di Giulio de MARTINO
Cosa comunica al visitatore di oggi – abituato a filtrare la realtà attraverso le immagini e le voci quotidianamente riprodotte dalle tecnologie digitali – la visione in presenza di cinquanta tra dipinti e disegni di Vincent Van Gogh (Zundert, 30 marzo 1853 – Auvers-sur-Oise, 29 luglio 1890)?
Si potrebbe pensare che le tante stratificazioni aneddotiche e fruitive, provenienti dal crossover della nostra mente, lo abbiano reso un consumatore inerte. Inerte al punto da fargli identificare il pittore olandese con una delle effigi o riproduzioni, a lui direttamente o indirettamente riferite, apparse in un secolo di prodotti e messaggi massmediali.
La mostra su Van Gogh a Palazzo Bonaparte dall’8 ottobre 2022 al 26 marzo 2023, si propone di sostituire – in epoca di intensa virtualizzazione delle esperienze, accentuata dal «distanziamento sociale» del COVID 19 – i surrogati che ruotano dentro la psiche postmoderna con l’esperienza fruitiva, in presenza e diretta, delle vere tele di Vincent Van Gogh.
Provengono – con un prestito generoso – dall’ingente raccolta di opere d’arte che Helene Kröller-Müller (1869-1939) costruì tra il 1907 e il 1939, insieme al marito Anton Kröller, oggi esposta nel Rijksmuseum di Otterlo nei Paesi Bassi. La mediazione collezionistica – sottolineata dai Curatori e evidenziata al principio del percorso espositivo – dà una cifra alla mostra di Palazzo Bonaparte e colloca il visitatore alla giusta distanza interpretativa.
La mostra ci propone metà dei 91 dipinti – e dieci dei 180 disegni – esposti alla GALLERIA VAN GOGH del museo Kröller-Müller, dove si conserva la seconda raccolta di opere di Vincent van Gogh esistente al mondo. I dipinti sono disposti in ordine cronologico, in base ai periodi della tormentata esistenza di Van Gogh, mentre luci e allestimenti, monitor e pannelli cercano di esaltarne la potenza estetica e culturale[1].
Come si legge nel Catalogo: «la cultura è in grado di guidarci oltre i nostri orizzonti consueti e di trasformare la nostra visione. Costituisce quindi una spinta propulsiva all’innovazione, capace di cambiare il nostro mindset e di predisporci a cogliere le migliori opportunità di crescita, personale e collettiva. L’anima visionaria di Van Gogh, espressa nelle opere esposte in questa mostra, ci riporta soprattutto a questo principio»[2].
Il progetto espositivo a cura di Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti prevede la suddivisione cronologica delle opere: il periodo olandese (1880-1885), il soggiorno a Parigi (febbraio 1886 – febbraio 1888), il periodo ad Arles (febbraio 1888 – maggio 1889) e l’ultimo tempo a Saint-Rémy-de-Provence e poi a Auvers-sur-Oise (maggio 1889 – luglio 1890).
Ai visitatori è proposta una visione delle tele che presenti – in simultaneità -sia il sentiment valoriale e esistenziale di Van Gogh sia l’evoluzione del suo algoritmo pittorico. In primo piano si collocano le figure influenti e decisive del fratello Theodorus Van Gogh (1857-1891) e del pittore e amico/nemico Paul Gauguin (1848-1903). Brani delle lettere a Theo e pensieri di Van Gogh accompagnano la visita, intercalati alle tele.
Figg. 4 e 5 Vincent Van Gogh, Contadina che raccoglie il frumento, Nuenen, luglio-agosto 1885, gessetto nero, gouache grigia, acquerello opaco bianco e tracce di fissativo su carta velina, 522 × 432 mm; Id., Contadina che lava una pentola, Nuenen, agosto-settembre 1885, gessetto nero e tracce di fissativo su carta velina, 545 × 438 mm.
Durante il periodo in cui rimase in Olanda, l’attenzione dell’artista si spostò dal mondo di campagna alla vita di città. I personaggi sono raffigurati con spontaneità, secondo una figurazione «realista» (vedi Jean-François Millet) lontana dai modelli accademici. Le donne, impegnate nei campi o in cucina, oppure che trasportano pesanti sacchi, esprimono, con dignità e pazienza, la fatica del lavoro agricolo e nei boschi.
Il mondo delle officine e delle prime industrie tessili, consentì a Van Gogh di evidenziare le forme dell’economia del tempo, ma anche il vissuto quotidiano dei lavoratori. Si applicavano alle macchine con senso del dovere, testimoniando una adesione alle regole e agli impegni del mondo sociale illuminata e sorretta dai principi e dalle virtù della fede protestante. La mostra mette in luce – con due opere (Vecchio che soffre del 1882 e Vecchio disperato. Alle porte dell’eternità del 1890) – i temi della disperazione e del dolore esistenziale.
Il trasferimento a Parigi comportò per Van Gogh l’acquisizione di una concezione nuova del valore del linguaggio pittorico. La frequentazione dei protagonisti del «neoimpressionismo» e la conoscenza della pittura giapponese lo stimolarono ad accentuare gli effetti cromatici e l’astrazione dell’immagine figurata rispetto al verismo ingenuo della percezione delle cose.
