Una tomba o un cenotafio? E’ di Romolo? Dubbi tra gli esperti sull’importante ritrovamento negli scavi al Foro Romano

di Nica FIORI

Novità negli scavi davanti alla Curia Iulia. Il ritrovamento di un cenotafio (di Romolo?) in un luogo simbolico

La memoria di una memoria: potrebbe essere questo, forse, il significato del recente ritrovamento di una cassa in tufo in un vano ipogeo sotto la scalinata di accesso alla Curia Iulia nel Foro Romano, presentata alla stampa dalla Soprintendente del Parco archeologico del Colosseo Alfonsina Russo e dall’archeologa Patrizia Fortini, che ha diretto gli scavi dell’area a 120 anni di distanza da un precedente scavo fatto da Giacomo Boni (Venezia 1859 – Roma 1925), dopo un accurato studio dei documenti dell’epoca.

Foro Romano area del Comitium con la Curia a destra

A questo celebre architetto e archeologo, chiamato nel 1898 dal ministro Boselli a dirigere l’area del Foro Romano e del Palatino (nel cui roseto si è fatto seppellire), si devono importanti scoperte, compresa quella di quest’ipogeo presso il portico d’ingresso della Curia Iulia, relativa al 1899, di cui scrive nel 1900 nella rivista Notizie degli scavi di Antichità:

Interno dell’ipogeo
Sotto a questo ossario, a m 3.60 dal nucleo della gradinata, trovasi una cassa o vasca rettangolare in tufo, lunga m 1.40, larga m 0.70, alta m 0.77, di fronte alla quale sorge un tronco di cilindro del diametro di m 0,75. La cassa di tufo conteneva ciottoli, cocci di vasi grossolani, frammenti di vasellame campano, una certa quantità di valve di pectunculus e un pezzetto di intonaco colorito di rosso”.
Curia Iulia (part.)

Nello stesso articolo Boni specifica il posizionamento e il collegamento con le strutture del complesso del Niger Lapis e del Comitium, in una delle aree del Foro di più antica e complessa edificazione. La piazza antistante la Curia, limitata a ovest dalle pendici del Campidoglio, era il luogo del Comizio, dove si riuniva l’originaria assemblea popolare, e vi si affacciavano la Curia Hostilia e altri numerosi monumenti grandi e piccoli.

Risalgono all’epoca arcaica gli strati inferiori di un’area quadrata, al di sotto di una pavimentazione in marmo nero, da cui deriva il nome di Niger Lapis, che doveva presumibilmente segnare un luogo sacro, simbolico o funesto, in quanto legato alla morte di Romolo o di Faustolo (padre adottivo di Romolo e Remo) o di Osto Ostilio, nonno del re Tullo Ostilio.

Accesso all’ipogeo sotto la Curia

Il complesso arcaico era composto da una piattaforma, sulla quale era posto un altare a forma di U (a tre ante), e da due basamenti minori che reggono, rispettivamente, un cippo a tronco di cono (forse il basamento per una statua) e un cippo piramidale, quest’ultimo con la famosa iscrizione bustrofedica (cioè con un andamento simile al movimento dell’aratro) in alfabeto latino arcaico, databile intorno al 575-550 a.C. e contenente forse la lex sacra di quel piccolo luogo di culto.

I misteri relativi ai primi secoli di Roma sono così fitti e ingarbugliati che gli storici latini facevano non poca fatica nel cercare la verità tra le numerosissime leggende che si erano sovrapposte negli anni, leggende che spesso sembrano comuni ad altre mitologie. Romolo, in particolare, il mitico fondatore che avrebbe dato il nome alla città, è realmente esistito? Non potrebbe essere, invece, che il suo nome derivi da Roma, nel significato di “romano”? Così come la sua nascita, anche la morte di Romolo è avvolta nella leggenda. Secondo alcuni autori egli regnava da trentatré anni quando nel Campo Marzio, mentre stava passando in rivista l’esercito, scoppiò un violento temporale seguito da un’eclissi totale di sole. Appena gli elementi della natura si placarono e l’astro tornò a risplendere, gli astanti si accorsero che Romolo non c’era più. Si disse che era stato assunto in cielo (forse rapito dal padre Marte) e i Romani lo divinizzarono col nome di Quirino.

