di Arabella CIFANI & Franco MONETTI
Il pittore Giovanni Domenico Marziano è ricordato per la prima volta nel 1845 nella Nuova raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura di Michelangelo Gualandi; viene qui pubblicata una lettera o bozza di lettera del 1648 del duca di Mantova Carlo Gonzaga diretta al pittore Giovanni Domenico Marziano, “nel Monferrato”. Carlo D’Arco, a commento, scrive:
“Questa lettera, o bozza di Lettera, Carlo Gonzaga nono duca di Mantova diresse nel Monferrato al dipintore Giovanni Domenico Marziano, del quale però le molte indagini da noi praticate non valsero a cavarne ulteriori notizie. Né il Lanzi né il Zani, né tanti altri Biografi d’Artisti parlano di questo Marziano, né quel – misterioso quadro – da lui allora spedito al Gonzaga accennano o chiariscono le patrie memorie, onde questo nome abbiamo voluto ricordare soltanto per lume a chi ne avesse o trovasse migliori memorie di lui od intorno al suo operare. Forse Gio. Domenico Marziano partenne alla famiglia di que’ di Tortona, a quella famiglia cioè cui già diede lustro il segretario Marziano da alcuni chiamato ancora frate Marziano, primo fra gl’Italiani che all’anno 1410 dipinse – un giuoco di carte formato di figure, di animali, di augelli ec. – come scrissero il Gringonneur ed il Zani”.
La nota di D’Arco ci consegna quanto nell’Ottocento si conosceva di questo pittore[1].
Alessandro Baudi di Vesme (1923) nelle sue note Schede riprende rapidamente la Nuova raccolta di lettere del Gualandi, senza riportare il commento importante di Carlo D’Arco. Scrive che forse il pittore è da identificare con il pittore Giovanni Domenico Martiniano, del quale avanza un pagamento della Tesoreria Generale dell’anno 1661: “A Gio. Dominico Martiniano, pittore, per il prezzo di un quadro del freggio dell’anticamera del Palazzo Reale; L. 67: 10”. Non documenta opere del pittore Marziano[2].
Nel 1923 Francesco Gasparolo offre notizie documentate sulla famiglia dei De Marziani, “che devono considerarsi valenzani, quantunque originarii di Gambarana”, e anche sul pittore Giovanni Domenico, figlio dell’intagliatore Francesco. Ricorda di lui, sulla base di documenti, insieme con altri lavori eseguiti con il padre Francesco nella Chiesa della Santissima Trinità di Valenza Po, “il quadro dell’altare della Reliquia di S. Giacomo” del 1634, che presenta come “sua prima opera”.
Inoltre riporta la scritta del quadro dell’altar maggiore della Chiesa della Santissima Trinità:
“Joannes Dominicus Martianus / De Valentia pingebat / Franciscus pater ornamenta / Hec faciebat 1645”.
L’opera, della quale Francesco Gasparolo fornisce una fotografia del suo tempo (foto 1), rappresenta l‘Incoronazione della Vergine da parte della Santissima Trinità. In alto e ai piedi della composizione stanno angeli tripudianti o danzanti[3].
Fu eseguita in collaborazione con padre, intagliatore, che si occupò di scolpire la cornice.
Evidente nella tela l’ispirazione dal Guglielmo Caccia, detto Il Moncalvo (Montabone, 1568 – Moncalvo, 1625), per la parte che concerne l’incoronazione della Vergine da parte della Trinità; in riferimento, ad esempio, a tele come quelle delle chiese di Santa Margherita e di San Bernardino di Chieri[4] ( foto 2 -3).
Nel 2011 Lorena Palmieri è intervenuta opportunamente sul pittore, per una sua opera inedita a Lu Monferrato.
A Giovanni Domenico Marziano è da assegnare, scrive, la Sant’Agata tra Santa Lucia e Santa Apollonia, olio su tela, presente nella chiesa di San Nazario di Lu Monferrato, Cappella della Madonna di Lourdes, ex Cappella Bobba (foto 4); il cartiglio, in basso a destra, riporta, infatti, la seguente scritta: “Martianus loci Valentiae ping. / Pater eius caelabat. / 1639” [“Marziano di Valenza dipingeva. Il padre suo intagliava”]. Lorena Palmieri rimanda per la famiglia del pittore a Francesco Gasparolo[5]. L’opera è stata restaurata nel 2005, da Anna Bianchini, Milano.
