di Nica FIORI
Winckelmann. Capolavori diffusi nei Musei Vaticani
Quando Johann Joachim Winckelmann giunse a Roma nel 1755, dopo due mesi di faticoso viaggio da Dresda – la capitale della Sassonia dove aveva conosciuto il cardinale Alberico Archinto, che lo aveva convinto a farsi cattolico – era pieno di speranze per il suo futuro ma non immaginava certo che la città dei papi sarebbe diventata la sua città di elezione, un luogo dove avrebbe potuto godere di “una libertà civile che negli altri stati è un’ombra” (come scrive in una lettera del 1757 a H. D. Berendis) e ammirare una quantità impressionante di opere d’arte dell’antichità. Opere che egli per primo studiò con una visione storica, articolata e strutturata in modo protomoderno, tanto da essere considerato il fondatore dell’archeologia e il primo storico dell’arte (prima di lui c’erano stati solo biografi, come Giorgio Vasari o Giovan Pietro Bellori, e non storici dell’arte in senso stretto).
A 300 anni dalla nascita (Stendal, 9 dicembre 1717) e a 250 anni dalla morte (Trieste, 8 giugno 1768), Winckelmann viene celebrato dai Musei Vaticani con una mostra che intende mettere in evidenza il ruolo che le collezioni vaticane hanno costituito per gli studi, per le teorie e per gli scritti del celebre studioso. Winckelmann non ha mai visto i Musei Vaticani così come sono oggi, eppure una parte consistente delle collezioni pontificie si sono costituite, negli anni successivi alla sua morte, con molte delle opere che egli osservò e studiò in modo scientifico. L’esposizione, curata da Guido Cornini e Claudia Valeri, si articola in un percorso tematico diffuso che presenta 50 capolavori dei musei, riletti attraverso le parole di Winckelmann. Ogni opera è stata identificata graficamente con un allestimento contrassegnato da una W di colore blu, a richiamare il mare cui allude a volte nei suoi scritti sulla statuaria classica, e inserita in un circuito didattico che spiega le ragioni scientifiche di ciascuna segnalazione.
La mostra si riallaccia idealmente a quella che gli è già stata dedicata nei Musei Capitolini sul Tesoro delle antichità, che era pure “diffusa”, nel senso che erano illustrati diversi capolavori di arte classica nell’ambito del percorso museale, ma aveva comunque una sezione a parte (a Palazzo Caffarelli) dedicata alla vita e all’opera di Winckelmann con prestiti da altri musei e istituzioni. I Musei Vaticani hanno scelto di esporre soltanto le loro opere, dislocate in ben 21 postazioni, con 4 focus di approfondimento, e il risultato è che l’insieme risulta forse troppo dispersivo, tenendo conto che i Musei Vaticani sono immensi ed è impensabile che un visitatore, pur guidato da una piccola mappa topografica, possa percorrere tutti i musei alla ricerca dei totem con la W per approfondire la conoscenza del grande studioso.
Conoscenza che può essere, invece, aiutata dalla lettura del catalogo Winckelmann. Capolavori diffusi nei Musei Vaticani, realizzato per l’occasione (Edizioni Musei Vaticani) e dalla visione del bel filmato che illustra il personaggio e il clima culturale della Roma settecentesca, proiettato nella Sala XVII della Pinacoteca Vaticana, dove sono anche esposte alcune importanti produzioni letterarie concesse dalla Biblioteca Apostolica Vaticana – Geschichte der Kunst des Alterthums e Monumenti Antichi Inediti – e un documento, datato 31 luglio 1764, in cui si fa menzione di una somma di denaro da versare “al Signor Gio. Winckelmann, Scrittore di lingua Tedesca”.
