di Vittorio SGARBI*
Roberto Ferri (Taranto 1978). Si è diplomato al Liceo artistico “Lisippo” di Taranto; trasferitosi a Roma nel 1999, approfondisce la ricerca sulla pittura antica, dall’inizio del Cinquecento alla fine dell’Ottocento; in particolare, si dedica alla pittura caravaggesca e a quella accademica (David, Ingres, Géricault, ecc.). Nel 2006, si laurea con 110 e lode all’Accademia di Belle arti di Roma, nel corso di scenografia. Tra le numerose sue personali si devono ricordare almeno la grande mostra, curata da Fabio Isman, “ROBERTO FERRI – BEYOND THE SENSES/ OLTRE I SENSI” presso il Complesso del Vittoriano a Roma, poi replicata a Londra presso l’ Istituto Italiano di cultura; a seguire, la personale per la “54. BIENNALE DI VENEZIA” presso il Museo d’Arte Sacra, Salemi, a cura di Vittorio Sgarbi, la personale “ROBERTO FERRI Noli Foras Ire e la presentazione della Via Crucis per la Cattedrale di Noto” Palazzo delle Esposizioni – sala fontana Roma supervisionata da Francesco Buranelli, Vittorio Sgarbi e Claudio Strinati, nonché la personale presso Atelier Marcello Tommasi organizzata da Etra Events, Firenze. E’ stato presente in mostre collettive a ART FAIR New York, all’ Art Winwood Miami” oltre che ad Istanbul, Oslo, New Mexico. Ha ricevuto vari premi e menzioni speciali; ha partecipato a varie iniziative pubbliche e a programmi televisi. La mostra che apre il 20 luglio al Castello dell’Abate a Castellabate (Sa), in occasione della VIII^ edizione del Premio Pio Alferano 2019, diretto da Vittorio Sgarbi, intitolata “Una cosa bella è una gioia per sempre”, è l’ultima in ordine di tempo.
Ferri è un fenomeno!
ammirevole come e più di un pittore antico.
Ha, di colpo, superato i pittori figurativi più abili nella duplicazione della realtà. Vuole essere perfetto è lo è.
Il suo primo pensiero è stupire.
Con formidabile disciplina rimedita la grande tradizione della pittura barocca, da Caravaggio a Ribera, da Bernardino Mei a Tiepolo. In realtà, Ferri è un virtuoso che riporta nella realtà i sogni . talvolta essi sono incubi. Ma l’armonia delle forme domina i soggetti anche nelle loro torsioni più audaci, nelle mutilazioni, nei traumi.
L’occhio di Ferri registra e riproduce l’ordine delle cose in un mondo dove tutto funziona, e c’è spazio anche per il male, per la caducità, come altro elemento della bellezza. Nello splendore si legge l’ombra del declino, ma si può opporre la preziosa esplosione dell’istante di vita che sospende quell’ombra.
Ed eccoci qui davanti a quadri antichi sorprendentemente moderni; apparentemente accademici ma trasgressivi. Una sfida al resto del mondo. La figura umana per Ferri è inevitabile ma deve essere anche trionfante, eroica, in un continuo riferimento a modelli e composizioni già pensate e da lui portate a uno stupefacente rigore.
Così egli detrmina un effetto borgesiano: chiede e ottiene stupore, e dipinge, oggi, quadriantichi: così noi davanti ai suoi quadri non sapremo dire in che epoca siamo. Un iperbarocco? E insieme un neoclassico e un caravaggesco. Ferri continua l’inganno, non sarà mai abbastanza contemporaneo e mai un pittore antico. Sa mostrare il doppio nodo che lo lega al proprio tempo e al tempo passato facendo un patto con l’oltretempo.
Crea un legame forte tra la forma del visibile cui diamo il nome di bellezza, e quel sentimento impetuoso e vitale che è la gioia. La sua pittura non è dunque soltanto armonia, proporzione, misura, ma è soprattutto esperienza di un sentimento pieno, incontnibile, assoluto.
Dipinge come un antico soggetti moderni, ma di fronte al corpo umano ignudo, non si puà fermare, non può deformare (se non è deforme) ed è costretto ad essere un altro.
Nuovo come pittore antico; antico come pittore moderno.
Vittorio SGARBI Roma luglio 2019