La tela di Lu Monferrato raffigura le sante martiri Agata, Lucia e Apollonia, tutte giovani e belle, tutte con la palma del martirio. Lucia sulla sinistra esibisce i proprio occhi infilzati su un pugnaletto acuminato, Agata al centro porta su un piatto i propri senti insanguinati; Apollonia a destra mostra una tenaglia con un dente.
Sopra le sante stanno tre angioletti, che le coronano di fiori; nello sfondo in basso, un tratto di mare con navi e scogli che pare uno scorcio di paesaggio ligure. Come giustamente notato dalla Palmieri, il quadro di Marziano è ispirato in modo preciso per la sua composizione ad una pala di Orsola Maddalena Caccia, attualmente esposta nel Museo San Giacomo di Lu Monferrato e proveniente dalla Cattedrale di S. Evasio di Casale Monferrato. Raffigura Sant’Agata tra le sante Caterina d’Alessandria e Apollonia del 1625 circa[6] (foto5).
Marziano, senza inventare molto, si limita a sostituire Caterina con Lucia e i suoi simboli e di suo aggiunge il paesaggio marino che fa da sfondo. Un altro quadro a cui Marziano guarda con attenzione per questa tela è la pala, del 1637, con le sante Liberata, Agata e Lucia della chiesa di Sant’Antonio Abate di Moncalvo[7] (foto 6). Le sante di Marziano riprendono lo schema paratattico di quelle di Orsola e si allineano ordinate al proscenio della tela, mostrandosi sorridenti e rilassate. Del loro martirio, delle sofferenze subite, non c’è in loro traccia: la loro dimensione paradisiaca di Chiesa trionfante non ha più ricordo ormai della prova umana della Chiesa militante.
La tela di Marziano a Lu Monferrato, lo segnala ancora la Palmieri, è presentata dalla Visita pastorale di Monsignor Miroglio del 1657 (Archivio Storico Diocesi di Casale Monferrato, f. 172) come “quadro grande e bello con la cornice indorata intorno”, allora sistemato sull’altare di S. Agata[8].
Presentiamo del pittore Giovanni Domenico Marziano una nuova pregevole opera, arricchimento del regesto delle sue opere. E’ oggi conservata nel convento di Sant’Antonio di Padova di Torino dei Padri Minori Francescani. La grande pala d’altare, olio su tela, rappresenta San Bonaventura da Bagnorégio. Reca, in basso a destra, ancora traccia leggibile di parte della firma: “Martianus”; manca la data di esecuzione, probabilmente per via delle ridipinture seguenti, che è invece oggi posta alla base del quadro su una targhetta in metallo: “MARTIANUS PIN. / 1646” [Marziano dipingeva / 1646]. L’opera è inedita (foto 7).
Non si conosce la provenienza del grande dipinto; è probabile, tuttavia, che provenga da qualche convento francescano soppresso. Raffigura san Bonaventura, francescano, canonizzato nel 1482 e dichiarato dottore della Chiesa nel 1588; è in preghiera davanti a un inginocchiatoio sul quale vi sono un crocifisso, libri, fogli, penna e calamaio, un campanello, un rocchetto rosso. In alto due angioletti si librano nello spazio e lo indicano; tutt’intorno al santo sono altri tre angioletti: uno in primo piano regge un libro e indica il santo, il secondo alle sue spalle gioca con il galero cardinalizio che gli fu assegnato da papa Gregorio X nel concistoro del 3 giugno 1273. L’ultimo angioletto, quello nello sfondo, è assorto nella lettura di un libro. L’iconografia è legata, oltreché al carattere proprio del santo, al fatto che fu sempre assai devoto degli angeli.
Nell’opera Bonaventura appare estatico, contemplativo, quasi trasumanato. Il pittore evidenzia qui nel santo soprattutto la sapienza che è ricerca della contemplazione, come la più alta forma di conoscenza, e che ha come intento “ut boni fiamus” (Bonaventura, Breviloquium, Prologus, 5). Ed ancora, che la fede è nell’intelletto, in modo tale da provocare l’affetto; cioè Cristo morto “per noi” non rimane conoscenza, ma diventa necessariamente affetto, amore (Bonaventura, Proemium in I Sent., q. 3). Temi molto cari a san Bonaventura e trattati nei suoi scritti.
L’opera, datata 1646, viene dopo le altre due che conosciamo del 1639 e 1645. E’ di rilievo nel cursus del pittore e anch’esso evidenzia, come le altre conosciute, l’influsso del Moncalvo: la figura del santo inginocchiato in preghiera è infatti elemento ricorrente nelle opere del Caccia, nelle quali molti sono i santi in questo atteggiamento, con una mano al petto e l’altra che si protende in un eloquente gesto di implorazione.
