di Nica FIORI
Il cognome Valadier fa pensare alla Francia
e in effetti Luigi Valadier, protagonista di una splendida mostra alla Galleria Borghese, era figlio dell’argentiere francese Andrea Valadier, che si era trasferito a Roma nel 1714. Ed è proprio a Roma che nacque Luigi nel 1726 e vi morì nel 1785, gettandosi nel Tevere, prima ancora di sentire i rintocchi del Campanone di San Pietro, alto sei metri, che aveva appena realizzato e la cui voce armoniosa sarebbe diventata la più popolare della città.
Orefice, argentiere e fonditore di bronzo, Luigi aveva ereditato dal padre l’arte e la bottega, che avrebbe reso, grazie al suo talento, estremamente fiorente. A lui si devono preziose statue, raffinati arredi, servizi da tavola, sculture in bronzo, specchi, orologi e monumentali deser (i centrotavola con molteplici elementi scultorei), che ci riempiono di meraviglia per l’altissima qualità artistica e la varietà dei materiali usati.
La mostra “Valadier. Splendore nella Roma del Settecento”, a cura di Anna Coliva, direttrice della Galleria Borghese, mette in luce il profondo legame tra i Borghese e Valadier, attraverso circa novanta opere, che ben rendono la fastosità di un’epoca e di una villa che aveva già visto nel Seicento l’affermazione dello stile barocco e che si rinnova nel Settecento con il nuovo linguaggio neoclassico. Come spiega la curatrice, “Valadier è un artista di casa a Villa Borghese”, un genius loci che connotò con le sue decorazioni gli interni della villa. Il rapporto, iniziato con Camillo Borghese, proseguì con il figlio Marcantonio, IV di questo nome, cui si deve la trasformazione radicale del complesso, affidata all’architetto Antonio Asprucci.
“Valadier lavorerà per Marcantonio fino all’anno della sua morte, e sarà a lui accomunato da un destino fosco – afferma Anna Coliva – Valadier si toglie la vita nel 1785, vittima di un tracollo economico. Sovente, difatti, i grandi committenti stranieri partivano da Roma con le opere, senza aver retribuito l’autore. Marcantonio, da parte sua, andò incontro a una grave depressione, in seguito al Trattato di Tolentino del 1797 e alle requisizioni napoleoniche che lo portarono alla perdita del suo patrimonio”.
Le difficoltà economiche furono tali da costringere i Borghese a fondere il loro più bel servizio da tavola, composto da centinaia di pezzi in argento dorato, a cui Valadier aveva lavorato per oltre vent’anni. Solo sette pezzi del servizio sono ancora esistenti, e in mostra ne troviamo sei, provenienti da collezioni private.
Tornano di nuovo a Roma per questa esposizione due monumentali lampadari in argento realizzati nel 1764 per il santuario di Santiago di Compostela e mai prestati in precedenza. Sono freschi di restauro e ci accolgono nel salone di ingresso, insieme alle statue dei santi della cattedrale di Monreale, in argento e metallo dorato, e ai candelieri e alla croce d’altare con lo stemma di Papa Benedetto XIV in bronzo dorato, dalla chiesa romana di Sant’Apollinare alle Terme. Sono tutte opere che ci abbagliano con il loro fulgore, ma la preziosità dei materiali non ci deve meravigliare più di tanto, perché l’oro è simbolicamente il colore del sole e quindi della luce divina, e pertanto è sempre stato usato negli ambienti sacri a partire dall’antichità, spesso in abbinamento con altri materiali (pensiamo per esempio alle statue crisoelefantine del mondo greco).
Nello stesso salone, affrescato nella volta da Mariano Rossi, è esposta pure l’Erma di Bacco, della Galleria Borghese, che ci conquista per la raffinatezza dell’esecuzione del volto bronzeo e per il fusto di alabastro antico rilavorato nello spirito del primo neoclassicismo romano. Altro capolavoro è la copia in bronzo dell’Antinoo, rinvenuto a Villa Adriana e chiamato Capitolino perché collocato da Clemente XII nel nuovo Museo Capitolino. La copia, firmata da Luigi Valadier e datata 1780, faceva parte di una serie di bronzi realizzati per il Conte d’Orsay e proviene dal Louvre di Parigi.
Proseguendo nel percorso espositivo troviamo tutte le tipologie e le tecniche con cui si è misurato il grande artista, con opere che vanno da dimensioni piccolissime ad altre notevolmente grandi. Nel monumentale Salone degli Imperatori troviamo una quantità di oggetti in porfido egizio (vasi, colonne e una coppia di candelabri) provenienti per lo più dall’Ermitage di San Pietroburgo, che rispecchiano la predilezione dei potenti per quel marmo prezioso che ricorda nel colore la porpora, e quindi l’impero romano, e nel cristianesimo la porpora cardinalizia.