Al substrato etico e religioso si sarebbero sostituiti gradualmente l’impeto estetico e poi il flusso delle ossessioni mentali incontrollabili. Interesse preminente della critica è stato di evidenziare il linguaggio nascosto di Van Gogh, celato sotto la sua visione pittorica manifesta.
Van Gogh e Gauguin condivisero la comune nostalgia per il passato preindustriale e concepirono l’idea della «fuga dalla città» per sottrarsi alle dinamiche del mondo urbano. La Provenza gli apparve come un territorio intermedio fra passato e presente.
Ad Arles – insieme alla difficoltà del rapporto con Gauguin, che portò Van Gogh all’automutilazione dell’orecchio e al ricovero in ospedale – il pittore olandese manifestò un sempre più marcato smarrimento dell’equilibrio psicologico, poco o nulla attenuato dall’abuso di vino, caffè, tabacco da pipa.
Negli ultimi mesi di vita, si alternarono in lui periodi di normalità e momenti di drammatica crisi. Soffriva di allucinazioni, temeva di essere avvelenato, i vicini di casa, temendo che potesse diventare pericoloso, ottennero il suo nuovo ricovero in ospedale[1].
Uscito dall’ospedale, Van Gogh si fece ricoverare l’8 maggio 1889 nella Maison de Santé di Saint-Paul-de-Mausole, un vecchio convento adibito a ospedale psichiatrico a Saint-Rémy-de-Provence, a una ventina di chilometri da Arles. Nella casa di cura, la psichiatrizzazione del disagio, invece di guarirlo, accelerò in lui l’avvento della follia.
Il pittore, il 16 maggio 1890, raggiunse il fratello a Parigi per poi stabilirsi a Auvers-sur-Oise, a trenta chilometri dalla città, assistito dal dottor Paul-Ferdinand Gachet. Si sentiva oppresso dalle preoccupazioni economiche e dal presentimento dell’avvicinarsi di un nuovo attacco psicotico. Finché il 27 luglio si sparò al petto. Rimase in vita, senza perdere conoscenza, fumando la pipa, fino alla sera del 29 luglio.
Nell’osservare i dipinti l’elemento psicanalitico e psichiatrico non deve, però, prendere il sopravvento su quello estetico. La mostra esalta il carattere rivoluzionario della tecnica pittorica di Van Gogh, scaturita alla giuntura tra la vicenda esistenziale e personale dell’artista e il destino collettivo della società europea in rapido cambiamento alla fine dell’‘800.
Van Gogh è stato un formidabile innovatore del significato della pittura nella società industriale. Ha sperimentato le forme del mancato adattamento – e quindi la devianza e la sofferenza, come altri artisti della fine dell’800 – ma è riuscito a praticare la pittura integrando le possibilità espressive del linguaggio cromatico e iconico astratto con il più duro realismo.
Senza ingenuità, a Palazzo Bonaparte, si può analizzare la colossale macchina culturale ed economica che – per tutto il Novecento – ha trasformato un pittore olandese che ebbe scarsa fortuna in vita, in un autore che influenzò gli intellettuali e gli artisti successivi. Un artista che, «malgré soi», è diventato il «best seller» del mercato mondiale dell’arte e una «icona» della comunicazione globale.
Giulio de MARTINO Roma 9 Ottobre 2022
NOTE
[1] La forma di allestimento e di esposizione romana è diversa da quella olandese in quanto è basata sulla illuminazione artificiale dei dipinti, in luogo della luce naturale. Una scelta comprensibile sul piano di didattico, ma opinabile su quello fruitivo.
[2] Michaela Castelli, Presidente Acea SpA, in: Van Gogh. Capolavori dal KRÖLLER-MÜLLER MUSEUM, Milano, Skira editore, ottobre 2022, p. 6.
[3] Antonin Artaud, Van Gogh il suicidato della società, 1947, a cura di Paule Thévenin, Milano, Adelphi, 1988.
Bibliografia
Giovanni Testori, Luisa Arrigoni, Van Gogh. Catalogo completo, Cantini, Firenze 1990.
Karl Jaspers, Genio e follia. Strindberg e Van Gogh, Raffaello Cortina Editore, Milano 2001.
Vincent van Gogh. Scrivere la vita. 265 lettere e 110 schizzi originali (1872-1890), a cura di Leo Jansen, Hans Luijten, Nienke Bakker, Donzelli Editore, Roma 2013.
La mostra
Vincent Van Gogh. Capolavori dal KRÖLLER-MÜLLER MUSEUM
Mostra prodotta e organizzata da ARTHEMISIA. In collaborazione con il Museo Kröller-Müller
Palazzo Bonaparte, Piazza Venezia, Roma
8 ottobre 2022 – 26 marzo 2023
A cura di Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti
Progetto di allestimento BC Progetti di Alessandro Baldoni e Giuseppe Catania
Progetto illuminotecnico Francesco Murano
Realizzazione allestimento Tagi 2000
Installazioni multimediali Art Media Studio, Firenze
Video di mostra Ballandi Arts
Main Sponsor
Acea. Generali – Valore cultura
Catalogo
a cura di Skira editore, Milano ottobre 2022
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