di Lisa SCIORTINO
L’argenteria laica in Sicilia è un campo non molto esplorato dalla ricerca scientifica. Il patrimonio artistico di uso profano, non solo isolano, è stato facile oggetto di dispersione legato sovente alle sorti economiche delle famiglie nobiliari ma anche al mutare dei gusti. I facoltosi borghesi non esitarono a fondere opere ritenute fuori moda al fine di realizzare nuovi manufatti più à la page, cancellando, di fatto, parte della storia della produzione artistica laica.
Se per le opere sacre in argento esiste una vasta bibliografia con ricerche e studi costantemente aggiornati, altrettanto non si può dire per l’argento d’uso domestico che, fatta eccezione per qualche raro manufatto, rimane per lo più conservato nelle case private delle famiglie che lo hanno ereditato. Da sempre il possesso di manufatti di un certo stile è stato indice di benessere economico e rivelatore della classe sociale di appartenenza. Inizialmente la tavola era costituita da materiali di fortuna come il legno e la conchiglia. La diffusione della civiltà agricola vide l’impiego arnesi propri da credenza dando vita alle prime forme di galateo della tavola.
L’interesse dell’uomo per i metalli preziosi risale a tempi antichissimi e l’argento, duttile, malleabile e dalla capacità riflettente fu tra i metalli più adoperati. Impiegato anche per il suo scintillio “lunare” con particolari valenze scaramantiche e religiose, fu simbolo nell’antichità della dea Iside, di Selene e Diana e, con l’avvento del cristianesimo, della Vergine. Già nel Medioevo l’argento fu adoperato per il vasellame da tavola, e, con l’inizio del Rinascimento, nelle tavole dei nobili, dagli Estensi ai Gonzaga alla Curia romana, si iniziò a diffondere l’utilizzo di nuovi utensili detti “da credenza”, sempre più decorati e guarniti d’oro e gemme preziose.
A Monreale, agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, giunsero numerose opere dalla donazione Renda Pitti[1], tra mobili, suppellettili sacre, paramenti, porcellane, dipinti, sculture, maioliche, tutti provenienti dal mercato antiquario[2]. I moltissimi manufatti sacri sono stati esposti al Museo Diocesano a partire dalla sua apertura al pubblico nel 2011. Gli oggetti di uso laico, il cui carattere profano non consente la permanente esposizione al Diocesano, possono essere comunque fruiti attraverso pubblicazioni come questa oppure, in caso di corpus maggiori, anche in mostre temporanee. È quello che è accaduto per i numerosi biscuits a soggetto classico e mitologico, proprio di collezione Renda Pitti, esposti nel 2012 presso la sala San Placido del Museo[3] e successivamente raccolti nella pubblicazione La porcellana bianca della collezione Renda Pitti. Inediti d’arte al Museo Diocesano di Monreale [4].
Pochi sono gli argenti laici donati al Palazzo Arcivescovile dagli alti prelati che lo hanno abitato. Tra questi va citata la Coppia di candelabri a tre fiamme (Fig. 1), appartenuta a S.E. Mons. Corrado Mingo, opera di Pietro Formusa [5] della seconda metà del XIX secolo.
Il loro disegno, realizzato a matita su carta e rintracciato da Maria Laura Celona [6], fu commissionato da Peppino Formusa, figlio di Pietro, ad un professore dell’Accademia di Belle Arti di Palermo che, con tratto deciso ed effetti chiaroscurali, ha documentato la produzione argentiera di quegli anni raccolta in una serie di tavole d’inizio Novecento.
Tra gli argenti profani della collezione Renda Pitti si conserva un’inedita Coppa (Fig. 2) con base circolare ornata da esili foglie lanceolate su cui è posto un putto seduto su un globo, circondato da sinuose volute che reggono una pigna impreziosita da un medaglione con un busto muliebre sbalzato. L’opera, realizzata a fusione, è riconducibile a maestranze europee del XIX secolo e ricorda coppe d’argento di coeva produzione tedesca. Il significato della pigna è legato all’eternità, all’immortalità e alla fertilità, qualità verosimilmente riferite al mezzobusto di nobildonna raffigurata in un tondo sul manufatto.
