di Cinzia VIRNO
Cinzia Virno è una storica dell’arte già curatrice della Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale; è consulente d’Arte e Antiquariato presso il Tribunale di Roma, nonchè Art advisor e consulente presso case d’asta e fondazioni bancarie. Curatrice di mostre ed eventi presso gallerie e spazi pubblici, è autrice di saggi e monografie sull’arte antica e moderna; in particolare si occupa di pittura e scultura dell’Otto e del Novecento. E’ titolare dell’Archivio ragionato dellì’opera di Antonio Mancini. Con questo articolo inizia la sua collaborazione con About Art
Il 5 dicembre andrà all’asta da Bertolami Fine Arts, l’Autoritratto – biografia realizzato da Antonio Mancini nel 1929, un anno prima della morte avvenuta nel novembre dell’anno successivo (Fig. 1).
Si tratta di un’opera vincolata dal Ministero dei beni culturali, che pertanto, anche in caso di vendita, rimarrà in Italia. Proviene dagli eredi del pittore presso i quali è da sempre rimasta e fu realizzata nel villino con annesso studio in via delle Terme Deciane fatto costruire dall’artista stesso e da lui abitato con i nipoti nell’ultimo periodo della sua vita, a partire dal 1926.
Nato a Roma nel 1852 e morto nella stessa città nel 1930, Mancini studia all’Accademia di Belle Arti di Napoli città dove vive dal 1865 fino a quando, nel gennaio 1883, si trasferisce definitivamente a Roma. La sua vastissima produzione comprende un numero molto elevato di autoritratti. Se ne conoscono diversi ad olio e anche moltissimi a pastello, carboncino, matita. Persino qualcuno dipinto su piatto. La pratica di ritrarsi è concentrata negli anni giovanili e, con modalità assolutamente diverse, nell’ultimo periodo di attività. Nel primo caso si parla soprattutto del cosiddetto “periodo della follia”, che comprende i lavori realizzati dopo il rientro, nel 1878, dal primo soggiorno a Parigi, in particolare quando viene ricoverato nel manicomio provinciale di Napoli dal novembre 1881 al febbraio 1882 e nella fase immediatamente successiva. Durante il ricovero gli viene permesso di continuare a disegnare e dipingere. Pertanto, oltre agli inservienti e ai medici dell’ospedale trova in se stesso un modello comodo e disponibile, “utilizzabile” con il semplice uso di uno specchio.
Alla follia di Mancini – argomento, ampiamente trattato dalla scrivente nel catalogo ragionato del pittore[1] – il medico Michele Sciuti nel 1947 ha dedicato un importante testo, con una ricognizione di diversi autoritratti realizzati intorno al periodo del ricovero[2].
Oltre a quelli già noti e pubblicati, nel corso delle ricerche per la stesura dello stesso catalogo ragionato della pittura, chi scrive ne ha rintracciati numerosi dispersi o del tutto sconosciuti. Molti altri, perlopiù inediti, si stanno rintracciando per il catalogo dell’opera grafica in corso. Tra i tanti ritrovati, realizzati nelle tecniche più varie, se ne contano, ad oggi, oltre duecento. In quelli del “periodo della follia” è spesso evidente il disagio psichico dell’autore che lui stesso vuole sottolineare come è evidente negli esempi qui pubblicati (Figg. 2-4 ).
Lo sguardo spiritato, il sorriso sarcastico o l’espressione cupa sul volto sono gli elementi più frequenti in queste opere sulle quali a volte aggiunge qualche commento come un sintetico: “Ant. Mancini un epilettico 1882” o alla fine di una lunga iscrizione: “……è proprio pazzo [3] ”.
Dopo gli anni Ottanta e per un lungo periodo, Mancini smette di ritrarsi con continuità. Artista ormai affermato, soprattutto dagli inizi del Novecento, è intento a soddisfare una clientela internazionale sempre più vasta ed esigente e si volge maggiormente alla rappresentazione della borghesia e alla ritrattistica di più ampio respiro, avendo ormai consuetudine con la committenza di un’ampia clientela anglo – americana. Finalmente libero dai problemi economici che lo hanno fortemente condizionato nella fase giovanile, soddisfatto del suo successo, torna a ritrarsi con maggiore frequenza negli anni Venti.
Cambiando questa volta l’immagine di se stesso: si mostra come artista finalmente arrivato, appagato e orgoglioso del suo mestiere, spesso con pennelli, tela o tavolozza e un ampio sorriso sulla labbra (Figg. 5-6 ). Si tratta in questo caso di opere molto lontane dai sofferenti autoritratti del primo periodo.
Benché degli anni Venti, e facendo quindi parte di quest’ultimo contesto cronologico, l’Autoritratto – biografia costituisce un caso a sé. Si tratta di una sorta di testamento dove il pittore, attraverso una lunga iscrizione nomina i principali personaggi e i fatti salienti della sua vita. In quest’opera relega la sua immagine di anziano seduta in un angolo in basso a destra in giacca da lavoro con il volto appena girato verso lo spettatore. Il fondo della tela è dipinto di un giallo ocra. Dietro, un’ombra circonda la figura, facendo risaltare il volto e il chiaro della giacca. La mano alzata sembra indicare la lunga scritta, vera protagonista dell’opera, che sovrasta e schiaccia il ritratto. Questa è realizzata a pennello con un colore rosso acceso molto utilizzato nei dipinti dell’artista e con il quale spesso si firma. Si tratta di parole e frasi buttate giù di getto, con una calligrafia e un lessico essenziali e disordinati non senza qualche approssimazione nell’uso dell’italiano secondo quanto troviamo anche nei numerosi scritti e nelle lettere che ha lasciato.
