di Rita RANDOLFI
Il 4 dicembre scorso Francesco Buranelli e Vittorio Sgarbi hanno presentato a Roma nella sala capitolare del chiostro di Santa Maria sopra Minerva, con il patrocinio del Senato della Repubblica, il volume Vittoria Colonna e l’eredità degli spirituali, scritto da Andrea Donati ed edito per i tipi di Etgraphiae nel 2023. Lo studioso ha dedicato sei anni di studio a Vittoria Colonna, disegnandone un ritratto a tutto tondo e rivelando aspetti finora inediti o rimasti in ombra, che restituiscono la complessa personalità di una delle donne più importanti ed influenti del Cinquecento.
Durante la presentazione del libro, accompagnata anche da quella degli atti del convegno di Firenze del 2019, dal titolo Michelangelo e Vittoria Colonna, a cura di Veronica Copello e dello stesso Andrea Donati, editi da D’Arte di Todi, Francesco Buranelli ha voluto ripercorrere i tratti storici salienti della vita della protagonista, evidenziando come l’autore abbia inserito il profilo della marchesa di Pescara nel più ampio scenario storico italiano ed europeo.
Figlia di Fabrizio Colonna, che inizialmente era filo francese, poi passò al partito spagnolo, e di Agnese di Montefeltro dei duchi di Urbino, Vittoria Colonna aveva ricevuto un’educazione da principessa. Colta, intelligente, fiera, conosceva l’arte di governare perché aveva letto l’Etica Nicomachea e Machiavelli. Era dotata di intuito politico e sapeva far versi poetici che le procurarono l’ammirazione di Pietro Bembo e altri letterati del suo tempo, ma dimostrava una continua preoccupazione per il destino della sua anima. Riguardo all’aspetto fisico, di lei il protonotario apostolico Gian Matteo Giberti, suo amico ed estimatore, scrisse che era come un mosaico: bella da lontano, brutta da vicino. Lo storico Paolo Giovio, che la conosceva di persona, la descrive con occhi e capelli neri e un colorito pallido.
Vittoria Colonna sposò giovanissima Ferrante d’Avalos nel castello della famiglia del marito nell’isola di Ischia. Il matrimonio, combinato dalle due casate allo scopo di aumentare il loro prestigio e la loro potenza, non fu felice per mancanza di prole. I due coniugi trascorsero poco tempo insieme. Ferrante, infatti, partì come capitano al servizio dell’imperatore Carlo V. Nel 1525 vinse la battaglia di Pavia e catturò il re Francesco I di Francia, ma alla fine dell’anno morì di setticemia per le ferite riportate sul campo. Vittoria, quindi, si ritirò prima a Roma nel convento di San Silvestro in Capite, poi a Ischia e trascorse nel Regno di Napoli altri dieci anni. Non prese i voti, ma visse una vita devota, come una suora, e si interessò alla riforma della Chiesa sostenendo gli ordini religiosi rigoristi e in particolare fu seguace del frate cappuccino Bernardino Ochino.
Quando tornò a Roma, nel 1535, continuò a vivere nei conventi, ma frequentò anche la corte di Paolo III Farnese. Poi, quando suo fratello Ascanio Colonna entrò in conflitto aperto con il papa e il papa conquistò tutti i feudi Colonna nel Lazio, la marchesa trovò rifugio prima a Orvieto poi a Viterbo, presso la corte del cardinale legato Reginald Pole, che lei considerava come suo figlio. In quel tempo Vittoria Colonna fu parte attiva del ‘circolo degli spirituali’ e continuò ad impegnarsi nel rinnovamento della Chiesa cattolica accanto al cardinale Pole. Donati evidenzia la profonda spiritualità della marchesa, animata da una fede salda che la portava a mortificarsi nel corpo e a ricusare i riti esteriori, senza però mai deviare dalla comunione con la Chiesa cattolica. Donati quindi sfata il mito di una Vittoria Colonna eretica e restituisce un’immagine storica più attendibile e coerente.
L’intervento di Vittorio Sgarbi si è concentrato sugli ultimi anni dell’esistenza terrena della Colonna, allietati dall’affettuosa e platonica amicizia con Michelangelo, testimoniata, oltre che da alcune lettere, soprattutto dai dipinti che l’artista creò per lei. Tra questi la Crocifissione era tanto bella che, seppure non ancora del tutto finita, la marchesa non voleva restituirla, dubitando che Michelangelo ne facesse fare una copia da colui che poi si rivelerò essere il suo diretto collaboratore nell’esecuzione dei successivi ‘dipinti spirituali’, ossia la Pietà, la Samaritana al pozzo, la Madonna del Silenzio, tutti correttamente individuati da Donati. Il carteggio, per quanto breve e succinto, risulta perfino divertente. La lettura di Sgarbi, infatti, ha sottolineato i dati illuminanti del carteggio, che – come scrive e ribadisce puntualmente Donati – parla di dipinti, non di disegni come invece aveva inteso la maggior parte della critica novecentesca. Inoltre, Vittoria Colonna rivela doti da vera conoscitrice e critica d’arte, affermando di aver visionato la Crocifissione con degli appositi strumenti: una lente, un vetro, una luce di candela. La marchesa riconosceva nella Crocifissione una qualità così alta che, qualora non fosse stata eseguita da Michelangelo, ma dal suo collaboratore (“quel vostro”, ossia Marcello Venusti), lei non aveva assolutamente intenzione di restituirla.
Il volume monografico di Andrea Donati, nella sua seconda edizione riveduta e aggiornata, è corredato da un ricchissimo apparato documentario e fotografico e costituisce una pietra miliare per lo studio di Michelangelo e della marchesa di Pescara.
Rita RANDOLFI Roma 10 Dicembre 2023