Il diffuso motivo decorativo ottocentesco con foglie lanceolate accostate, spesso ornamento di suppellettili sacre[7], si ritrova su una piccola Applique della collezione, punzonata con la testina di Cerere, marchio in uso dal 14 aprile del 1826 al 2 maggio del 1872[8].
Nel XIX secolo, i maestri argentieri forgiarono nuovi tipi di posate per servire, palette per i dolci, mestoli, schiumarole, pinze e utensili per il pesce. Nella collezione Renda Pitti si conserva un Servizio completo di posate[9] costituito da dodici pezzi realizzati in argento vermeil (Fig. 3).
Il servizio presenta il manico decorato da elementi fitomorfi cesellati a rilievo culminanti con volute contrapposte. Al centro è inserito uno scudo con stemma coronato bipartito, con una torre merlata in basso e tre stelle a sei punte in alto, per tradizione orale erroneamente attribuito allo stemma del Cardinale Ludovico II Torres, in carica a Monreale dal 1588 al 1609, che invece presenta cinque torri disposte a scacchiera[10]. Sul coltello e in entrambi i mestoli è ancora leggibile in marchio con la testina di Cerere in uso dal 1826 al 1871 e le iniziali dell’argentiere PS riconducibili a Placido Sollazzo attivo a metà Ottocento[11].
In collezione sono anche sette inediti Coltelli da frutta uchatiusbronce (Fig. 4), in metallo dorato completati dal manico in madreperla di produzione tedesca del XX secolo.
Manufatti simili sono custoditi da privati e documentano una vasta produzione di posate impreziosite da manici realizzati con materiali pregiati come la ceramica dipinta, l’osso intagliato, il legno e la madreperla.
L’inedito Coltellino (Fig. 5) dal manico ricurvo è realizzato in argento e reca la sigla D.E.A. Il coltello acquistò grande importanza nel Medioevo come arma da caccia e si diffuse la moda di portarlo appeso alla cintura inserito in un’apposita custodia, assumendo così il carattere di oggetto personale. Veniva realizzato con materiali preziosi come serpentino, cristallo, cornalina, madreperla, onice e il manico era spesso arricchito da smalti e gemme e ornato da figure simboliche, grottesche o fantastiche.
Tornando alla collezione Renda Pitti, vi si conservano anche una serie di set di Cucchiaini d’argento dorato, tra cui sei privi di ornato (Fig. 6);
altri sei con un’incisione ovoidale sul verso del manico incorniciata da volute (Fig. 7); una coppia di cucchiaini con il manico decorato da sinuosi elementi vegetali e un’altra coppia con elementi fitomorfi tutti di produzione italiana del XIX-XX secolo. Riconducibile al tardo Ottocento è il Cucchiaino in argento e argento dorato decorato sul manico da sinuose volute (Fig. 8).
La Paletta da dolce (Fig. 9) della donazione Renda Pitti, realizzata alla fine del XIX secolo in argento e argento dorato, presenta una raffinata decorazione a volute contrapposte incisa sulla paletta.
Anche l’impugnatura mostra elementi fitomorfi che creano un delicato motivo ornamentale.
In collezione è anche il Servizio di forchettone e paletta (Fig. 10), coppia di posate per servire le pietanze, finemente incise e completate dalla sigla CO riconducibile al committente.
Realizzate in argento e metallo, sono produzione italiana tardottocentesca. Affine è un altro Servizio di forchettone e paletta, ornato nell’estremità dell’impugnatura da uno scudo inciso con la sigla patronale FD. È realizzato in argento e metallo dorato da maestro italiano del XX secolo.
Arredo da tavola è anche l’inedita Struttura per saliera (Fig. 11), di argentiere siciliano del XIX secolo, decorata da elementi geometrici e floreali con delicati piedini d’appoggio sferici già completata da piccolo contenitore in vetro.
Essendo il sale uno degli elementi indispensabili nella preparazione delle vivande, la saliera fu la prima a comparire sulle tavole in fogge eleganti e decorate. È alla saliera che spettava il posto d’onore, assurgendo spesso a vero e proprio centro tavola, si pensi – ad esempio – a quella monumentale realizzata da Benvenuto Cellini nel 1543 per il re di Francia Francesco I, oggi al Kunsthistoriches Museum di Vienna.