In alto a sinistra si legge: Antonio Mancini di Roma / 1852. A seguire è il lungo elenco di nomi e situazioni:
Napoli Morelli Palizzi Mancinelli Lista / Gemito Michetti Esposito / Mesdag Aja Paris Gerome De Nittis / Degas pastelli veduti al suo atelier / Ballerine / Paolo Bourget già a Napoli veduto / De Amicis a Napoli / Londra Sargent Dublino / Laine direttore / Lady Gregory Ponsonby / Messinger Monaco Berlino / Du Chéne Frascati cittadino / Famiglia/ Studi Story sala Venezia Napoli cittadino / a Minori
proseguendo, al centro dall’alto verso il basso: Baca Flor pittore / amico/ peruviano / Casciaro Vetri Sartorio / amici; in basso a sinistra: Accademia d’Italia 1929.
Appunti veloci, nomi e situazioni indicati senza dare spiegazioni rispettando solo un vago ordine cronologico. Mancini puntualizza di essere “di Roma”, dove è nato nel 1852, non quindi di Napoli. Un dato che ribadisce con forza anche in altre opere. Rammenta comunque la sua formazione nella città partenopea dentro e fuori l’Accademia di Belle Arti nominando i suoi insegnanti: l’amato maestro Morelli – prima di tutti – quindi Filippo Palizzi, Mancinelli e Lista. Ricorda i compagni di studi: Gemito, Michetti ed Esposito. I soggiorni a Parigi durante i quali frequenta Gérôme, De Nittis, e Degas del quale vede i pastelli in vendita nel suo studio. Il critico e romanziere Paul Bourget, suo grande estimatore, già precedentemente incontrato a Napoli. Ricorda l’incontro con Edmondo De Amicis, l’autore del famoso libro Cuore. I personaggi anglo americani che lo hanno conosciuto e sostenuto come John Singer Sargent, che lo reputava “il più grande pittore vivente[4]”, l’irlandese Hugh Lane, fondatore della Galleria d’Arte Moderna di Dublino che oggi porta il suo nome, la zia di quest’ultimo, Lady Augusta Gregory, scrittrice e drammaturga – alla quale dipinge due ritratti – e l’antiquario inglese Claude Ponsonby per il quale realizza diverse opere. Cita gli studi romani della famiglia americana degli Story ovvero lo scultore William Wetmore e i due figli Thomas Waldo, scultore anch’egli e Julian Russel pittore, presso i quali viene ospitato a dipingere. I suoi principali collezionisti e mecenati come l’olandese pittore di marine Hendrik Willem Mesdag, di gran lunga quello che ha acquistato il maggior numero di sue opere, molte delle quali sono oggi nel museo a lui dedicato a L’Aja: “De Mesdag collectie”. Otto Messinger l’antiquario tedesco suo committente, conosciuto nel 1907 e con cui si reca a Monaco e poi a Berlino. L’imprenditore francese Fernand Du Chéne de Vère, per il quale lavora dal 1911 al 1917 nella villa Jacobini di Frascati. Nomina altri artisti, anche più giovani, che ha conosciuto e frequentato: Giuseppe Casciaro, Paolo Vetri, Giulio Aristide Sartorio e il peruviano, poi suo discepolo, Carlos Baca Flor.
Tra un nome e l’altro compaiono gli eventi della sua vita che ritiene più importanti: la mostra personale alla Biennale di Venezia del 1920 – dove tutte le opere che espone vengono acquistate – la cittadinanza onoraria conferitagli da Frascati, Napoli e Minori. In ultimo l’avvenimento più recente di cui andava molto orgoglioso: la nomina ad “Accademico d’Italia”, appena ottenuta, nel marzo 1929.
Al verso del quadro Mancini abbozza un ritratto della nipote Domenica, figlia minore del fratello Giovanni, secondo la consuetudine di riutilizzare tele già dipinte.
L’ Autoritratto biografia non è da annoverare tra le opere più belle di Mancini in senso strettamente estetico. E’ certamente di pregevole fattura, ma la sua forza sta soprattutto nel valore storico e nel grande significato che presenta all’interno del suo percorso artistico. Ne va peraltro sottolineata l’incredibile modernità tenendo anche conto che è stata realizzata da un pittore dell’Ottocento di rigorosa formazione accademica.
L’esito dell’asta non è prevedibile. L’opera avrebbe senz’altro avuto un notevole riscontro nell’ampio mercato internazionale considerando il notevole apprezzamento sempre ottenuto all’estero[5].
Sarebbe senz’altro auspicabile che un pezzo così importante di uno dei protagonisti della nostra storia venisse acquisito dallo stato italiano.
Cinzia VIRNO Roma 1 Dicembre 2024
NOTE