di Anna LO BIANCO
Quanto conta il carattere, la personalità, nell’affermazione di un artista?
É una domanda che mi sono posta tante volte cercando di indagare questo aspetto che trovo interessantissimo per la piena comprensione di un artista e che sto approfondendo per i grandi maestri del Barocco. Non è facile addrentrarsi in questa materia perché mancano testimonianze attendibili: le biografie, spesso dettagliatissime, si soffermano infatti soprattutto sulla vita pubblica, elencando le opere e i committenti, talvolta i viaggi e raramente si apre qualche spiraglio sul modo di essere, magari più spesso sulla descrizione fisica. Si differenziano alcuni giudizi lapidari di Bellori che riesce a rendere un aspetto, tutto poi da scoprire. E’ il caso di Van Dyck di cui scrive che “visse più da principe che da pittore”, ma anche che fu “buono, onesto, nobile, generoso”. Un ritratto che inquadra perfettamente il personaggio e ci consente di partire da qui per approfondire il carattere dell’artista.
Di Rubens, che definisce sagacissimo, aggettivo quanto mai calzante, ci dice che era “maestoso e insieme umano”, una sintesi incredibile della personalità dell’artista, che sarà ripresa da Burckardt nella sua biografia sul pittore, appassionata e affettuosa. Di Reni ricorda il rifuggire dalle donne, gettando luce su un’indole complessa, combattuta tra desiderio di decoro e la fragilità umana.
Per addentrarsi in questo argomento è necessario incrociare tutte le fonti, inquadrando così le vicende alla luce di un più delineato carattere, un modo di stare al mondo. Si conferma allora che non esistono strade definite per giungere al successo, sempre diverso e sempre diversamente vissuto, ora con serenità, ora con frustrazione, ora con arroganza.
Per meglio intendere l’argomento è forse utile mettere a confronto due protagonisti assoluti del Barocco, Bernini e Pietro da Cortona.
Pressocché coetanei, attivi negli stessi anni e negli stessi luoghi, per gli stessi committenti, in una Roma che si va configurando come espressione di un gusto nuovo e coinvolgente. Eppure sono diversi in tutto.
Tra i due artisti si manifesta un antagonismo insanabile che si esprime in maniera spesso sotterranea rispetto a quello più acclamato tra Bernini e Borromini o tra Bernini e Salvator Rosa.
Tutto nasce già nella prima occasione di collaborazione tra i due, ingaggiati da Urbano VIII, per i lavori nella Chiesa di S. Bibiana, dove Cortona stupisce e forse preoccupa Bernini per la sua assoluta modernità in pittura. Successivamente è il grande cantiere di Palazzo Barberini che li vede affiancati. Nel 1629 muore Maderno e Bernini, appena trentenne, ne prende il posto; l’anno successivo Cortona riceverà l’acconto per gli affreschi della Cappella al piano nobile, sorta di prova preliminare alla decorazione del salone che inizia nel novembre 1632.
Non si ha notizia di screzi o dissapori accertati ma è evidente che l’indole vanitosa di Bernini non accetta di buon grado il protagonismo della grande impresa della volta, alla quale va tutta l’ammirazione dei Barberini.
Comincia così il sotterraneo lavorìo di Bernini contro Pietro, testimoniato anche dalle fonti tra cui il Lanzi che scrive come “dopo avere appoggiato il Cortona Bernini prese a favorire il Romanelli a svantaggio di Pietro.” E in effetti Romanelli prende le distanze dal maestro con cui collaborava agli affreschi del soffitto, allettato dalle proposte di Bernini come ricorda Baldinucci:
”Cominciò pertanto il Bernino a dire tali cose del Romanelli che alla fine ne spiccò per esso una chiamata a Palazzo”
Ovvero i prestigiosi lavori in Vaticano per i quali abbandona il cantiere di Palazzo Barberini.
E’ evidente che non potendo criticare esplicitamente il collega perché protetto dal papa, Bernini sceglie la via indiretta allontanandogli l’allievo più dotato. Da qui la diffidenza di Cortona anche verso i collaboratori più miti e ortodossi come Ciro Ferri, per un anno circa ritenuto colpevole del furto di un disegno e perciò maltrattato e guardato in cagnesco dal maestro fino alla prova della sua innocenza come ricorda Baldinucci.
Anche se le occasioni di lavorare insieme non si ripeteranno, il clima di ostilità tra i due protagonisti cresce, alimentato proprio dalla differente visione del mondo e dai rispettivi caratteri.
Dobbiamo immaginare che si confrontano il talento di Bernini, mito di una genialità precoce, apprezzato già dalla sua adolescenza e la fatica operosa di Cortona, giunto giovanissimo, povero e sconosciuto a Roma che solo dal 1623 riuscirà a capovolgere la sua sorte, grazie a quegli incontri che gli cambieranno la vita. Questa disparità di percorso crea in Cortona un sotterraneo risentimento, una frustrazione sottile che nasce e si alimenta anche nella sua origine modesta a paragone di quella di Gian Lorenzo, figlio d’arte.