Ancora corredo per la tavola è il Fermatovagliolo d’argento (Fig. 12), dall’incisione elaborata, con motivi decorativi stilizzati ritmicamente ripetuti ed elementi vegetali; la coppia di Fermatovaglioli (Fig. 13) in argento sbalzato e cesellato, con elementi fitomorfi che incorniciano un ovale privo di incisioni;
la serie di sei Fermatovaglioli (Fig. 14) dalla sezione centrale incisa e incorniciata da piccolissime baccellature, tutti riconducibili a manifattura siciliana del XIX secolo e mai pubblicati.
Il set di sei Fermatovaglioli (Fig. 15), impreziosito dalla lieve incisione di un uccellino posto sul ramo, è opera dell’argentiere palermitano Girolamo La Villa[12], come si legge all’interno di tutti i manufatti.
La collezione conta anche un esemplare in bronzo dorato, con borchie ed elementi fitomorfi, verosimilmente produzione tedesca del XIX secolo (Fig. 16).
La Pinza per alimenti[13] (Fig. 17), pur essendo realizzata in silver plate, mantiene la medesima raffinatezza di gusto delle coeve posate realizzate con il più nobile argento. Reca, infatti, all’estremità due zampe di gallina atte a prendere il cibo.
Questo non è un nuovo espediente; spesso questi oggetti erano completati da zampe leonine oppure l’intero manufatto aveva sembianze umane o ancora presentava valve di conchiglia come le Pinze (Fig. 18) in argento e argento dorato ancora della collezione Renda Pitti.
Nel XIX secolo la produzione venne industrializzata. I servizi assunsero notevoli proporzioni, con coltelli e forchette di dimensioni diverse per i vari usi. L’invenzione, poi, dell’acciaio inossidabile nel 1914 produsse un radicale cambiamento poiché consentì di realizzare lama e manico in un unico elemento, cancellando la necessità di fabbricare separatamente i manici che, per secoli, erano stati concepiti come porzioni ornamentali indipendenti.
Ho voluto inserire in questo saggio anche l’inedita Coppia di cucchiai (Fig. 19) in esposizione permanente al Museo Diocesano, in argento inciso e avorio, opera di maestranze tedesche del XVIII secolo.
Le opere, di uso liturgico, sono complementari al calice, contenitore del vino da consacrare cui unire l’acqua[14]. La forma del cucchiaio eucaristico è identica a quella degli analoghi oggetti d’uso laico con una concavità ovale più o meno allungata o ellittica ed un manico, di regola lungo e sottile con la presenza di simbolici elementi decorativi. L’uso di aggiungere al vino alcune gocce d’acqua con un cucchiaio comparve in liturgia nel tardo Medioevo e venne adottato soprattutto in Francia e in Germania, mentre in Italia ebbe scarsa diffusione preferendogli l’uso delle ampolline. Il raffinato gusto di Salvatore Renda Pitti e la sua ampia conoscenza in ambito artistico hanno fatto sì che acquisisse per la propria collezione due esemplari di cucchiaio liturgico, difficili da rintracciare nel territorio isolano.
Le opere presentano manici d’argento completati dalle figure in avorio di San Simone, con la sega e il libro, e San Giovanni evangelista, con il calice. La parte concava del cucchiaio è incisa con le scene dell’Ingresso di Gesù a Gerusalemme e Gesù davanti a Erode, iconografie ispirate dalla Passione di Cristo che bene si inseriscono nell’opera di uso sacro.
Sui manufatti si rilevano diversi punzoni: 835 entro una mandorla, che indica il titolo dell’argento utilizzato; il simbolo della città tedesca di Konstanz in uso nel XVIII secolo; la sigla BCTC dell’argentiere e “n” minuscola non meglio identificati. Esemplari affini furono realizzati in Germania già nel XVII secolo utilizzando sia l’avorio, ma anche il corallo, l’agata, il diaspro o la madreperla.
Lisa SCIORTINO Monreale 30 Giugno 2024