di Mario URSINO
Punto di vista. Le sculture di Picasso nella Galleria Borghese
Per quanto à la page, secondo la moderna concezione espositiva che mescola l’antico e il contemporaneo come espressione sincronica delle arti per effetto di consonanze formali, o confronti tematici fra opere assai distanti fra loro (si vedano al riguardo gli allestimenti degli ultimi anni nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna, già commentati dal sottoscritto nel 2016), o come Caravaggio e Bacon, oppure Giacometti e la statuaria antica e barocca nelle più recenti esposizioni nella Galleria Borghese (che purtroppo non ho visto), non posso esimermi dal dire, in occasione della mostra Picasso. La Scultura, appena inaugurata, che la “grandezza” di Picasso scultore appare “piccola” nella pienissima e variegata collezione Borghese, (e mi scuso per l’involontario ossimoro). Difatti, ciò che si è posto come oggetto della mostra, ovvero quella corrispondenza per contrasto o per assimilazione dell’antico nel contemporaneo nello stravolgimento linguistico e formale del genio di Picasso nella pittura e analogamente nella scultura, risulta sì come una originale attrattiva della voga (o moda) espositiva, cui sopra accennavo, ma ha prodotto, dal mio “punto di vista”, inevitabilmente, una forte riduzione percettiva del rapporto fra le sculture di Picasso e quelle monumentali della Galleria Borghese ( come si vede nelle foto di alcune sale); cosicchè, anche per le sculture picassiane di maggiore formato, a titolo di esempio, la Donna a braccia aperte, 1961, opera in lamiera tagliata e piegata, e rete dipinta, cm.188×177,5×72,5, del Museo Nazionale Picasso a Parigi, collocata tra il centrale e fittissimo Salone d’Ingresso e la Sala IV, dove giganteggia il beniniano Ratto di Proserpina, (fig.1),
dove si evidenzia il rapporto di allusione formale della tagliente e sagomata, drammatica figura cubista a braccia aperte, con il monumentale naturalismo barocco nella Proserpina che vorrebbe sottrarsi all’abbraccio inestricabile di Plutone: non c’è dubbio che qui il dramma del mito rappresentato dal Bernini e il dramma del soggetto contemporaneo della donna arresa in Picasso sono anche, in qualche modo, concettualmente coincidenti; ma la scultura di Picasso, come dicevo, la si percepisce inconsciamente piuttosto come un piccolo oggetto d’artigianato, e sia detto col massimo rispetto del più grande maestro spagnolo del Novecento. Ma, ripeto, è solo una questione di percezione.
Con questo voglio dire che se si riesce (ma è molto difficile, e richiede un grande sforzo) a distogliere lo sguardo sulla ricchissima e folta quantità e qualità di opere dall’antichità al barocco e al Settecento che caratterizza il singolare Museo Borghese, le sculture di Picasso possono essere lette in tutta la loro forza, soprattutto quelle esposte al primo piano, dove vi è maggiore respiro per la minore assenza di marmi giganteschi (e va ricordato, per inciso, che il marmo è l’unico materiale mai sperimentato nella vasta e multiforme produzione dall’artista spagnolo).
Nelle sale superiori, invece, i suoi bronzi hanno una maggiore evidenza, e se ne può cogliere bene la deformante inventiva poetica nell’utilizzo della materia pesante, ma resa duttile e leggera dal suo inimitabile segno in tutte le 56 opere selezionate per la mostra Picasso.La Scultura, a cura di Anna Coliva e Diana Widmaier-Picasso.
Mario URSINO Roma ottobre 2018