoi beni ereditari del 1661, senza riferimento attributivo e come: Un Christo che porta la Croce in tavola con figure grandi (3).
Nel successivo inventario dei beni mobili della famiglia Spada del 1759 risulta spostato nella Camera dell’arco delle tre finestre, corrispondente agli ambienti della biblioteca del Consiglio di Stato al piano terra del Palazzo, e riferito ad ambito del Perugino. E’ così descritto:
“Un grande quadro in tavola d’altare diviso in due per alto con cornice grande, e due guglie color noce e d’oro rappresentante Nostro Signore con la croce, e le Marie col Padre Eterno, del Pietro Perugino, ò pure della sua scuola” (4).
Nel Fidecommesso del 1823 è segnalato nuovamente nel Museo e in terza sala, inoltre è ricordato come opera di Andrea Mantenga, così descritto:
“Un quadro, in tavola rappresentante Cristo con la croce in spalla per la via del Calvario di Andrea Mantenga” (5).
Sempre esposto in terza sala ma attribuito correttamente al Palmezzano, come: Cristo Gesù con croce in spalla Palmeggiani è riportato nell’appendice al Fidecommesso del 1862(6).
Nella ricognizione inventariale del 1925 effettuata dall’avvocato Pietro Poncini, amministratore degli Spada e nella coeva stima di Hermanin, è definito: Gesù Cristo con la croce in spalla Marco Palmezzano. La lunetta sovrastante è valutata lire 25.000, mentre la tavola con L’Andata al Calvario, lire 50.000 (7). In seconda sala, dove è visibile oggi, fu trasferita nel 1951, durante la fase di riassetto del Museo che operò Federico Zeri per la sua riapertura ufficiale al pubblico.
Nessun dubbio in merito all’attribuzione al Palmezzano è stato avanzato dagli studiosi che nel corso del tempo hanno preso in esame il dipinto (8). Zeri ne rimanda la datazione alla fine del Quattrocento o al primo decennio del Cinquecento (9).
L’Episodio della salita al Calvario è descritto dai quattro Vangeli ( Matteo, 27, 32; Marco, 15,21; Luca, 23, 26-32; Giovanni, 19,17 ): Gesù, dopo essere stato flagellato e schernito dai soldati romani che gli avevano fatto indossare una tunica scarlatta e lo avevano incoronato di spine, salutandolo Re dei Giudei, fu rivestito dei suoi abiti e condotto fuori della casa di Pilato per essere crocifisso. Secondo quanto riferisce l’Evangelista Giovanni, Cristo salì sul Golgota portando egli stesso la croce senza l’aiuto di alcuno. Nei Vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca), si legge invece che un passante che tornava dai campi, un certo Simone di Cirene, fu costretto dai soldati a prendere la croce.
Il pittore fa riferimento a questa seconda versione. Egli tuttavia affida al Cireneo un ruolo simbolico, di aiuto e non di sostituto, come avrebbe voluto la tradizione iconografica antica, di origine bizantina, rispettata ancora nel primo rinascimento, in base alla quale il personaggio è raffigurato in atto di porre la croce sulle proprie spalle dopo che Cristo si è accasciato al suolo, esausto (10). Nel dipinto il Palmezzano fa sorreggere a Simone di Cirene, così rudemente raffigurato e contrapposto alla rassegnata ed elegante figura di Cristo, solo la parte estrema della croce, lasciando a Cristo il peso maggiore.
In tal modo si pone in linea con le nuove tendenze artistiche del suo tempo, tese a dare risalto alla figura di Cristo e a ridurre o ad eliminare del tutto l’apporto di Simone, in sintonia col pensiero religioso che vedeva nell’immagine di Cristo che sostiene da solo la croce, il modello da imitare, il simbolo del peso che il cristiano deve portare nel corso della sua vita. La figura di Simone non sarà di fatto più presente nella successiva Andata al Calvario del Museo Civico di Venezia, che il pittore dipingerà nel 1525, e di cui eseguirà dieci anni più tardi una replica, esposta nella Pinacoteca Civica di Forlì.