Le tre opere firmate di Marziano permettono di delineare un tratto del percorso della sua vita e di comprendere quali siano gli stilemi caratteristici della sua arte. Marziano ci appare pittore strettamente ancorato alla tradizione pittorica casalese e monferrina. Oltre che il Moncalvo, il pittore medita l’arte di Giorgio Alberini (1576 circa-1625/26), di poco più vecchio di lui, e anche di pittori come Giovanni Francesco Biancaro, che si è scoperto essere stato il maestro del Caccia[9].
Non appare lontano anche dallo stile di Francesco Fea (notizie fra il 1607 e 1652), allievo di Moncalvo; significativo infatti il confronto con una pala del Fea raffigurante San Carlo in venerazione del Santo Chiodo, che si trova a Chieri (Torino) all’Istituto Giovanni XXIII, molto simile nell’impostazione generale ( foto 8). La sua pittura appare nel complesso sempre solenne e monumentale, anche se rigida e con componenti arcaiche considerato il tempo in cui lavora. La forza della grande tradizione tardo cinquecentesca casalese ancora sovrasta il pittore, tuttavia ci appare artista di interesse da inserire ora finalmente con opere certe e un piccolo cursus nel variegato panorama dell’arte regionale. A lui dovranno essere attribuiti quadri anonimi che vanno sotto l’etichetta generica di “Scuola del Moncalvo”, ma che presentano evidenti gli stigmi del suo stile.
Nel 1648, due anni dopo quest’opera, il pittore manda a Carlo Gonzaga, duca di Mantova, un “misterioso quadro”, probabilmente anche con l’intento di ottenere commissioni. Il duca lo omaggia di una sua lettera, nella quale, tra l’altro, dopo aver riconosciuto la sua “virtù” pittorica, che sperava “coll’esercitio” sarebbe aumentata “a qualche perfetione”, esprime la sua “gratitudine”, assicurandolo che “ove occorresse” ne avrebbe fatto “sempre ogni capitale”. Una lode a discrezione, per un suddito fedele[10].
Arabella CIFANI Torino 14 marzo 2021
APPARATO
Nuova raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura scritte da’ più celebri personaggi dei secoli XV. XIX. Con note ed illustrazioni di MICHELANGELO GUALANDI in aggiunta a quella data in luce da Mons. Bottari e dal Ticozzi, Vo. II., Bologna 1845. A spese dell’Editore ed Annotatore, pp. 161-163:
“N. 215. Anno 1648.
Il Duca di Mantova, al pittore GIOVANNI DOMENICO MARZIANO nel Monferrato (1).
Carlo ec.
Dal misterioso quadro, che mandato mi havete facile è stato di conoscere la virtù vostra che speriamo coll’esercitio sia per aumentarsi a qualche perfetione et la devota volontà con cui ce lo inviate per augurio della nostra prosperità (sic) dell’uno e dell’altra ne rimaniamo con gratitudine proportionata, come delle esibitioni che ci fate del vostro talento in servirci ove occorresse nel che potete assicurarvi che ne faremo sempre ogni capitale et in tanto preghiamo Dio che vi guardi.
A Gioan Domenico Martiano pittore nostro carissimo
5 Marzo 1648.
NOTE AL N. 215.
(1) Questa lettera, o bozza di Lettera, Carlo Gonzaga nono duca di Mantova diresse nel Monferrato al dipintore Giovanni Domenico Marziano, del quale però le molte indagini da noi praticate non valsero a cavarne ulteriori notizie. Né il Lanzi né il Zani, né tanti altri Biografi d’Artisti parlano di questo Marziano, né quel – misterioso quadro – da lui allora spedito al Gonzaga accennano o chiariscono le patrie memorie, onde questo nome abbiamo voluto ricordare soltanto per lume a chi ne avesse o trovasse migliori memorie di lui od intorno al suo operare. Forse Gio. Domenico Marziano partenne alla famiglia di que’ di Tortona, a quella famiglia cioè cui già diede lustro il segretario Marziano da alcuni chiamato ancora frate Marziano, primo fra gl’Italiani che all’anno 1410 dipinse – un giuoco di carte formato di figure, di animali, di augelli ec. – come scrissero il Gringonneur ed il Zani.
CARLO D’ARCO”.