Sono pure di porfido due spettacolari tavoli della Galleria Borghese con ripiano dodecagonale ed elaborata base con mascheroni dorati e sempre di porfido è un camino in una sala del piano superiore, il cui decoro a rilievo è firmato da Agostino Penna.
Nella Sala egizia, che rispecchia il gusto per le cose egizie che si affermò a Roma con Piranesi, ancora prima dell’egittomania che sarebbe esplosa in Francia dopo la campagna napoleonica in Egitto, troviamo dei pezzi straordinari. Ci colpiscono in particolare un offerente che sorregge una lucerna e un prezioso orologio da tavola (1785) in bronzo dorato, marmi colorati e pietre dure, che rievoca con due telamoni egizi l’ingresso al Museo Pio Clementino del Vaticano, mentre la scena centrale riproduce il rilievo antico delle sacerdotesse offerenti della Collezione Borghese.
Ritroviamo riproduzioni di rilievi antichi, realizzate da Valadier in bronzo dorato, in numerosi manufatti e persino nel camino di una sala, dove sono raffigurati Centauri e miti relativi ad Ifigenia e ad Aracne.
Da Versailles proviene un vaso plurimaterico con la raffigurazione del Sacrificio di Ifigenia, ispirato a un cratere monumentale a calice neo attico (il cosiddetto Vaso Medici). È stato realizzato nel 1772-73 per Madame du Barry, la celebre favorita di Luigi XV, ed è esposto accanto a un altro della stessa committenza raffigurante un Thiasos dionisiaco, su modello del Vaso Borghese, che Valadier interpreta con una certa libertà.
Altre volte i personaggi mitici sono raffigurati a tutto tondo, come nel caso delle copie bronzee dell’Apollo del Belvedere e della Venere Callipigia, richieste dalla du Barry per il suo Pavillon. L’Ares Ludovisi, l’Amazzone ferita, l’Arianna e le Tre Grazie che sorreggono una tazza sono altri capolavori scultorei, provenienti dalla Royal Collection di Stoccolma.
Le Grazie in bronzo si ispirano al noto marmo del II secolo a.C. della Collezione Borghese e sono state riprodotte più volte in combinazioni originali nella stessa manifattura Valadier, come attestato da numerosi disegni.
Un’opera spettacolare è il Gruppo di Augusto, proveniente dal Louvre.
È stato realizzato nel 1784 per papa Pio VI per valorizzare in modo monumentale il cammeo di Augusto del I secolo d. C., rinvenuto probabilmente nella Catacomba di Priscilla sulla via Salaria. Tra i materiali usati troviamo il cristallo di rocca, l’agata, il marmo, l’oro, il bronzo dorato e lo smalto. Per le figure di barbari prigionieri, raffigurati alla base, Valadier si è ispirato anche in questo caso a una statua romana della Collezione Borghese.
Altri preziosi materiali, tra cui il lapislazzuli usato nella ricostruzione di un rudere con colonne, si trovano nello spettacolare deser realizzato per il Balì di Breteuil e poi venduto a Caterina II di Russia, oggi a San Pietroburgo.
Altrettanto prezioso è il modello del pompeiano Tempio di Iside (1805-1806), opera del figlio Giuseppe Valadier (celebre a Roma soprattutto come architetto) e di Carlo Albacini.
È stato realizzato con diversi alabastri per Maria Carolina d’Austria e proviene dal Museo di Capodimonte (Napoli). Dal Museo nazionale archeologico di Napoli proviene l’Artemide Efesia (II secolo d.C.), restaurata dagli stessi Albacini e Giuseppe Valadier, al quale si deve l’aggiunta di mani, piedi e testa in bronzo.
Conclude la mostra una sezione dedicata ai disegni, la cui visione è quanto mai utile per comprendere il processo creativo dall’ideazione alla realizzazione di un’opera, e per poter immaginare quelle opere oggi disperse e in parte fuse per convertirle in altri beni.
Nica FIORI Roma 3 novembre 2019
“Valadier. Splendore nella Roma del Settecento”
Galleria Borghese, Piazzale Scipione Borghese, 5 Roma. 30 ottobre 2019-2 febbraio 2020
Orari: da martedì a domenica: dalle 9 alle 19 (ultimo ingresso alle 17). Apertura serale ogni giovedì fino alle 21 (ultimo ingresso alle 19). Lunedì chiuso.Biglietti: intero € 20, ridotto €9. Prenotazione obbligatoria € 2 http://www.galleriaborghese.it