Dei quattro Evangelisti, soltanto Luca descrive il corteo di Cristo durante la salita al calvario. Afferma che formavano il seguito i due ladroni e una grande moltitudine con donne che piangevano e si percuotevano il petto, alle quali Gesù voltandosi disse:
Figlie di Gerusalemme, non piangete per me, ma piangete per voi stesse e per i vostri figli..(23,28).
La tradizione ha identificato nelle donne che piangevano, le pie donne. L’artista inserisce nell’opera, oltre a loro, la figura di San Giovanni Evangelista, rifacendosi al Vangelo apocrifo di Nicodemo dove il Santo è ricordato come lui che portò la notizia a Maria e dopo si recò con lei e Maria Maddalena, Marta e Salomè (madre di Giacomo e Giovanni) al luogo della crocifissione.
Qui alla vista di Cristo, Maria svenne. L’evento, che il pittore rappresenta esemplarmente nella Crocifissione (olio su tavola, cm.114,5×92) esposta agli Uffizi, di poco posteriore, è anticipato nel dipinto Spada al momento del doloroso cammino verso l’esecuzione: il gruppo avanza mentre la Vergine con gli occhi smarriti e la bocca anelante si abbandona nelle braccia delle due donne, richiamando l’attenzione di Cristo che accenna a voltarsi. Nella scena, arbusti secchi sul sentiero e sulla collina rocciosa in fondo a sinistra, si contrappongono alla lussureggiante vegetazione della parte destra, allegoria della vita e della morte e del passaggio a nuova vita attraverso la Redenzione di Cristo.
Candide e soffici nuvole antropomorfe spaziano nel cielo, in riferimento alla cultura padovana mantegnesca, un repertorio che si ripete nei cieli della bellissima tavola con Madonna con il Bambino in trono e i Santi Giovanni, Battista, Pietro, Domenico e Maria Maddalena (olio su tavola, cm.170×158), della Pinacoteca di Brera, dipinta dal Palmezzano nel 1493.
Un’iconografia insolita rispetto all’altra più volte rappresentata dal pittore con Cristo portacroce a mezza figura, isolato o inserito tra più soggetti, tipica della pittura romagnola del primo cinquecento e che sembra attingere da ambito trecentesco senese o dalla scuola giottesca riminese.
Collaboratore e stretto seguace in patria di Melozzo da Forlì (1438-1494) il Palmezzano lavorò con lui anche a Loreto nella Cappella del Tesoro della Santa Casa, realizzando l’affresco con l’entrata di Gesù a Gerusalemme, e a Roma, dove gli vengono riconosciute le decorazioni dell’abside della chiesa di Santa Croce in Gerusalemme, comunemente ritenute di Antoniazzo Romano.(11)
All’influsso esercitato su di lui dall’ambiente umbro-romano, che imprime una maggiore dolcezza alle immagini, si uniscono motivi e soluzioni di origine ferrarese nella linea incisiva e nervosa, e poi venete, per un viaggio a Venezia alla fine del cinquecento, nella cromia luminosa e brillante.(12)
Nell’Andata al Calvario Spada, le cui grandi dimensioni suggeriscono che fungesse originariamente da pala d’altare, la scena si svolge in una pacata sia pure dolorosa atmosfera, dove citazioni melozzesche nel taglio della composizione e nella tipologia delle figure, severe e statuarie nei loro panneggi, si fondono con motivi belliniani nella scelta cromatica dalle tonalità argentee e nel paesaggio di fondo.
Riferimenti melozzeschi si rinvengono anche nella lunetta con il Padre Eterno benedicente che richiama i cherubini di Melozzo, nei Profeti e Angeli della sacrestia di San Marco a Loreto e quelli della cappella Feo in San Biagio a Forlì. Una versione simile è nella Galleria Nazionale di Palazzo Barberini.
M. Lucrezia VICINI Roma 17 Marzo 2024
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