Di famiglia umile, Winckelmann aveva potuto compiere studi superiori grazie alla sua brillante intelligenza; conosceva il greco perfettamente (oltre ad altre lingue antiche e moderne) e a Roma intendeva studiare alcuni manoscritti inediti della Biblioteca Vaticana, mantenendosi con una borsa di studio elargita dal Principe elettore di Sassonia. Nell’Urbe strinse amicizia con il pittore Anton Raphaël Mengs e con lo scultore Johannes Wiedewelt ed entrò in contatto con le più alte personalità della Chiesa come il cardinale Domenico Passionei e il cardinale Alessandro Albani, del quale diventerà bibliotecario nel 1759. La Biblioteca Vaticana inizialmente non gli aprì del tutto le sue porte, mentre potè accedere a tutte le collezioni romane di antichità (visitò tutti i palazzi e i giardini nobiliari, oltre al museo capitolino e al Belvedere Vaticano) le cui descrizioni riportò nei suoi taccuini. Si rese conto che molti materiali scultorei antichi erano inediti, poco capiti e male interpretati e fu proprio nel Belvedere Vaticano, osservando il Torso e l’Apollo del Belvedere e gli altri marmi, che ebbe l’idea di scrivere una storia dell’arte, ordinando le opere in modo sistematico.
A Roma, dove ebbe anche incarichi pubblici (nel 1763 venne nominato Commissario delle antichità), risiedette fino al 1768 sviluppando, attraverso lo studio della storia dell’arte e del disegno, l’impostazione che è ancora alla base degli studi della scultura antica. Prediligeva sicuramente l’arte greca, della quale definì i quattro stili fondamentali, ovvero lo stile arcaico, l’elevato (intorno alla metà del V secolo a.C. con Fidia, Policleto e Alcamene), il bello (con Prassitele, Lisippo e Apelle) e l’arte dell’imitazione (corrispondente al periodo ellenistico e romano). A proposito della sua predilezione per l’arte greca si scontrò con Giovan Battista Piranesi, che invece sosteneva la supremazia dell’arte romana. Come lo stesso Piranesi, si interessò anche all’arte egizia o d’imitazione egizia, che a Roma era di casa in seguito alla conquista dell’Egitto da parte di Ottaviano, divenuto poi Augusto. Pensiamo soprattutto agli obelischi eretti nei circhi e in seguito in molte piazze romane, alla Piramide Cestia, come pure ai manufatti provenienti dall’Iseo Campense e dal Canopo di Villa Adriana, che all’epoca di Winckelmann erano conservati nel Museo Capitolino e che furono in seguito trasferiti nei Musei Vaticani.
Ed è proprio con il Museo Gregoriano Egizio che il percorso ha inizio evidenziando alcune opere, tra cui
Osiride-Antinoo (135 d.C.), che per Winckelmann è raffigurato “così come era venerato in Egitto”. In effetti, l’imperatore Adriano, dopo la morte in circostanze misteriose del suo giovane favorito Antinoo a Canopo, nel Delta nel Nilo, lo aveva divinizzato e per questo lo ritroviamo riprodotto come Osiride, il dio dell’Oltretomba. Lo studioso intuisce che la statua doveva trovarsi nel cosiddetto “canopo” di Villa Adriana tra le altre divinità, tuttavia “non ha forma egizia, in quanto il corpo è più corto e più largo e, esclusa la posizione, è stata interamente lavorata secondo i principi dell’arte greca” (Geschichte, 1764). Tra gli altri capolavori del museo evidenziati con la W, non passano certo inosservati il Sacerdote del dio Anubi, con maschera a testa di sciacallo, di epoca romana, alcune grandi statue tolemaiche e la Regina Tuya, che appartiene al Nuovo Regno, trattandosi di una delle mogli di Ramesse II (1290-1224 a. C.), portata a Roma da Caligola, e che Winckelmann identificò con la dea Iside, inserendola tra le opere dello stile più antico.
