di Maria Grazia BERNARDINI
La decisione di mettere in vendita Villa Ludovisi ha acceso i riflettori su una delle più belle dimore romane del primo Seicento ed è un’occasione per riandare a quegli anni e soffermarsi, se pur in modo sintetico, sulle dinamiche culturali che portarono i Ludovisi ad innalzare il famoso Casino dell’Aurora. Villa Ludovisi o Casino dell’Aurora, infatti, è una superba testimonianza della straordinaria fioritura culturale della società romana nei primi anni del Seicento: le grandi famiglie dell’aristocrazia, i cardinal nepoti, i personaggi illustri facevano a gara per costruire palazzi e ville di delizie, per rendere la propria abitazione più grandiosa e magnifica, la propria collezione più ricca e esclusiva, accaparrandosi gli artisti più famosi e le opere d’arte più importanti.
Con la salita al soglio pontificio di Paolo V (1605-1621), Scipione Borghese divenne il cardinal nepote, potente e facoltoso personaggio, avido e grandioso collezionista. Mentre realizzava un grande palazzo a Montecavallo (passato poi al cardinale Giulio Mazzarino e successivamente ai Rospigliosi Pallavicini), ampliandone il giardino e facendo eseguire affreschi famosissimi – il Carro di Apollo o Aurora da Guido Reni, il Casino delle Muse da Orazio Gentileschi e Agostino Tassi e ancora una Loggia con le Quattro Stagioni da Paul Brill – e mentre Paolo V faceva ornare la cappella nel proprio appartamento privato nel palazzo del Quirinale ancora da Guido Reni, il cardinale Scipione faceva costruire la Villa Borghese, quella che ancora oggi è uno scrigno, un gioiello, un tesoro d’arte.
La Villa, nelle intenzioni del cardinal nepote, doveva essere luogo di rappresentanza per ricevere le delegazioni straniere e luogo di piacere per le opere d’arte lì raccolte, di ogni genere e di ogni tempo. I visitatori erano accolti da due statue poste nel giardino, che si inchinavano verso di loro, Flora e Priapo (oggi nel Metropolitan Museum of Art), le quali con un’espressione sorridente offrivano fiori e frutta. Per arricchire la propria collezione Scipione Borghese non solo acquistò e commissionò tantissime opere d’arte (tra le quali i famosi gruppi borghese di Giovan Lorenzo Bernini), ma non si fece scrupolo di sottrarle quando potè. Ricevette da Paolo V i quadri confiscati al Cavalier d’Arpino, sottrasse agli Aldobrandini la Caccia di Diana del Domenichino e a Perugia il dipinto di Raffaello raffigurante la Deposizione, ottenne dai padri carmelitani la famosa statua dell’Ermafrodito venuta alla luce tra il 1617 e il 1618 durante gli scavi per il rifacimento della chiesa di Santa Maria della Vittoria così descritta “statua di una donna che si risvegliò uomo”. Il palazzo di Montecavallo e la Villa “Pinciana” erano a quei tempi tra i più ricchi e illustri palazzi.
Il cardinale Alessandro Damasceni Peretti Montalto, nipote di Sisto V, dal canto suo, fece ristrutturare la villa sull’Esquilino (andata distrutta durante i lavori per la realizzazione della Stazione Termini), arricchendola con opere d’arte commissionate ai più importanti artisti del tempo (ad esempio il Ciclo di Alessandro Magno) e facendo realizzare la più grande Peschiera del momento a Roma, una grande e ricca fontana, ornata da ben sedici statue, sulla quale svettava la scultura di Bernini raffigurante Nettuno (ora nel Victoria and Albert Museum).
La Villa Aldobrandini, situata tra via Nazionale e via di Panisperna, gareggiava con le Ville Borghese e Peretti Montalto grazie alla frenetica attività del cardinale Pietro Aldobrandini (1571-1621), nipote di Clemente VIII. Il cardinale Aldobrandini fece ingrandire il palazzo e raccolse opere d’arte importantissime e, come il cardinale Borghese, non ebbe scrupoli nell’impadronirsi di superbi capolavori. Grazie alla mancanza di eredi degli Estensi, la Chiesa ebbe l’occasione di rivendicare il possesso di Ferrara e nel 1598 fu sancita la devoluzione della città allo Stato Pontificio. Fu occasione unica per il cardinale Aldobrandini, il quale in qualità di cardinale legato entrava a Ferrara per prendere possesso della città, di appropriarsi di alcuni straordinari dipinti: il Festino degli Dei di Giovanni Bellini, l’Offerta a Venere, il Bacco e Arianna e gli Andrii di Tiziano. Quei dipinti che prima ornavano le pareti del Camerino di Alfonso d’Este erano ora giunti a Roma, suscitando un rinnovato interesse nell’ambiente culturale per la pittura veneta proprio all’inizio del Seicento.