Dopo Palazzo Barberini dovranno trascorrere circa trenta anni perché i due artisti si ritrovino a lavorare insieme e sarà papa Alessandro VII a renderlo possibile.
Nel Diario di Alessandro VII, pubblicato da Richard Krautheimer, troviamo il resoconto preciso di questa collaborazione o meglio di questa concomitanza di lavoro. Si tratta della decorazione della Chiesa di S. Tommaso di Villanova a Castelgandolfo, cui il papa tiene particolarmente.
L’11 maggio 1661 leggiamo “vediamo le stalle da buttare giù e poi la pittura di Pietro da Cortona”; il 12 maggio “Doppo pranzo è da noi Pietro da Cortona col Cav. Bernino e vediamo la fabrica”; il 14 “Esciamo a piedi a veder la chiesa con l’Ovato di Pietro da Cortona”; il 15 maggio ”Esciamo a dir messa in Chiesa nova … si licenzia per tornare a Roma Pietro da Cortona che è stato qua tre giorni et accomodando la pittura”.
Si tratta della grandiosa Crocifissione dell’altare maggiore, pagatagli una cifra altissima. Un dipinto dai toni metallici, guizzante di energia, racchiuso nell’altare ovale progettato da Bernini. Il risultato di questa collaborazione anomala è sorprendente, esaltando al massimo le invenzioni di entrambi.
La notizia della presenza dei due artisti deve aver sorpreso molti visto che era nota a tutti la conflittualità esistente tra loro come aveva scritto nel 1661 in una lettera Giovan Battista Mazzucchelli, rappresentante a Roma del Duca Alfonso IV d’Este:
”Cortona è superiore ad ogni altro nella maniera che si chiama eroica. Il Cav. Bernini havrebbe inventione e pensieri ma non convengono insieme, il Cortona e lui, per rivalità … dove che facendo capo all’uno, bisogna far senza l’altro.”
Questa committenza papale riesce dove per tutti era impossibile, in un momento in cui il dissidio è troppo consolidato. Il papa
“gradiva la compagnia di Cortona e era divertito dalle naturali rivalità tra lui e Bernini e dal loro reciproco rubarsi le idee”,
come leggiamo sempre nel Diario di Alessandro VII pubblicato da Krautheimer.
Ritroviamo traccia di questo dissidio sotterraneo più avanti, nel 1668 quando Cortona, pur protagonista assoluto del Barocco, esprime il suo disagio esistenziale e un sentimento vicino alla frustrazione. Scrive infatti una supplica al papa lamentando come il compenso ricevuto di soli 2700 scudi per opere fatte in S. Pietro sia di molto inferiore a confronto dei 3600 pagati a Bernini per lavori meno complessi.
Il denaro appare ovviamente un pretesto vista anche la vita rigorosa condotta dal pittore. No, il denaro è però la misura del successo e dell’apprezzamento riscosso, quel riconoscimento dei potenti che non basta mai a colmare la sua insicurezza.
E’ davvero questione di carattere: Cortona viene descritto dal Pascoli come “guardingo e circospetto”. Quindi sempre pronto a diffidare del prossimo. Non riesce mai a superare la durezza degli inizi. Come è lontana la sua maniera sontuosa e sensuale dalla sua personalità ombrosa!
Bernini, vero enfant prodige, è davvero all’opposto: sicuro di sé fino alla arroganza, pronto a tutto per raggiungere la fama, “aspro di natura” fino alla violenza, che si sente “padrone del mondo” come scrive la madre al cardinal Francesco Barberini dopo i tragici fatti legati alla sua nota lite con il fratello a causa dell’amante Costanza Bonarelli.
Per entrambi però è l’avidità a muoverli: per Bernini avidità di gloria, di fama, di far sempre di più; per Cortona avidità di denaro perché solo questo può risarcirlo dalle origini povere e dalle difficoltà affrontate nella vita, divenendo così la vera misura del suo successo e del gradimento dei potenti.
A questo punto è davvero difficile concordare con Michael Jaffé che ipotizzava come, se fosse rimasto a Roma, Rubens si sarebbe trovato a lavorare proprio con Bernini, a lui così vicino nel concepire in grande e nell’immaginare l’antico declinato al presente. Non credo davvero che questo sarebbe stato possibile considerata l’indole conflittuale e arrogante di Bernini, in cerca di protagonismo assoluto, in contrasto con gli artisti a lui vicini, lontano dalla magnanimità di Rubens.
Anna LO BIANCO Roma 12 Giugno 2022