Il percorso della mostra prosegue nel Museo Chiaramonti, con Ercole e Telefo (II secolo d.C.), copia romana da un originale in bronzo del tardo ellenismo, quindi nel Braccio Nuovo, la luminosissima galleria statuaria voluta da Pio VII e da poco restaurata, con opere quali l’Atena Giustiniani, il Sileno con Dioniso bambino e soprattutto il gigantesco Nilo (I secolo d.C.), che doveva ornare l’Iseo Campense, raffigurato come un uomo maturo giacente, con una sfinge, con la cornucopia simbolo di abbondanza e 16 puttini, che lo circondano giocosi, dei quali Winckelmann dà un’accurata spiegazione, riconducendo il numero di 16 all’altezza in cubiti del fiume, nel momento della sua piena annuale.
Nel Cortile Ottagono troviamo il celebre Laocoonte (I secolo a.C.), i cui muscoli sono per Winckelmann “simili alle placide onde di un mare tranquillo”, e l’altrettanto celebre Apollo del Belvedere (II secolo d.C.),
che nel pensiero di Winckelmann occupa il punto più alto dell’arte, il più vicino al Bello ideale, al Sublime, evidente nel contrasto tra la serenità olimpica del dio e l’ira contenuta (è indignato contro Pitone o forse contro il gigante Tizio).
Anche l’Hermes (II secolo d.C., copia romana da un originale del IV secolo a.C.), considerato all’epoca dello studioso la più perfetta statua antica, rientra nel percorso espositivo. Winckelmann pensava che rappresentasse un personaggio ideale (la corretta identificazione si deve a Ennio Quirino Visconti) e nella Geschichte ne esalta soprattutto la testa, dove regna “la grazia della giovinezza” e dove “non si scorge alcun accenno passionale che potrebbe turbare l’armonia delle parti e la pura tranquillità dell’animo giovanile …”.
Nella Sala degli Animali del Museo Pio Clementino, troviamo la statua di Meleagro, con accanto il suo cane (II secolo d.C.), e Commodo-amazzone, una sorta di pastiche che vede il ritratto dell’imperatore sul corpo di un’Amazzone a cavallo, come notato proprio da Winckelmann, che notò la presenza di un seno sotto la veste. Vi sono poi i Candelabri Barberini nella Galleria delle statue, come pure l’Arianna addormentata,
copia romana da un prototipo ellenistico e l’Apollo Sauroktonos, copia da Prassitele. Nella splendida sala delle Muse incontriamo il Torso del Belvedere, una statua che, “per quanto estremamente rovinata e mutilata … si mostra ancora oggi a coloro che sono in grado di penetrare i segreti dell’arte nello splendore della sua antica bellezza”.
I Cioci, nella Sala a Croce Greca sono dei giganteschi telamoni egittizzanti, realizzati nel granito rosso di Assuan, provenienti probabilmente da Villa Adriana, dei quali Winckelmann trattò nei Monumenti antichi inediti del 1767, classificandoli come imitazioni. Proseguendo incontriamo molte altre sculture, sarcofagi, le due Colonne con i Tetrarchi in porfido nelle Gallerie della Biblioteca, i vasi in ceramica nel Museo Gregoriano Etrusco e fregi e rilievi (Fregio con nave, del I secolo a.C., Rilievo con Amaltea del II secolo d.C.) nel Museo Gregoriano Profano.
Come se non bastasse, l’ombra di Winckelmann aleggia anche nei settori non archeologici, tanto che troviamo la sua W anche nella Pinacoteca e nelle Stanze di Raffaello, in particolare nell’Incontro tra Leone Magno e Attila (nella Stanza di Eliodoro) e nella Scuola di Atene (nella Stanza della Segnatura). Certo Raffaello incarna per Winckelmann quell’ideale di bellezza classica, soprattutto greca, che riassume nelle espressioni di “nobile semplicità” e “quieta grandezza”.
Nica FIORI Città del Vaticano 7 novembre 2018
Winckelmann Capolavori diffusi nei Musei Vaticani
Musei Vaticani, 9 novembre 2018 – 9 marzo 2019. Biglietto incluso nel biglietto d’ingresso ai Musei. Orario: 9.00 – 16.00 con chiusura alle ore 18.00