Ma c’è pure chi racconta differenti versioni. Dionigi d’Alicarnasso ne riferisce alcune che ritiene più attendibili, tra cui l’uccisione di Romolo da parte di suoi concittadini, in quanto “non governava più da re ma da tiranno”. Sarebbero stati i senatori a ordire la congiura e l’uccisione sarebbe avvenuta durante una seduta del consiglio regio al Volcanal (il tempio di Vulcano nel Foro Romano). Il suo corpo sarebbe stato poi simbolicamente smembrato, e le sue parti, divise tra gli stessi membri del Senato, sepolte nelle varie aree del territorio cittadino.

Foto d’epoca degli scavi di Giacomo Boni

Il contesto dove è riemersa la cassa, già scavato da Giacomo Boni e noto anche all’archeologo Alfonso Bartoli, che realizzò negli anni ‘30 del Novecento la scalinata di accesso alla Curia (nel passato trasformata in chiesa e ripristinata in epoca fascista nel suo aspetto romano), risulta preservato dalla sovrastante fabbrica della Curia, probabilmente perché considerato altamente simbolico, e coincide con quello che le fonti tramandano essere il punto “post rostra” (dietro i rostri repubblicani), dove si collocano sia il Niger Lapis, sia il luogo stesso della sepoltura di Romolo secondo la lettura di un passo di Varrone da parte degli scoliasti (commentatori) di Orazio.

Orazio, in effetti, allude all’esistenza di una tomba di Romolo quando scrive (in Epodi XVI, 14):

Un barbaro … calpesterà le ossa di Quirino, ora al riparo dal sole e dai venti”.
Alfonsina Russo

I ricordi scolastici e tradizionali, messi a lungo in dubbio nel passato, sembrano a volte prendersi una rivincita e ricevere conferma nelle grandi linee dalle indagini più recenti. Ma ipotizzare che il rinvenimento di questa vasca simile a un sarcofago (databile al VI-V secolo a.C.) potesse essere la tomba di Romolo è impensabile, mentre potrebbe trattarsi, secondo la Soprintendente Alfonsina Russo, di un monumento funerario vuoto, una sorta di cenotafio eretto forse in memoria del fondatore, così come avvenuto a Poseidonia (Paestum), dove nell’agorà è stata rinvenuta una tomba simbolica dedicata al mitico fondatore della città.  Ovviamente il “cenotafio” romano, in tufo del Campidoglio, potrebbe riferirsi a Romolo, oppure a un altro importante personaggio, mentre la struttura cilindrica presente nello stesso ipogeo potrebbe essere un altare, cosa che identificherebbe il luogo come sacro.

Lo scavo attuale dell’area, finalizzato a ritrovare l’antico portico di accesso alla Curia, ha previsto lo smantellamento della scalinata costruita da Bartoli. Non era scontato ritrovare il contesto descritto da Giacomo Boni, ma per fortuna è stato trovato intatto, dietro una struttura a mattoni, realizzata dallo stesso Bartoli, evidentemente per preservare il ritrovamento archeologico del 1900, del quale si era quasi perso il ricordo, finché non ne ha dato notizia lo studioso Paolo Carafa nella pubblicazione del 1998 “Il Comizio di Roma dalle origini all’età di Augusto”.

Gli scavi, condotti dalla dott.ssa Fortini, riprenderanno a fine aprile e ci si augura di poter valorizzare quanto prima l’area, e renderla nuovamente accessibile con una corretta ricostruzione filologica. Quanto all’ipogeo, si potrebbe pensare di renderlo fruibile visivamente attraverso una protezione di vetro, come è stato fatto nelle tombe di Tarquinia.

Nica FIORI    Roma 22 febbraio 2020