Leone Strozzi, esponente di spicco della famiglia fiorentina degli Strozzi e legato da amicizia agli Aldobrandini, acquistò nel 1619 la Villa Frangipane sul Viminale, accanto alle rovine romane delle Terme di Diocleziano e alla Villa Montalto, e si dedicò alle raccolte di opere d’arte antiche e moderne. La sua collezione, che si andò arricchendo nel corso degli anni, vantava veri e propri capolavori e rarità, libri naturalistici, naturalia e oggetti scientifici, gemme, dipinti, sculture (tra le quali il San Lorenzo di Bernini).
Nel 1621 fu eletto papa Alessandro Ludovisi con il nome di Gregorio XV e divenne cardinal nepote il cardinale Ludovico Ludovisi. Il cardinale Ludovisi fu certamente uomo di potere, spregiudicato e interessato all’accrescimento del prestigio e della ricchezza del proprio casato e realizzò negli Orti Sallustiani una villa magnifica con un grande parco. Stendhal ne rimase così impressionato da affermare che le Tuileries e Versailles erano deboli imitazioni. Il cardinale Ludovisi fece realizzare il palazzo di famiglia, “Palazzo Grande”, e acquistò dal cardinale Francesco Maria del Monte un elegante edificio, già ornato con il dipinto raffigurante Giove, Saturno e Nettuno di Caravaggio (ne diressi il restauro nel 1990), che fece decorare con affreschi del Guercino (l’Aurora e la Fama) e per questo soprannominato Casino dell’Aurora. La sua ricca raccolta d’arte, suddivisa tra Palazzo Grande e il Casino, era costituita da opere provenienti dai Colonna, dagli Altemps, da Federico Cesi e dai Cesarini, solo per citare alcune collezioni, ed era in grado di competere per consistenza e qualità con la Villa Borghese.
Figuravano marmi prestigiosissimi quali il Grande Sarcofago Ludovisi, l’Ares Ludovisi, il Galata suicida (Museo Nazionale Romano, Palazzo Altemps), il Galata morente (Musei Capitolini). La sua raccolta d’arte si arricchì di altri straordinari capolavori grazie al dono del cardinale Borghese e di Olimpia Aldobrandini. Il cardinale Borghese, per ingraziarsi il potente cardinal nepote, gli offrì il gruppo del Ratto di Proserpina di Giovan Lorenzo Bernini (tornò nella Galleria Borghese solo nel 1908) e Olimpia Aldobrandini, divenuta proprietaria dell’immenso patrimonio ereditato dal fratello, cardinale Pietro, donò al cardinale Ludovisi due Baccanali di Tiziano, l’Offerta a Venere e gli Andrii. I due dipinti furono a loro volta offerti dai Ludovisi a Filippo IV di Spagna e ora difatti si trovano nel Museo del Prado di Madrid. La Villa Ludovisi, il cosiddetto Casino dell’Aurora, era dunque tra le dimore più prestigiose della Roma del primo Seicento.
Purtroppo le vendite, le dispersioni, le traversie e le distruzioni avvenute nel corso degli anni hanno spazzato via quel ricchissimo patrimonio d’arte raccolto con tanta passione dai Borghese, dagli Aldobrandini, dai Ludovisi, dagli Strozzi e da tanti altri famosi personaggi e cultori d’arte. Dobbiamo ringraziare i Borghese e lo Stato Italiano che acquistò nel suo complesso la Villa Borghese nel 1902 se oggi possiamo ammirare, se pur in parte spogliata della collezione d’arte antica oggi al Musèe du Louvre, un vero gioiello architettonico e di opere d’arte. Ecco, il Casino dell’Aurora era simile alla Villa Borghese. Oggi è spoglio delle preziose opere d’arte, ma mantiene ancora il dipinto di Caravaggio e gli affreschi del Guercino. Nell’Aurora, l’artista emiliano creò un vero e proprio effetto illusionistico, rimuovendo ogni delimitazione della scena e anzi inserendo scorci di paesaggio per immergere lo spettatore all’interno dello spazio irreale della raffigurazione.
Si avverte quindi un profondo cambiamento e innovazione nella soluzione compositiva che preannunciava i fondamenti dell’estetica barocca: non solo l’illusionismo spaziale, ma la fresca ariosità della scena dovuta al vasto cielo appena percorso da mutevoli nuvole e dal volo degli uccelli, dal tono scherzoso dei puttini, dalla corsa dei cavalli che si tuffano nell’aria. Rispondeva in un dialogo ideale al Carro di Apollo o Aurora del Reni, che si affacciava dal soffitto del Casino Borghese a Montecavallo, mentre le Quattro Stagioni del Brill entravano in rapporto con le Quattro Stagioni di Pietro Bernini che ornavano Palazzo Strozzi (Frascati, Villa Aldobrandini).
L’importanza dunque, al di là della proprietà dell’edificio, è la tutela e la conservazione della Villa, fare in modo che si mantenga nel tempo, quale testimonianza del fervido e sfavillante ambiente culturale romano, e che possa essere ammirata, con tutte le limitazioni necessarie, da studiosi e da tutti gli amanti delle arti.
P d L Roma 10 novembre 2021